Al giorno d’oggi viviamo in una società in cui ancora persiste la disparità di genere, anche nella sfera scientifica. Il Piano per l’uguaglianza di genere nasce proprio per promuovere equità e inclusione anche in questo ambito. Di questo e dei suoi effetti abbiamo parlato con Maria Cristina Antonucci, ricercatrice dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr
Il Piano per l’uguaglianza di genere (Gender equality plan) si colloca all’interno della strategia europea 2020-2025 al fine di ridurre il divario di genere, promuovendo equità e inclusione. La Commissione Europea, seguendo questa linea, ha previsto che le Istituzioni pubbliche che vogliano accedere ai finanziamenti dei programmi europei quali Horizon Europe debbano dotarsi del Gender equality plan, la cui importanza è evidenziata da Maria Cristina Antonucci, ricercatrice dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr: “L’importanza di un Piano per la parità di genere all’interno di un’organizzazione scientifica si manifesta attraverso una serie di benefici che riguardano lo sviluppo dell’organizzazione stessa. Promuovere l’equità e l’inclusione, assicurando che persone di tutti i generi abbiano le stesse opportunità di accesso, progresso e partecipazione, costruisce un ambiente di lavoro più giusto e accogliente, intrinsecamente legato al modello di benessere organizzativo ormai centrale nelle riflessioni sulle organizzazioni scientifiche. Esso presenta anche il cruciale vantaggio di migliorare la qualità della ricerca. La diversità di genere, così come ogni altra differenza interna a un’organizzazione chiamata a produrre scienza e ricerca, introduce una varietà di prospettive, idee e approcci che possono arricchire significativamente l’innovazione, la riflessione e l’approfondimento scientifico. Oltre a garantire una migliore qualità dell’ambiente umano e professionale in cui si fa ricerca, questo aspetto di inclusione delle diversità è particolarmente rilevante quando si considerano le politiche di attrazione e trattenimento dei talenti scientifici. Un ambiente che valorizza, tra gli altri aspetti, la parità di genere è indubbiamente più attraente per un ampio spettro di talenti e contribuisce a creare un senso di appartenenza e soddisfazione che riduce il turnover e migliora la stabilità del personale coinvolto nel sistema della ricerca”.
Proprio riguardo ciò, è utile sottolineare che solo il 30% dei ricercatori al mondo sono donne. I dati di genere nell’accademia sottolineano come le donne ai vertici delle professioni nelle università e nelle istituzioni scientifiche, seppure in tempi recenti siano cresciute, restano una minoranza. “Si tratta a questo punto di ragionare su quali siano le condizioni, culturali, organizzative e strutturali che inibiscono un pieno sviluppo dei percorsi di carriera delle donne nelle carriere scientifiche, accademiche e di ricerca”, chiarisce la ricercatrice. “Parliamo prevalentemente di risorse connesse al potere accademico/scientifico (accedere a fondi di ricerca, gestire network di conoscenze attive su ambiti e settori scientifici, gestire tempi e modalità di svolgimento delle attività professionali) e che, tradizionalmente, sono state ad appannaggio di un ristretto novero maschile, connotato da determinate caratteristiche culturali, economiche e sociali. Questi network al maschile tendono a perpetuarsi più come modello culturale implicito che in misura funzionale allo sviluppo della scienza e della ricerca. Per questo, si sono rivelate efficaci iniziative quali politiche di uguaglianza di genere più forti, programmi di mentoring e networking volti a sostenere le donne nella loro carriera scientifica, e un crescente riconoscimento dell’importanza della diversità e dell’inclusione per il successo organizzativo e per scardinare queste resistenze culturali ancora presenti nel mondo della scienza. Grazie a questi strumenti, le donne hanno dimostrato di poter introdurre approcci rilevanti e competenze preziose nei luoghi di lavoro scientifico, inclusa la capacità di gestire in maniera efficace tempi e modalità di lavoro, di rendere più fluide e cooperative le modalità relazionali dello svolgimento dei diversi compiti professionali e di promuovere ambienti di lavoro aperti e collaborativi”.
Il Piano per l’uguaglianza di genere, tra cui anche quello del Cnr, prevede finanziamenti interni volti al rientro lavorativo dopo periodi di sospensione per maternità e congedo parentale, ma anche azioni per sostenere la mobilità e le attività internazionali del personale con carichi di cura come ad esempio la genitorialità, tutti aspetti che hanno rilievo nella vita di una donna lavoratrice. “Si tratta di questioni fondamentali, a cui spesso si pensa meno. Le performance professionali delle donne tendono a essere più svantaggiate da periodi di fisiologica assenza dal lavoro, dovuti a carichi familiari e domestici specifici di determinate fasi della vita: matrimonio e figli, prima; assistenza e cura degli anziani, poi.” continua Antonucci. “Ma c’è un impatto della cura domestica e familiare anche nei periodi di ripresa delle attività lavorative, dopo l’esperienza della genitorialità, che spesso viene sottovalutato. Inoltre, a volte tali fasi di coesistenza di esigenze di cura e di impegno professionale si combinano, come si verifica nella ‘generazione sandwich’, definizione sociologica che identifica quella condizione adulta in posizione intermedia del continuum generazionale, equidistante dalle generazioni più giovani e da quelle più anziane, sia in termini di età che di relazioni intergenerazionali. Soprattutto se si tratta di donne, questa collocazione comporta simultaneamente le responsabilità legate alla cura dei figli e all’assistenza agli anziani, con evidenti conseguenze dirette sulla vita professionale”.
Spesso ci si chiede da cosa realmente derivi il cosiddetto “gender gap”, molti studi individuano la sua origine proprio nella cultura dei popoli in cui troppo spesso la figura femminile è, appunto, relegata nell’ambiente domestico, lontana da una carriera lavorativa o da posizioni di rilievo nella società. “La circostanza di cui si parlava in precedenza, infatti, risulta più incisiva sui percorsi professionali delle donne soprattutto in contesti, come quello italiano, in cui la componente familiare di welfare supplisce in maniera significativa alle croniche carenze infrastrutturali in termini di assistenza e cura a minori, anziani, persone con disabilità, fragili”, conclude l’esperta. “Essendo prevalentemente le donne ad assumere tali oneri di gestione, cura e assistenza, in fasi diverse del ciclo di vita, particolarmente gravose e complesse, è davvero importante che nei piani per la parità di genere vengano adottate misure e azioni che sostengano e supportino i percorsi di crescita professionale delle donne in momenti specifici della vita, in cui il carico di cura domestica e familiare possa rendere difficili percorsi di crescita personale e professionale”.
[Almanacco della Scienza N.3 marzo 2024]