Di Marina Agostinacchio
MARINA PETRILLO: INDICE DI IMMORTALITÀ
INCIPIT
Come fosse latente l’immortalità. Un vizio di forma portato alla luce e poi dimenticato. Nel guizzo che intercorre tra l’infinito tradotto ad istante e l’erosa memoria, si illumina l’inespresso sentire
“Nel guizzo che intercorre tra l’infinito tradotto ad istante e l’erosa memoria, si illumina l’inespresso sentire”.
Immaginiamo il cosmo. Ecco l’apparire di un contenitore, una trama di fili misteriosi, un continuum spazio-temporale, un multiverso, inteso nell’accezione di altri universi in dimensioni parallele, un involucro oltre il nostro spazio-tempo.
Esso è avvolto dal silenzio. Proviamo ora a pensare per un momento agli astronauti quando compiono le missioni spaziali, esterne allea navetta in cui viaggiano.
Cosa avvertono di quello spazio? Tutt’intorno regna il silenzio cosmico, un vuoto, in assenza d’aria e di molecole bastevoli alla trasmissione di vibrazioni sonore.
Ebbene, quel silenzio prelude a una “colonna sonora”, al movimento incarnato in cui gesto e parola prendono consistenza.
Per trama antesignana all’ordito
il cosmo non agita alcun gesto
Silenzioso assioma balbettato
da eventi insidiosi eppur perfetti
Il tacito rullio del pensiero intercetta
la spiraliforme eclissi della parola
Vuoto ponderato ad azione
Attrito postumo all’impatto
quando non v’è stupore nella visione
ma opposta sintesi in idea.
Fossimo nella vibrante Rete Universale
non avremmo che misterioso Codice supremo.
Al battere continuo alla porta dell’assoluto
risponde, in segnale, l’indice di immortalità.
Parrebbero il nulla-vuoto e il gesto, la comparsa, il suono che la parola trascina nel suo apparire, in una tenzone ben meditata, in cui lo scontro si manifesta come un clangore, un boato soltanto dopo l’avvenuto incontro tra le parti. E in questo trovarsi l’espressione “non v’è stupore nella visione/ma opposta sintesi in idea” si avverte una gioiosa disposizione d’animo ad accogliere il trascendente nell’immanenza del pensiero.
La scrittrice nell’espressione ottativa “Fossimo nella vibrante Rete Universale” accoglie presentendoli, i suoni dell’Universo, di quel trascendente, di quel Cosmo dai fili d’oro, in una prospettiva di comprensione del “Codice supremo” (cui si giungerà finito il nostro tempo), il “Silenzioso assioma balbettato/ da eventi insidiosi eppur perfetti”.
Ecco fiorire il senso di un pensiero dove il germoglio privilegiato è la parola che ci fa umani e universali, vagito e silenzio, manifesto e non detto, attrito e vuoto significativo, vita pregressa e nascita, “celeste sfacelo” , assenza e lallazione, balbettio, corpo.
C’è un “battere continuo alla porta dell’assoluto”, una volontà dichiarata di non perdersi nell’imbuto di un nulla, un non Universo, in assenza di volumi celesti di riferimento.
Superando la morte stessa, attraverso l’intuizione di una decodifica possibile, seppur per difetto, appare un’immagine, significativa visione di un umano che può di attingere all’angelico; in essa si può cogliere, intravedere, in uno scenario fugace all’angolatura di spazio che l’occhio è in grado di assumere, quanto si spalanca ai nostri occhi: il particolare cui ambiamo. Esso appare lontano, eppure è svettante; è “la Torre”, che ci indica con forza e stabilità, l’aspirazione al divino e al cielo.
MARINA PETRILLO