È una storia universale “Pane Amaro” – Un immigrato italiano in America” di Elena Gianini Belotti, è la storia di Gildo, un ragazzo bergamasco che parte per l’America, sono gli anni dell’immigrazione, quando molti italiani cercarono lavoro dal 1800 ai primi del 1900 sopportando disagi fisici e morali
La scrittrice ha dedicato il libro a suo padre, immigrante italiano partito per l’America. Il protagonista Gildo fa semplici ma profonde riflessioni, insieme ai suoi compagni di viaggio, provenienti da diverse regioni italiane, trova anche momenti di allegria con la sua fisarmonica, suonando canzoni del suo paese tra lo sfruttamento da parte dei governi e da parte dei datori di lavoro, razzismo, umiliazione, disprezzo dalle persone benestanti. Anche la polizia usa metodi duri verso questi poveri venuti dall’ Europa, pensiamo al processo Sacco e Vanzetti, ingiustamente accusati e poi “giustiziati” con la sedia elettrica.
Devono resistere trovando nostalgia e un po’ di speranza e pace quando ricordano i loro cari e il loro paese.
L’autrice di “Pane amaro” scrive: “ L’America accoglie gli stranieri, certo, ma alle sue regole. Li chiama, li cerca, il loro lavoro è utile, ma unicamente per disboscare, coltivare, costruire, fare manovalanza. A loro è riservato lavoro “generico” e non protetto, l’America non desidera operai specializzati, ha i propri. Perfino le truffe che gli immigrati subiscono sono funzionali a quel sistema, perché è anche allo sfruttamento illegale che i costi della crescita nazionale sono contenuti e inoltre attorno alle pratiche disoneste legate all’ emigrazione si sviluppa un giro di danaro e di interessi inimmaginabili. Ma da parte degli americani non c’è riconoscimento e gratitudine verso chi porta avanti il lavoro, anzi l’accettazione di quelle regole durissime da parte degli immigrati, si convincono ipocriti nella loro mentalità pragmatistica, di lavori faticosi e mal pagati, di vite da bestie, è segno di inferiorità e stupidità, e i numerosissimi casi di malattie mentali, sono segni di una tara dei paesi poveri, in particolare degli italiani”.
INTERVISTA CON ELENA GIANINI BELOTTI
Scrive Elena Gianini Bellotti: “… I pregiudizi sono profondamente radicati nel costume: sfidano il tempo, le rettifiche, le smentite perché presentano un’utilità sociale. L’insicurezza umana ha bisogno di certezze, ed essi ne forniscono”. Persone adulte che per quanto condizionate e impoverite di senso critico, potrebbero averne conservato abbastanza per analizzarli e rifiutarli, ma vengono trasmessi come verità indiscutibili fin dall’infanzia e non vengono mai rinnegati successivamente. L’individuo li interiorizza suo malgrado e ne è vittima sia colui che li formula e li mantiene in vita contro l’altro, sia colui che ne viene colpito e bollato”.
Il libro “Pane Amaro” è una bella storia ma anche un documento storico, attuale, come è venuta l’idea di scrivere questo libro?
Ho conosciuto tutti i particolari della storia di mio padre emigrato in America da un quaderno in cui l’aveva raccontata a mia madre prima di sposarla. Naturalmente quando si narra in un romanzo una vicenda lunga e complicata, che si svolge in vari luoghi, bisogna ambientarla e quindi informarsi su ciò che è successo a quel tempo e descriverlo ricostruendolo.
Cosa pensa del perché alcune persone si sono realizzate e altre non sono riuscite?
La sua domanda sul perché certe persone hanno realizzato quello che volevano e altre no, pur mettendocela tutta, è di quelle senza risposta. Esiste la vita, che per alcuni è terribilmente difficile e per altri molto facile. Mio padre aveva uno straordinario innato talento musicale, ma per campare è stato costretto a fare il manovale. E poi era timido e di carattere molto dolce. Non finiranno mai le emigrazioni si spera sempre di trovare fortuna altrove; le emigrazioni di quel tempo, del tempo di mio padre erano molto più organizzate nel senso che si partiva perché si era mandati a chiamare, si sapeva di trovare un lavoro”.
La traduzione è già stata fatta come anche il contratto, il titolo è “The bitter taste of strangers’ bread”, la casa editrice si chiama Bordighera Press di New York ed è italo-americana.
Nella manifestazione per Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, hanno suonato brani italiani e anche l’inno dei lavoratori “L’Internazionale”; dove l’ha conosciuto?
