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Pizza al cubo!!! Intervista a Milco Galtarossa

Siamo qui con Milco Galtarossa, gestore di Pizza al cubo di Albignasego, in provincia di Padova.

Marina Agostinacchio: Milco, vuoi parlare della tua attività ai nostri lettori italoamericani? E soprattutto dirci cos’è questa pizza al cubo…

Milco Galtarossa: Si tratta di una pizza al trancio che ha una peculiarità: oltre essere servita a trancetti, viene tagliata a cubetti. La facciamo ben farcita. Si può mangiare con una forchettina, con uno stuzzicadente; è quindi motivo di spuntino ma anche di convivialità perché se uno prende una bella teglia di pizza e la mette sopra alla tavola, tutti quanti possono accedere.

Marina Agostinacchio:  Ma di chi è stata poi l’invenzione di questo tipo particolare di pizza, chi è che l’ha pensata, da dove viene?

Milco Galtarossa: Viene da un mio quasi coetaneo, di nome Massimo. Abitavo vicino al locale dove lui ha creato la sua pizzeria. Lì è nata come pizza al trancio all’inizio, poi ha pensato di tagliarla a pezzettini perché aveva i ragazzi delle scuole limitrofe alla sua pizzeria che, usciti dall’ultima ora di lezione, si fermavano a mangiare, prima di tornare a casa. Anch’io mi fermavo ogni tanto a prendere la sua pizza per portarla a casa. All’epoca Massimo la preparava su una teglia rotonda e poi la tagliava a pezzi. Circa me, ho sempre avuto la passione per la pizza, spesso la preparavo a casa e ho anche imparato ad affinare le tecniche di lievitazione su una teglia per farla venire più alta, più croccante. Con Massimo Ferrato mi sono rincontrato dopo anni in un bar che gestivo tra Prato della Valle e il Santo, un bar che lavorava soprattutto con i turisti che provenivano da tutto il mondo, perché sappiamo che Sant’Antonio è uno tra i santi più amati. Poi ho fatto anche altri lavori, come in fabbrica, un lavoro che non sentivo nelle mie corde.

Dopo essere rimasto a casa per un momento di difficoltà personale, avrei voluto anche riaprire un altro bar, ma proprio l’amico Massimo cambiò la mia vita, quando mi disse che stava creando un Franchising di pizza al cubo. Lui avrebbe fatto le basi della pizza, questa volta rettangolari, avrebbe messo a disposizione il suo know-how, e anche un lay out di produzione e vendita. Saremmo stati primi a partire con questo tipo di pizza. L’idea mi era piaciuta perché la passione per questa specialità italiana ce l’avevo, sapevo inoltre che avrei imparato in poco tempo a migliorarmi, in quanto me la cavo con la manualità, quindi accettai la proposta di Massimo. Così ho trovato un posto per la mia nuova attività ad Albignasego, alle porte di Padova, si può dire, forse il comune più grosso come abitanti dopo Padova stessa. Pur se le condizioni di affitto del locale non erano troppo favorevoli, c’erano da parte mia tutte le intenzioni di far bene.

Marina Agostinacchio: Mi sembra che la caratteristica della tua pizza sia proprio la qualità dei prodotti con cui le farcisci e su cui hai puntato per il tuo successo.

Milco Galtarossa:Diciamo che già si parte da un impasto fatto bene e frutto di un’esperienza anche casalinga perché Massimo portava l’esperienza di una pizza fatta in casa sua, inoltre lui nel suo lavoro usava una buona mozzarella a chilometro zero del caseificio Nobili di Rubano (sempre in provincia di Padova), un buon pomodoro italiano. Io, per mia indole, quando faccio qualcosa cerco di migliorarla sotto tutti i punti di vista. Così mi sono concentrato sul forno, sulla teglia, sullo spessore dell’alluminio e sulle temperature di cottura. Sono uno molto tecnico, perché nasco come artigiano dell’argento, ero abituato a lavorare i metalli con precisione, soprattutto nel momento finale della lucidità e della perfezione del prodotto, inoltre sarei un po’ pignolo in ciò che faccio… quindi, anche con le pizze, mi sembra di cesellare un’anfora … Inoltre per me è importante scegliere tutta la filiera italiana per la realizzazione del prodotto, non perché penso che siamo i migliori, ma ad esempio, una pancetta non è che puoi portarla da chissà dove e lo stesso vale per la sopressa che per altro è di lavorazione veneta. Ho puntato pertanto sulla qualità e continuo ancora oggi se posso.

