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Per celebrare i 300 anni dalla nascita di Gluck, FlorenceOpera e MAPI presentano “Orfeo”

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Orfeo/Elisabetta Vuocolo e Euridice/Martina Barreca. Foto di Stefania Scardiglia.

Il giorno 9 giugno scorso è andato in scena al palazzo dell’Expo a Empoli (Firenze) l’opera Orfeo di Gluck organizzata dalla MAPI con il progetto dei giovani di FLORENCEOPERA. Quest’anno ricorrono i 300 anni dalla nascita del compositore che proprio con quest’opera, assieme al librettista Renieri De Calzabigi, attuò l’importante riforma del teatro lirico, scegliendo come tema il celebre mito di Orfeo che con la purezza del suo canto riesce a sedurre le fiere e incantare i demoni. L’opera si apre con la morte di Euridice e la disperazione di Orfeo, talmente forte che gli dei impietositi decidono, attraverso Amore, di dare a Orfeo l’opportunità di andare a prendere la sua sposa attraversando gli inferi e riportarla al mondo percorrendo il labirinto; unico pegno è di non voltarsi per guardarla finché è nel mondo di Ade. Orfeo riesce a impietosire i demoni e gli spiriti beati così da riavere la sua Euridice, che però rimane offesa nel vedere l’apparente freddezza di lui. Sapendo che la sua amata soffre, lui non resiste e si volta, e lei muore nuovamente. Orfeo decide cosi di uccidersi, ma Amore glielo impedisce perché Orfeo ha passato la prova: il suo amore supera perfino il veto degli dei.

Amore/Daniela Ciabatti e Orfeo/Elisabetta Vuocolo

La rappresentazione di Empoli vede un’ambientazione moderna, con Orfeo cantante rock che attraversa gli inferi con una chitarra elettrica, e arriva nei Campi Elisi, che non sono altro che la nostra amata terra vista in proiezione; il coro facendo un cerchio rotante si spezza e crea un grande labirinto al suolo, un labirinto umano che reagisce agli umori dei due protagonisti come un coro greco. Con la morte di Euridice il labirinto si spezza e sparisce, lasciando Orfeo solo col suo dolore.

Il pittore delle scene TEBA

Interessanti le scelte di colore; giocando sul simbolismo la regia passa dal colore nero del primo atto a una scena infernale coloratissima dove in una folle discoteca sono rappresentati i sette peccati capitali; i dannati senza maschera vivono il loro inferno personale, aizzati dai demoni mascherati, ognuno nel proprio incubo che è interrotto con l’arrivo di Orfeo. Lui diviene poi l’elemento catalizzatore, salvo poi dopo la sua uscita tornare ai propri incubi. La scena successiva vede l’entrata di Euridice con l’aria “questo asilo…”

La regia ha pensato di mettere in scena Caronte vestito come un demone del ‘700 che porta sulle spalle il fiume Stige e le sue anime. Lo Stige è un drappo di 15 metri nel mezzo del quale sta Euridice, accompagnata dal coro, tutti inondati da una luce blu.

Euridice/Martina Barreca

Il coro del 3o atto è in bianco per simboleggiare la purezza e la rigenerazione dopo il passaggio. Tutta l’opera è un inneggiare all’amore e al raggiungimento della vera unione dopo la prova di coraggio. Bravi i giovani interpreti Orfeo/Elisabetta Vuocolo, Euridice/ Martina Barreca, Amore/ Daniela Ciabatti, e il coro “le Jardin sospendu”, diretto da Susanna Camilletti; al piano Marco Francioli, gli assoli di flauto di Paola Perrotta, il pittore delle scene TEBA, le truccatrici Laura Baronti e Stefania Ciuffini, le magnifiche luci di Luigi Magnani, e non dimentichiamo la regia visionaria di Patrizia Morandini e l’ottima direzione musicale del maestro Claudio Bianchi.

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