Questo non saprei dire come l’ha conosciuto, si faceva musica, mio padre aveva un orecchio straordinario, se sentiva una melodia una volta, la teneva a memoria. Nelle feste suonava i valzer di Strauss, a quell’epoca c’era Caruso, le canzoni napoletane, bè mi chiede troppe cose… I tanti cortei a difesa di Sacco e Vanzetti non hanno affatto cambiato il mondo, soprattutto quello durissimo e razzista americano, che è rimasto tale e quale, hanno solo tentato di salvare due innocenti senza riuscirci. E ancora oggi in alcuni stati americani esiste la pena di morte. Oltre al diario di mio padre che ho letto da ragazza a sua insaputa, lui ogni tanto mi raccontava qualcosa sulla sua vita negli USA, evitando naturalmente i personali eventi drammatici che aveva vissuto, visto che ero sua figlia. Di tanto in tanto ricordava la tragica vicenda di Sacco e Vanzetti che l’aveva molto colpito, considerato che erano italiani e disgraziati come lui. L’Internazionale ogni tanto ancora la suonava, tanto che me la sono incisa nella mente.
Ancora oggi ci sono gli schiavi in ogni parte del mondo…
Non ho ben capito anche quali siano per lei gli schiavi di oggi, immagino gli attuali immigrati stranieri. Spesso sono costretti, per sopravvivere, ad accettare le pessime condizioni di lavoro che vengono loro offerte, e se tentano di cambiarle rischiano di perdere anche quel poco che hanno. La dignità di una persona viene schiacciata dai prepotenti e dagli sfruttatori e la “schiavitù” viene imposta da loro. E purtroppo abbiamo una orribile e volgare classe politica che pensa solo ai propri interessi”.
Ha lavorato al Centro Nascite Montessori di Roma, mi può parlare di quel periodo?
“È stata questa piccola organizzazione che era solo a Roma che ha cominciato ad occuparsi delle donne incinte e a prepararle al parto con la ginnastica, si parla degli anni cinquanta e poi dell’accoglienza al bambino. Noi avevamo organizzato tutto un trattamento molto delicato di questi neonati in modo che venissero al mondo in una maniera molto dolce e poi tutte le indicazioni di come erano gli interessi, le attenzioni dei bambini molto piccoli, come si sviluppano e cosa gli si doveva offrire perché crescessero bene”.
“Ho cominciato a scrivere a sedici anni sui giornali di quel tempo, ho fatto questo corso al Montessori poi ho cominciato a scrivere vari articoli sui bambini, un libro “Dalla parte delle bambine” e poi sono ritornata al mio primo interesse che è quello di raccontare storie”.
Sta lavorando a un nuovo libro?
Mi fa molto piacere che scrivete per il giornale di New York e raccontiate cose italiane. Gli immigrati italiani a quel tempo erano numerosi, ora abbiamo da noi molti immigrati dall’estero. Ora non scrivo più libri né articoli, non ho più le energie che servono per lavorare, “Onda lunga” è uscito nel 2013 poi ne ho scritti altri. Credo che per me non sia facile pubblicare un aggiornamento sul mio lavoro. Le sarò molto grata se lei scriverà di me e dei miei prodotti letterari; anche lei è italiana”.
“Dalla parte delle bambine” 1973 Feltrinelli
“What are little girls made of?
“Che razza di ragazze” 1979 Savelli
“Prima le donne e i bambini” 1980 Rizzoli
“Non di sola madre” 1983 Rizzoli
“Il fiore dell’ ibisco” 1985 Rizzoli
“Amore e pregiudizio: il tabù dell’età nei rapporti sentimentali” 1988 A. Mondadori
“Adagio un poco mosso” 1993 Feltrinelli
“Apri le porte all’alba” 1999 Feltrinelli
“Voli” 2001 Feltrinelli
“Prima della quiete” 2003 Rizzoli
“Pane Amaro” – Un immigrato italiano in America 2006 Rizzoli
“The bitter taste of strangers’ bread”
“Cortocircuito” 2008 Rizzoli
“Onda lunga” 2013 Nottetempo
Altri libri sull’immigrazione degli italiani in America: “Quando partivamo noi – storie e immagini dell’ emigrazione 1880/1970 di Bruno Maida 2015 Edizioni del Capricorno
“Faccia da italiano” di Matteo Sanfilippo 2011 Salerno Editrice
“Corda e sapone: storie di linciaggi degli italiani negli Stati Uniti” di Patrizia Salvetti 2003 Donzelli Editore
FILMS SUGLI ITALIANI IN AMERICA
“Il cammino della speranza”, “Emigrantes”, “Quei bravi ragazzi”, “Come scopersi l’America”, “Un italiano in America”, “Sacco e Vanzetti”, “Bronx”, “Spaghetti house”, “Oltremare non è l’America”, “La mortadella”, “Destination America. The golden door”.
