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Nubi e stelle nella pittura.

La notte ha da sempre affascinato il mondo artistico, letterario e figurativo, sia come fenomeno astronomico sia come fonte di ispirazione. Nel mondo antico sono famose le rappresentazioni dei cieli stellati negli affreschi parietali delle tombe egizie, a simboleggiare la “notte del mondo”. Nel buio delle piramidi, l’unica luce è infatti la stella polare inquadrata da un’apertura nascosta, che guida il faraone verso l’aldilà. Gli affreschi stellati nel soffitto della tomba di Nefertari (Luxor) ne sono un esempio, con una trama di stelle a cinque punte definite pentagramma o stelle pitagoriche.

Tra le prime rappresentazioni della volta celeste nella pittura occidentale vi sono i mosaici paleocristiani bizantini, come il capolavoro nel Mausoleo di Galla Placidia di Ravenna (V sec. d. C.): una composizione semplice e stilizzata nei toni blu-oro, a simboleggiare il rapporto oscurità-luce divina, la cui armonia geometrica rispecchia quella cosmica. Per avere un cielo di intenzione naturalistica dobbiamo però aspettare la fine del 1200. Nel “Sogno di Innocenzo III” (Basilica di Assisi) Giotto interpreta il cielo come una semplice stesura cromatica blu-verde chiaro che rende la scena realistica, ma senza particolari caratterizzazioni atmosferiche. Sarà invece un suo collaboratore, Taddeo Gaddi, l’autore della prima scena notturna con l’“Apparizione dell’angelo ai pastori” (Firenze, Santa Croce, 1338) che presenta una ricerca di particolari effetti naturalistici grazie a sfumature, riflessi di luce e alla nube di fuoco dell’angelo. Centocinquant’anni dopo, è il genio “scientifico” di Piero della Francesca ad approfondire il luminismo notturno, soprattutto in seguito al suo soggiorno romano e ai contatti con l’arte fiamminga, attenta ai fenomeni atmosferici e al paesaggio. Dopo il suo “Sogno di Costantino” (Arezzo, Basilica di S. Francesco, 1458-66), è nella “Caccia notturna” di Paolo Uccello (1470, Oxford, Ashmolean Museum), altro maestro della prospettiva geometrica, che il paesaggio è caratterizzato da un forte naturalismo ricco di evocazioni onirico-mistiche.

“L’adorazione dei pastori” di Correggio (Dresda, 1522-30, Gemäldegalerie)

Nel XVI sec. il paesaggio notturno continua a essere rappresentato tra oscurità simbolica e osservazione attenta del fenomeno astronomico e meteorologico. Ne sono un esempio la “Liberazione di San Pietro” di Raffaello (Musei Vaticani, 1513-14), l’intensa “Pietà” di Sebastiano del Piombo (Museo Civico di Viterbo, 1516-17) e “L’adorazione dei pastori” di Correggio (Dresda, 1522-30, Gemäldegalerie). “Gli artisti, in particolare nei quadri ritraenti sfondi e paesaggi, hanno riprodotto fedelmente tre tipologie di nubi: cumuli, stratocumuli e nembostrati”, spiega Giulio Betti, meteorologo e climatologo dell’Istituto di bioeconomia (Ibe) del Cnr. “Per quanto riguarda le opere il cui soggetto principale sono le persone, l’elemento meteorologico si pone in secondo piano. Tuttavia, anche in questo caso, l’uso delle formazioni nuvolose, in prevalenza di tipo alto e sottile, risulta funzionale all’esaltazione del momento notturno. L’utilizzo delle nubi alte (cirrostrati, cirri e altostrati) risulta particolarmente felice nei dipinti di Correggio, Raffaello e Sebastiano del Piombo”.

