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Quando il perfezionismo complica le cose…

di Patrizia Ruscio

Questo tratto della personalità spinge a essere impeccabili in ogni ambito della quotidianità. Spesso, però, dietro un atteggiamento puntiglioso si cela insicurezza e paura di non essere accettati. A spiegarlo è Maria Paola Graziani, psicologa e già ricercatrice dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Cnr

Le loro scrivanie sono organizzate maniacalmente, le loro agende programmate al millesimo di secondo, mai un dettaglio fuori posto: sono le persone puntigliose, cugine carnali dei perfezionisti. Se possono correggono gli altri davanti a tutti, anche a costo di fare o provocare brutte figure, perché loro non sbagliano mai e hanno tutto sotto controllo. Tutti hanno avuto un collega, un amico o un conoscente così; qualcuno avrà pure pensato che sarebbe bello diventare come loro. “Molti confondono le certezze del puntiglioso con le competenze e lo vedono vincente intellettualmente”, spiega Maria Paola Graziani, psicologa clinica e psicoterapeuta, già ricercatrice dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Cnr. “I puntigliosi sono individui caparbiamente attaccati alle proprie convinzioni e hanno, abitualmente, atteggiamenti di testarda ostinazione. Sono cocciuti e non sanno cosa significhi essere accomodanti. Alla base di questo tipo di personalità possono esserci tratti narcisistici o ossessivi, che li spingono a vincere a tutti i costi e a vedere l’altro come un ‘nemico da annullare’.

Il loro voler apparire sempre impeccabili è spesso, anche un modo per tenere a bada una forte ansia da prestazione o un sentimento d’inadeguatezza di fronte ai cambiamenti che la vita, inevitabilmente, pone davanti. In tal caso, un eccessivo perfezionismo può impedire di vivere serenamente. In altre circostanze, al contrario, programmare, controllare, suddividere i compiti nel tempo e monitorare i risultati possono essere un’arma vincente. “Molto dipende dalle circostanze e da come le controparti si relazionano al puntiglioso, ovvero se lo assecondano o lo contrastano e con quali modalità. Se le due parti sono molto agli antipodi, uno dei due si sente incalzato e ci sono diversi e variabilissimi modi di comportarsi a seconda delle personalità e degli ambienti”, prosegue l’esperta.

Ma allora quand’è che il perfezionismo cessa di essere una strategia di vita e interpreta una struttura della personalità funzionale alle difficoltà del quotidiano? “In pratica, quando non straripa spingendo a vivere in una specie di gabbia nella ‘personalità’ del singolo. Quando si è invasi da questo comportamento assertivo è come se una voce insistente e severa ripetesse che non si è mai abbastanza, qualsiasi cosa si faccia. Per zittire questa voce, allora, bisogna dare il massimo, dimostrare al mondo che essere impeccabili e vincenti è l’unico modo per trovare un po’ di quiete ed essere riconosciuti”, aggiunge la ricercatrice. “Spesso, però, per quanto ci si dia da fare, quella voce non cessa. Il perfezionista ne diventa vittima e la sua performance, nell’affanno di ottenere una perfezione irraggiungibile, diventa una corsa a ostacoli, farraginosa e inconcludente”.

Vediamo allora se esiste un modo per uscirne. “Se il puntiglioso non avverte spinte a cambiare, probabilmente non lo farà mai. Può essere che finisca per circondarsi di persone che lo approvano, ma non lo aiutano a mettersi in discussione. In tal caso, proseguirà a giudicare sbagliato il resto del mondo. Se, invece, l’esperienza lo porterà a percepire che i suoi atteggiamenti lo limitano, allora potrebbe affidarsi anche alla psicoterapia oltre che all’autoindagine”, conclude Graziani.  “Questa nuova consapevolezza aiuterà la persona a crescere, a scoprire nuove parti di sé e a capire che per essere amati non si deve essere perfetti: tutti o quasi abbiamo amato o ammirato persone che perfette non sono e non lo saranno mai”.

[Almanacco della Scienza N.1, 2024]

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