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Pizzaworld!

La bellezza di ogni città risiede in genere nella propria identità. New York, però, città nuova e progressista, si è sviluppata storicamente e culturalmente come un insieme di personalità complesse ed eterogenee. In sostanza, New York non ha un’identità, ne ha un milione!
La prova di tutto ciò è nella massa di individui che affollano le street e le avenue, nella musica, nel cinema, nell’arte e, immancabilmente, nel cibo. E se è vero che il popolo latino-ameircano ha portato in terra anglofona il proprio burrito, se è vero che quello asiatico non ha mai rinunciato ai propri noodle e se è altrettanto vero che la comunità irlandese non ha saputo fare a meno dei tipici pub in legno massiccio, non si può rimanere indifferenti di fronte alla mole di cucina italiana che nel corso del novecento ha sovrastato i palati dei citizen, americani e non.

Chiaro, il cibo è storia. È cultura. Caratteristiche che in passato hanno cozzato con la qualità dei prodotti esportati in una città giovane ed intraprendente. Ma adesso, dopo che le generazioni di emigranti si sono trasformati in nuclei famigliari a stelle e strisce, in un’epoca superconnessa e superveloce, New York è riuscita finalmente ad importare ciò che prima era solo un miraggio: la memoria! Perché il cibo è potenzialmente memoria, un tesoro prezioso che passa di mano in mano con lapalissiana passione e profonda vivacità.

Ed allora capita che un’identità forte come quella napoletana si ritrovi nella grande mela a riconoscersi in quello che viene considerato il tesoro culinario per eccellenza: la pizza! La regina delle pietanze che fa della povertà la sua dote migliore. E sebbene i recensori più severi mostrino premeditate titubanze, non vi è da stupirsi se ci si imbatte da Don Antonio by Starita, a due passi da Times Square, o al Kesté in Bleecker Street, in due di quei spicchi di tradizione tanto distanti da Napoli quanto vicini alle viscere della città. Ci si accorge, in due morsi, di quanto i paragoni siano superflui. Ci si accorge dell’inestimabile immagine che l’amazing pizza – l’originale, quella napoletana nel midollo! – dona alla città di Pulcinella: un’immagine vera che si allontana dal tetro fake spettacolare, un’immagine al tempo stesso genuina e raffinata.

Questo lo sanno bene gli autori di tale missione, Roberto Caporuscio e Antonio Starita, a cui ho avuto il piacere di rivolgere alcune domande.

Quanto pesa il mito della pizza?
Si sa, chi lavora nel nostro settore porta sulle spalle una grossa responsabilità. Soprattutto se si vuol donare alla clientela un prodotto genuino, vero e, quindi, tradizionale. Ciò nonostante siamo fieri di portare avanti ciò che ci è stato lasciato con professionalità dai nostril predecessori.

È solo questione di forno a legna e farina d.o.c. o c’è qualcos’altro da sapere?
Assolutamente no! Il forno napoletano è essenziale, chiaro. Ma non possiamo dimenticarci della verve di un pizzaiolo che mette insieme gli ingredienti, manipola la pasta e appura la cottura di ogni singola pizza da portare in tavola.

Perché e come, nel corso dei secoli, la pizza è diventata ciò che è adesso?
Per un ovvio motivo: la pizza non ha mai perso la sua essenza di prodotto semplice ed estremamente gustoso.

Negli ultimi tempi ci sono stati attacchi mirati alla pizza napoletana: quando la volpe non arriva all’uva…
Sicuro! Sono decenni che la pizza napoletana è attaccata su più fronti. Ma è ovvio che nulla al mondo potrà intaccare un alimento in primis salutare e di gran lunga più comune di un prodotto da fast-food.

Quali furono le prime reazioni dei newyorchesi quando scoprirono la vera pizza napoletana?  
La reazione fu incredibile! Noi avevamo portato il nostro progetto avanti senza dubitare sui risultati. Gli stessi che poi hanno superato le più rosee previsioni.

A proposito, progetti futuri?
Ne abbiamo, sì. Ma il progetto più importante resta per noi quello di mantenere alta la qualità della nostra pizza. Inoltre, stiamo mettendo a punto un’idea di divulgazione con la nascita di scuole per pizzaioli in diverse città del mondo.  

Starita non è solo una pizzeria nel ventre di Partenope; è un’icona, una garanzia, un vanto per tutti i vesuviani. Così come l’incantevole Kestè. Sono vetrine imponenti che mostrano al nuovo mondo un’identità troppo grande da racchiudere in un angolo del golfo. La Margherita, o ancor di più la Montanara – la pizza più buona di NYC secondo la storica rivista TimeOut –  sono un patrimonio che il duo Starita-Caporuscio celebra agli occhi (e alle papille) del mondo intero, agli occhi di ogni cittadino newyorchese, di ogni ospite della città, compresi i campani che con meraviglia scoprono e si riscoprono all’altro capo del globo.

Pertanto, condividere la propria identità diviene atto giusto, opportuno, vitale. E le pizzerie Don Antonio by Starita e Kestè, con grande maestria, rendono la propria memoria imprescindibile dalla storia che le ha viste sbocciare. In ogni pugno di farina, in ogni gesto di cordialità.

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