Marina Agostinacchio: Che tipo di pizze diverse contraddistinguono la vostra cucina? So che lavorate con farine diverse.

Milco Galtarossa: Sì, io ho un po’ spinto col Franchising circa alcuni prodotti. Mi sono creato delle farine nuove, ho puntato su farine integrali, di farro, naturalmente tutto biologico. Quando porto una farina particolare bio nel laboratorio me la trasformano in base. Poi da due anni mi sono buttato su un altro prodotto anche perché questo franchising si è un po’ ridotto, ha investito su altre cose. Quindi poiché questa affiliazione commerciale ha dato a noi che dipendevamo da loro più libertà di offerta, ho potuto lanciarmi in cose innovative. Ho ad esempio inserito  tra le mie produzioni gastronomiche la Pinsa romana, un prodotto eccezionale. Anche in questo caso lavoriamo con basi leggermente precotte, che arrivano direttamente da Roma. L’impasto della Pinsa è a base di riso e frumento, molto leggero, molto lievitato e quindi digeribile. Ho preso la Pinsa l’ho provata nelle mie teglie, ho visto che si cuoceva bene nel mio forno.

Marina Agostinacchio:  Come la farcisci?

Milco Galtarossa: La farcisco in modo diverso dalla pizza al cubo. Guanciale, Cacio e pepe per esempio che è stato un successone; ho lanciato le pinse con il bacon che in questo caso arriva  direttamente dalla Germania. La Pinsa è una via di mezzo tra una pizza classica e una Pala. Quindi chiaramente non potevo farcirla allo stesso modo dei tranci Così ho dovuto creare delle altre combinazioni riempitive come la mortadella tartufata, la stracciatella, la bufala, anche perché in questo caso posso chiedere quell’euro in più, mentre col trancio, soprattutto quando un tempo andava a peso, ero più limitato, nel senso che pur dovendo tenere presente un limite di prezzo, non potevo permettermi di non tenere conto della qualità del prodotto che offrivo. Ultimamente offro la Pizza senza glutine. Anche in questo caso ho trovato un ottimo prodotto, la farina la fa il mulino Spadoni, è un po’ costosetta, ma ho un ottimo riscontro nella richiesta da parte degli avventori. Cucino questa pizza particolare nel mio forno ma con teglie separate, chiaramente, anche quando la togliamo dal forno o la mettiamo in scatola, stiamo attenti a che non abbia contatto con altre pizze, perché sappiamo che ci sono sempre più persone intolleranti ad alcuni tipi di farina. Comunque io farine volanti la sera non le ho, perché abbiamo già tutto precotto, tutto pronto la mattina; facciamo dei filoncini, delle baguette, ma non usiamo spolveri di farina, quindi riusciamo a lavorare la pasta lo stesso.

Marina Agostinacchio:  Milco, parlami dei diversi tipi di pizze al cubo.

Milco Galtarossa: Molte varietà, questo sì; con patata salsiccia//prosciutto cotto, zucchine , stracchino,//pancetta, radicchio e  formaggio brie//con Jalapeno che sarebbe il peperoncino messicano, con la sopressa, il salamino piccante in tutte le salse, con melanzane, zucchine, peperoni. Tutte verdure fresche a chilometro zero che mi porta il fruttivendolo che le procura al mercato. Quindi, come puoi ben capire, dietro la composizione di una pizza c’è tutto un lavoro che è davvero impressionante e fatto da un gioco di squadra i cui componenti hanno lo stesso intento: offrire un prodotto di qualità in ogni suo aspetto.

Marina Agostinacchio:  Milco, parlaci dei tuoi collaboratori. So che sei coadiuvato da uno staff di donne…

Milco Galtarossa: Ultimamente sì, a parte un mio coetaneo Sergio che mi aiuta a portare le pizze a domicilio, poiché da poco offriamo anche questo servizio; c’è Gabriella, rumena, molto brava, che è qui dall’inizio della mia attività, poi Anna anche lei con me da qualche anno e fa l’Università, Elisa venuta da poco con la mia quale stiamo rilanciando il pranzo….Martina,  qui in forza prima del covid, poi, siccome ultima assunta, si è vista ridurre il lavoro con la pandemia, ora però di nuovo in forza per un aumento del lavoro in questo ultimo periodo. Mi aiuta anche mia sorella, anche lei di nome Martina che è anche mia socia, Silvia , moldava con la sua forza fisica, poi c’è Mariella che viene saltuariamente.