QUANDO GLI ITALIANI CANTAVANO… DALL’ITALIA ALL’AMERICA
Un oceano immenso allontanava milioni di italiani dal loro paese, nel Nord come nel Sud molte persone vivevano in baracche senza luce e aria, era necessario cercare lavoro altrove, darsi una possibilità, così gli emigranti partivano su bastimenti affrontando giorni di viaggio e poi una nuova realtà in un paese che non conoscono. Le canzoni restano ancora un legame con la loro patria, con i loro affetti e le loro abitudini.
Le canzoni sono nei diversi dialetti italiani oppure in italiano ma tutte esprimono gli stessi sentimenti e la speranza di un ritorno, tra queste: “Trenta giorni di nave a vapore” La Compagnia del folklore e Vittorio Castelnuovo, “Ma se ghe pensu” Mario Cappello, “Le porti un bacione a Firenze” Carlo Buti, “Here’s to you”, Joan Baez, “Da Napoli a New York” Aleandro Baldi, “Santa Lucia luntana” Giuseppe di Stefano.
Da Napoli a New York: Mio nonno era un ragazzo, / Davanti a Don Mimì, / Che pretendeva il pizzo, /
Come ogni venerdì, / Mio nonno era deciso, sorrise e gli sparò, / E i soldi li rimise sul marmo del comò!
La madre e le sorelle piangevano per lui, / Ormai era un ribelle un angelo nei guai, / Ma quando il maresciallo di notte lo cercò / Le donne nello scialle risposero ‘gnornò!
Lui sul bastimento si svegliò / Era il 1906, / Fra le braccia di una notte scura, / Si giurò di non tornare mai. / Ma quanto mare c’è, / Da Napoli a New York, / Pensava alla sua mamma per riscaldarsi un po’, /
Finché fu tutto blu e il vento si calmò, / Come una ninna nanna, che lo riaddormentò.
Io sono americano, non sono Don Mimì,/ Ma tutti all’Ucciardone mi chiamano così. / Io la notte sogno sempre il Bronx, / E quella canzone che imparai, / Il mio nonno col suo mandolino, / La cantava in faccia all’F.B.I. / Ma quanto mare c’è, / Da Napoli a New York, / Cantano gli emigranti, / “Chissà se tornerò?”
Con questa nostalgia, / Picciotti amici miei, / Se il mare fosse un ponte, / A piedi tornerei! Con questa nostalgia,/ Un giorno morirò, / Scappando sul quel ponte, / Da Napoli a New York.
“Santa Lucia luntana”: Partono ‘e bastimente / P’ ‘e terre assaje luntane, / cantano a buordo e so napulitane! / Cantano pe’ tramente / ‘O golgo già scompare, / e ‘a luna, ‘a miez’ ‘o mare, / ‘Nu poco ‘e Napule / Lle fa vede’… / Santa Lucia, Luntana ‘a te / Quanta malincunia! / Se gira ‘o munno sano, / Se va a cerca’ furtuna, / Ma quanno sponta ‘a luna / Luntana a Napule nun se po’ sta!
E sonano…Ma ‘e mmane / Tremmano n’copp’ ‘e corde… / Quanta ricorde, ahimè, / Quanta ricorde! /
E ‘o core nun ‘o sane / Nemmeno cu ‘e canzone, / Sentenno voce e suone, / Se mette a chiagnere ca vo’ turna’!
Santa Lucia, / Luntana ‘a te / Quanta malincunia! / Se gira ‘o munno sano, Se va a cerca’ furtuna, / Ma quanno sponta ‘a luna / Luntana a Napule nun se po’ sta!
Santa Lucia tu tiene / Solo ‘nu poco ‘e mare,/ Ma cchiù luntana staie, /Cchiù bella pare! / È ‘o canto d’ ‘e Ssirene / Ca tesse ancora ‘e rezze, / Core’, nun vo’ ricchezze: Si è nato a Napule ce vo’ muri’!
Santa Lucia, / Luntana ‘a te / Quanta malincunia! Se gira ‘o munno sano, / Se va a cerca’ furtuna, /
Ma quanno sponta ‘a luna / Luntana a Napule nun se po’ sta!