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Rusalka al Wiener Staatsoper: la ninfa che “inCanta”.

Di Salvatore Margarone e Federico Scatamburlo

Strepitoso successo al Wiener Staatsoper per la Rusalka di A. Dvořák, in scena il 18 febbraio 2016. Pubblico in delirio alla fine dello spettacolo con ben cinque uscite degli artisti acclamati a gran voce.

La trama dell’opera è relativamente semplice, anche se i personaggi non hanno nomi: sono distinti con appellativi che identificano la loro natura o il loro tipo di azione, fatta eccezione per la protagonista Rusalka (la ninfa dell’acqua) e la strega Ježibaba, che mantengono i loro nomi in lingua ceca. La ninfa dell’acqua chiede e ottiene di essere trasformata in umana per perseguire il suo amore terreno conosciuto nei boschi, ovvero il principe del castello. Ma una duchessa straniera distrarrà temporaneamente le passioni del principe per la ninfa, costringendo quest’ultima a rompere l’incantesimo ottenuto da Ježibaba, ritornando nel profondo delle acque del lago, ma solo dopo aver placato le pene d’amore del suo principe, nel frattempo ravveduto, portandolo alla morte tramite un suo bacio.

 

Entrando nel dettaglio della serata: Rusalka, interpretata dal soprano Camilla Nylund, dotata di voce espressiva, calda, ma allo stesso tempo morbida ed agile, ha incarnato il personaggio rendendolo quasi reale con la sua naturalezza; sprezzante nei sovracuti di cui è ricco il suo ruolo, già dalla prima aria, il Canto alla Luna, il pubblico ha capito che sarebbe stata una Rusalka fatta persona, libera nei movimenti scenici, sguardo penetrante e ammaliante, voce sempre pronta a rispondere ai virtuosismi orchestrali della musica di Dvořák, estremamente elegante, mai sgraziata, con bellissimi filati a mezza voce.

 

Co-protagonista, nei panni del principe, Klaus Florian Vogt, il quale, anche se dotato di voce tenorile leggera e chiara, ha sostenuto per tutta l’opera un controllo del volume, esprimendosi e sfoggiando proprio alla fine dell’opera stessa dei filati e una mezza voce inaspettata, rendendo la morte in scena del personaggio molto incisiva e realistica.

Di tutt’altra tempra la bellissima voce di mezzosoprano della slovena Monika Bohinec nei panni di Jezibaba: perfettamente calata nella parte, scura, profonda, bella voce di petto ma potente negli acuti chiari e cristallini, con una convincente presenza scenic, ha reso il ruolo interpretato inquietante come ben richiesto dal libretto, fondendosi ed interagendo perfettamente con tutti i personaggi con i quali era coinvolta.

Il ruolo di Vodnik ovvero lo spirito dell’acqua, è stato affidato a Jongmin Park, coreano ma con studi accademici alla Scala di Milano (con maestri del calibro di Mirella Freni e Renato Bruson), il quale, pur essendo una voce da basso del sol levante, ha dato prova della sua tecnica e potenza vocale in un ruolo non semplice per interpretazione e tessitura.

Unico interprete russo in scena, nella parte della duchessa straniera che tenterà di sedurre il principe, la mezzosoprano Elena Zhidkova, con notevole estensione vocale, al pari della collega Bohinec, pur se con colore vocale differente, più chiaro, che ben comunque si intona nella nutrita palette presente sul palco: pur essendo il suo un ruolo relativamente minore, presente solo nel secondo atto dell’opera, é determinante ai fini dello svolgimento della narrazione e senz’altro è stata una interpretazione degna di lode.

 

Il cast della Rusalka è completato dalle tre ninfe, che ritornano in scena diverse volte nel primo e nel terzo atto, con assoli e terzetti eterei, ben delineati ed amalgamati vocalmente; inoltre l’aitante guardiacaccia e la sfortunata cuoca, i quali daranno vita a gradevolissimi duetti durante i loro racconti di storie della foresta e vicende di corte.

Questa favola lirica ha radici molto antiche: il mito delle Rusalke ceche, ninfe dei laghi e dei ruscelli, ed il mondo dell’acqua, alletta e perseguita l’immaginazione dell’uomo da sempre, anche se in questa produzione si ricorre a scene un po’ moderne ma d’effetto, tetre, ma arricchite da luci ed ombre che hanno catturato l’attenzione dello spettatore in ogni momento, insomma una scenografia strabiliante, quella allestita da Rolf Glittenberg. Stesso merito va a Marianne Glittenberg per i costumi, semplici ma esaustivi e d’effetto, con qualche lampo di genio (vedi l’abito delle ninfe che per metà rendeva un realistico effetto di corpo nudo), e a Jürgen Hoffmann cha ha sapientemente diretto gli effetti luce.

L’Orchestra e il coro del Wiener Staatsoper, diretti da Tomáš Netopil, sono stati all’altezza della situazione, come ci si poteva aspettare. Da non considerare una trascurabile stonatura dei corni alla fine del primo atto, eccetto la quale tutta l’esecuzione è stata impeccabile e coinvolgente.

L’opera di Dvořák del 1899, in questi ultimi anni, è stata proposta in diverse stagioni liriche, ma questa in particolare ha lasciato il segno per la perfezione d’intenti musicali, scenografici e registici; gli artisti scelti hanno dimostrato capacità nell’affrontare un’opera di repertorio non facile, le voci scelte per i ruoli principali emergono singolarmente per timbro e tessitura senza sovrapporsi ma amalgamandosi in un unicum che ha reso lo spettacolo coinvolgente anche se in lingua originale.

Lo Staatsoper di Vienna risulta dunque ancora una volta uno dei Teatri Lirici migliori al mondo per le sue produzioni, sempre impeccabili e con artisti degni di nota.

Photos by Salvatore Margarone, Federico Scatamburlo, Wiener Staatsoper

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