Marina Agostinacchio:  Come sei riuscito a superare nel tuo lavoro i momenti difficili delle diverse ondate di pandemia.

Milco Galtarossa: Come tutti col il primo lokdown ho avuto uno shock, disorientamento e incredulità. Fatto sta che abbiamo dovuto chiudere. Io avevo un fast food e un asporto, quindi la gente poteva mangiare, appoggiandosi a delle mensoline o sedendosi su panche fuori del locale, o poteva ordinare la pizza da portare via. A un cero punto, causa covid, si poteva solo lavorare a domicilio. Quindi ho chiuso perché costretto ma anche per capire cosa succedeva. Di fronte a 700, 800, 1000 morti al giorno cui siamo arrivati nel marzo 2020, ho posto in secondo piano la preoccupazione di essere chiuso per riflettere su quanto accadeva intorno a me.

Quando si è cominciato a vedere uno spiraglio, ho pensato che avrei riaperto solo con il domicilio, anche perché i sostegni statali non consentivano di permanere nella chiusura. Con l’apertura dell’esercizio a domicilio ho fatto due, tre settimane di lavoro. Quando ci è stato permesso di riaprire l’attività con l’asporto, la gente non veniva. D’estate però abbiamo lavorato meglio rispetto ad altre perché non avevamo la concorrenza delle sagre, delle feste, delle fiere, c’era più gente a casa. Quindi luglio e agosto, pur non avendo recuperato la perdita dei mesi precedenti, ho comunque lavorato. Ciò è stato utile per potere prendere un po’ di forza interiore, di coraggio…

Ho continuato a lavorare col domicilio. Poi è tornato l’autunno che ha portato un’altra chiusura; era novembre e dicembre del 2020 e gennaio 2021. Anche se in zona gialla e arancione alternate, si è prodotto un calo di lavoro. E Il domicilio purtroppo non poteva far fronte a questi blocchi. Tra l’altro io a novembre mi sono anche ammalato di covid, sono stato a casa un mese, ho dovuto anche chiudere qualche giorno la pizzeria per i tamponi ai miei ragazzi dipendenti e quando siano ripartiti c’erano solo i miei ragazzi volenterosi a lavorare, io ero a casa con i postumi del covid. Naturalmente, essendo io il responsabile della pizzeria, non potevo gestire direttamente l’attività. Si sa che il gestore di un esercizio ha mille occhi… quindi il lavoro ne ha risentito. Da metà gennaio in poi abbiamo cominciato a riprenderci.

Quando c’è stato un nuovo lokdown a febbraio e marzo, ed eravamo in zona rossa, non abbiamo patito come le volte precedenti, perché con l’asporto, permesso dal governo, siamo riusciti a lavorare benino, magari fino alle 20.30/40 anche perché la gente non usciva per andare in altri posti, in quanto chiusi palestre, bar, birrerie. Mi potevo comunque accontentare di come andavano le cose, anche se ero chiuso per i pranzi già da un anno e la gente non poteva venire a mangiare neppure di sera. Nel poco, vedevo degli sprazzi di luce. Ho pensato allora di fare un bel volantinaggio, pur essendo in zona rossa, anzi meglio, perché la gente vedeva che se la zona rossa permetteva comunque questo servizio di asporto.  L’importante era non chiudere. Il volantinaggio ha prodotto una buona pubblicità, io ho continuato a insistere con prodotti nuovi, alzandone la qualità, se poi, guadagnavo qualcosa in più, investivo in prodotti nuovi per creare pizze ancora più originali. Ad esempio, una pizza con una pancetta coppata, una con una pancetta al pepe, una con un salame di cinghiale, ma anche pizze sempre con tante verdure, la zucca dolce, pur se cara, dell’Emilia Romagna, cucinata al forno e passata in crema, il radicchio di Chioggia fatto al forno per un buon risultato, in termini di cottura e di palato! Tutto unito al gorgonzola, pizza con zucca, funghi porcini e grana. Un successo pazzesco!

Marina Agostinacchio:  Insomma, Milco, quando si dice la creatività italiana unita alla capacità di tenere botta nelle situazioni difficili! Ti facciamo tanti auguri!!!

 

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