Nel ‘600 si compie la rivoluzione scientifica galileiana e dei nuovi strumenti di osservazione. La “Fuga in Egitto” di Adam Elsheimer (1609, Londra, National Gallery) è stata realizzata nello stesso anno in cui Galileo presentava il cannocchiale all’Università di Padova e un anno prima della pubblicazione del “Sidereus nuncius”. “Le tre formazioni nuvolose, rese con particolare efficacia nelle opere di Elsheimer, Guercino (Paesaggio al chiaro  di luna, 1616, Stoccolma, National Museum), Aert van Der Neert (Moonlit Landscape with Bridge, 1648-50, Washington, National Gallery), sono tipicamente collegate a instabilità atmosferica”, prosegue il ricercatore del Cnr-Ibe”, tuttavia non è chiaro se siano state ritratte per esaltare la notte sfruttando i riflessi della luce lunare o se siano condizioni meteorologiche effettive di quel momento. In ogni caso, la cura del dettaglio denota una profonda conoscenza, derivata dall’osservazione dei fenomeni meteorologici”.

Nei paesaggi romantici il concetto di Sublime è espresso da William Turner attraverso una natura impietosa che colpisce con una sferzata di luce lunare il mare in tempesta in “Pescatori in mare” (1796, Tate Britain, London). Altro interessante notturno dell’artista è “L’eruzione delle Souffrier Mountains nell’isola di Saint Vincent” (1815, Liverpool, Victoria Gallery). “Qui, oltre all’uso dei colori – simile a quello delle marine notturne di Friedrich -, si nota la presenza di nubi basse (strati e nembi)”, continua Betti. “Tuttavia, nel caso dell’eruzione la maggior parte delle formazioni sono da associare all’eiezione di materiale piroclastico e polveri, mentre nel caso del quadro dei pescatori la luna fa capolino attraverso un cielo che denota forte instabilità. Non a caso il mare è ritratto come molto mosso e le condizioni per la pesca appaiono difficili se non proibitive. La presenza di nembi e nembostrati giustifica la presenza di una perturbazione”.

“Pescatori in mare” di William Turner (1796, Tate Britain, London)

Affascinanti anche le marine notturne “Riva del mare al chiaro di luna” (1836, Hamburg Kunsthalle) e “Tratto di mare al chiaro di Luna” (1827-28, Leipzig, Museum der bildenden Künst) di Caspar David Friedrich, altro protagonista del Romanticismo e della poetica del Sublime. “In queste opere è presente l’utilizzo frequente di nubi stratiformi (per lo più stratocumuli) che oscurano la Luna, ma che permettono alla sua luce di filtrarvi attraverso. Si tratta sempre di un gioco di nubi e luci, ma senza l’uso di formazioni a sviluppo verticale (cumuli) spesso ritratte dagli altri artisti”, aggiunge l’esperto. “Per quanto riguarda lo specchio marino poi, è interessante notare l’assenza di moto ondoso, un elemento coerente col tipo di nuvolosità, in quanto stratocumuli, altocumuli e altostrati, pur annunciando un peggioramento, raramente sono associati a marcata turbolenza”.

Infine, la magia del cielo notturno conquistò ovviamente anche l’espressionismo e la spiritualità di Van Gogh, di cui citiamo soprattutto “Notte stellata sul Rodano” (Starry night over the RhoneMusée d’Orsay, Parigi, 1888), efficace rappresentazione delle luci artificiali e degli effetti della Rivoluzione industriale nel paesaggio urbano e, a riprova del dialogo empatico che l’artista aveva con la natura, anche “Sentiero di notte in Provenza” (1890, Museo Kröller-Müller di Otterlo), interessante per gli astronomi. Il cielo, infatti, vi è rappresentato piuttosto fedelmente, essendo visibili persino Mercurio e Venere, a cui sembra che un Mercurio luminosissimo fosse in quei giorni molto vicino.

Luisa De Biagi

[Da “Almanacco della Scienza, N. 22 – 2 dic 2020, Quindicinale a cura dell’Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche]

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