Perché una storia in cui sono le scimmie a comandare un pianeta è tanto accattivante per noi esseri umani “padroni” della Terra? Perché la somiglianza fra noi e loro ci turba tanto da averli considerati come esseri inferiori? E come è cambiato il rapporto fra noi e loro in questi cinquant’anni anni, cioè dall’uscita del primo film ad oggi?
Ciò che cinquant’anni fa sembrava solo fantascienza sta purtroppo diventando realtà. In questo periodo di tempo sono stati investiti capitali enormi per andare nello spazio in cerca di altre forme di vita e ben poco si è fatto per le tante specie che rischiano di scomparire dal nostro Pianeta (noi umani inclusi). La ricerca etologica e le scienze cognitive hanno abbattuto le nette separazioni fra primati umani e non umani, mostrando una continuità inaspettata; la biologia evoluzionistica e l’antropologia hanno dimostrato il lungo percorso fatto in comune, e altre discipline hanno accertato l’estrema fragilità degli equilibri ambientali e l’impatto negativo che l’uomo esercita sul cambiamento climatico. Ma sapere queste cose ha cambiato a sufficienza il comportamento umano?
In alcune nostre ricerche abbiamo ad esempio dimostrato come i cebi dai cornetti – scimmie evolutivamente più distanti da noi delle scimmie antropomorfe – sappiano tenere conto del rischio insito in problemi decisionali e imparino a evitare le opzioni meno vantaggiose e come, nel Nord Est del Brasile, abbiano scoperto l’uso di strumenti litici (di pietra lavorata), proprio come i nostri antenati hanno fatto milioni di anni fa. Eppure noi umani continuiamo a giocare d’azzardo anche quando, in base al calcolo delle probabilità di vincita, non dovremmo farlo.
In Brasile un’economia dall’ottica ristretta distrugge l’habitat di queste scimmie per produrre soia e, nel mondo, la popolazione umana continua a crescere e a consumare come se fosse davvero a portata di mano la possibilità di raggiungere un pianeta alternativo alla Terra. Che ottusità. Neanche l’invettiva “Maledetti, maledetti per l’eternità” ci ha aperto gli occhi. L’affannosa corsa per dominare un pianeta da noi reso sempre più fragile non ci farà ritrovare, come Taylor, al punto di partenza?v
Elisabetta Visalberghi e Elsa Addessi [Da Almanacco della Scienza N. 4 – 24 feb 2021]