Recensione di Angelo Rivoli
Protagoniste due eroine immortali del teatro di tutti i tempi: Giulietta e Desdemona, accomunate entrambe dall’essere spose, ma costrette al sacrificio estremo dalla violenza cieca dei propri congiunti: il padre per Giulietta e il marito per Desdemona. I congiunti, armati di un amore che diventa potere inconsapevolmente crudele e vessatorio, sanno diventare i più spietati carnefici.
Il canto lirico era tratto dalle opere di Vincenzo Bellini “I Capuleti e i Montecchi”, di Charles Gounod “Roméo et Juliette” e di Giuseppe Verdi “Otello”. L’idea era però anche quella di far “parlare” i librettisti di tali opere, insieme a Shakespeare, oltre che farli “cantare”. Un lavoro di cesello tra frasi musicali, canto e recitazione, che ha dovuto tenere conto di passaggi musicali e canori, di fiati e suggestioni, di duetti traslati dall’Opera alla Prosa. Apparentemente un semplice collage, è stato invece un gran lavoro anche di scrittura, che si è giovato di sinergia ed ha tenuto conto delle singole competenze.
A Volterra, la protagonista Patrizia Ciofi, soprano di fama internazionale, non si è risparmiata, ha recitato abilmente per la prima volta e la sua ben nota presenza scenica ha conferito spessore alle due spose protagoniste. Il suo canto è stato sentito, emozionante ed emozionato, intenso e coinvolgente. L’artista era anche al debutto come Desdemona verdiana, in un evento nell’evento che ha conferito un valore aggiunto allo spettacolo.
La pianista Laura Pasqualetti, già collaboratrice del M° Riccardo Muti, ha eseguito le musiche al pianoforte con un tocco volutamente orchestrale e intensa sensibilità.
Quanto ai carnefici è bastato un grande interprete per entrambi, ma anche per altri personaggi cardine delle due trame: Simone Migliorini, nella veste di “attore fine dicitore”. E’ una figura che va scomparendo dai teatri, questa. E’ quella di colui che sa pronunciare il verso, che ne conosce gli accenti, i ritmi e i respiri, che ne sprigiona l’afflato e il canto e dunque utilizza la propria vocalità con un’impostazione simile a quella del canto lirico. L’interprete si è così districato tra i brani di Shakespeare e le rime dei librettisti, duettando con il soprano in un incalzare di voci, canto, parole e poesia da mettere i brividi.
Il pubblico era incantato. Gli spettatori, che colmavano la platea del meraviglioso monumento volterrano, trattenevano il respiro e seguivano agilmente le trame, riconoscendo i personaggi, nell’abile interscambio vocale, negli atteggiamenti e nelle posture, nei gesti contenuti, ma pregni di significati simbolici di entrambi gli interpreti, anche abilissimi registi.
Un pugnale e un fazzoletto ricamato, disposti su un leggio al centro del palcoscenico erano tutta la scena, ma sufficienti a definire luoghi ed azioni. Lo splendido scenario di Volterra e del suo teatro romano, dotato d’acustica sublime, faceva da cornice ed amplificava atmosfera ed emozione.
Uno spettacolo originalissimo, dunque, in cui è stato percorso un sentiero mai battuto prima. Si potrebbe parlare di una particolare “avanguardia”. La commmistione di generi performativi in questo caso va ben al di là della commistione di generi, tecnologie e multimedialità, come oggi va tanto di moda. Qui si è trattato, invece, di un teatro “semplice”, fatto di pochi mezzi e grande talento e che recupera il ruolo centrale dell’artista, anche con rilevanti essenzialità ed eleganza.
Foto di Stefano Fidanzi – GIAN Volterra