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L’Opera del Settecento Veneziano di Baldassarre Galuppi: uno stile unico e tutto italiano!

Articolo di Salvatore Margarone

Baldassare Galuppi

Il Settecento è soprattutto il periodo della massima espansione, in patria e all’estero, dell’opera italiana o, più correttamente, dell’opera in stile italiano.

Alle fortune dell’assolutismo si accompagna un incremento del mercato operistico: con la sua magniloquenza l’opera corrisponde perfettamente a quell’esigenza  di prestigio culturale che il modello di Versailles ha diffuso in tutte le corti europee. Parigi, Vienna, Dresda, Berlino, Pietroburgo, nonché Londra, costituiscono per i cantanti, musicisti, librettisti, scenografi e architetti italiani una piazza ambitissima, più esigente ma anche più proficua di quella italiana ove la gestione teatrale grava su impresari che devono fare i conti con i costi dello spettacolo. Insieme all’universale accoglienza, il fatto che i principali esponenti dell’opera italiana nel Settecento siano paradossalmente degli stranieri come Häendel, Gluck e Mozart, sottolinea il carattere convenzionale di “italianità” di  questo genere teatrale, che, fatta eccezione per la lingua, non ha in fondo contenuti autoctoni e veri legami con la realtà italiana.
Ciò dà anche ragione di quell’altro fatto paradossale per cui, in un secolo di massima disgregazione sociale e culturale, un unico tipo di melodramma riunisca in Italia le più diverse realtà cittadine, da Napoli a Venezia, e i ceti più disparati; più che una coscienza nazionale ante litteram, la generale infatuazione per il melodramma di questo secolo esprime piuttosto un vuoto culturale e l’assenza di reali alternative.

Fatta questa breve introduzione, senza dilungarci oltre, andremo ad esaminare uno dei maggiori compositori dell’epoca: Baldassarre Galuppi, detto anche il Buranello, nato a Burano – Venezia nel 1706 e morto a Venezia nel 1785.
Dopo i primi studi condotti col padre, divenne allievo di A. Lotti. Maestro del coro dell’ospedale dei Mendicanti  nel  1740, passò poi alla Basilica di S. Marco in qualità di vice maestro nel 1748,  e poi nel 1762, come  maestro di cappella.


Tre anni dopo si trasferì  a Pietroburgo, chiamatovi  da Caterina II, rientrando in seguito a Venezia nel 1768 nelle sue mansioni ed attività precedentemente interrotte.
Compositore fecondissimo, Galuppi scrisse un centinaio di opere teatrali, una trentina di oratori, molte pagine di musica sacra, concerti per vari strumenti e 85 sonate per clavicembalo.
Fu l’opera comica a dargli fama duratura; ma a quel genere Galuppi era approdato tardi, nel 1744, dopo numerose affermazioni e riconoscimenti avuti con il melodramma serio, oltre che con il genere giocoso: si ricordano tra le tante opere in particolare “ Adriano in Siria, 1740, La Clemenza di Tito, 1760.
Determinante fu l’apporto di Carlo Goldoni, del quale Galuppi, mise in musica ben 20 libretti, fra cui L’Arcadia in Brenta che segnò l’inizio della collaborazione nel 1749, Il Mondo della Luna del 1750, Il Paese della Cuccagna del 1750, Il mondo alla rovescia del 1750, e il suo capolavoro in assoluto nel genere Il filosofo di campagna del 1754.


In tutte queste opere si distingue una grande qualità di stile e gusto formale ben diversi da quelli in uso presso i maestri napoletani; a Napoli, del resto, Galuppi, non fu mai apprezzato, diversamente da quanto accadde nelle principali capitali europee. L’approfondimento psicologico, sottilmente sottolineato anche dall’orchestrazione impeccabile, tende a porre in rilievo gli atteggiamenti patetici e sentimentali, preparando in tal modo il terreno ai maestri dell’epoca classica; e certamente Haydn, nel musicare alcuni di quegli stessi libretti goldoniani, guardò a Galuppi come un modello, cogliendo il senso dell’alternativa da lui implicitamente posta allo stile napoletano imperante.
Galuppi ama commentare l’azione, seguire il rapporto poesia-musica evitando il canto fine a se stesso, insistere su temi chiari e netti, ritmicamente ben sbalzati.
Proprio il ritmo è elemento costituente lo stile galuppiano: ne sono riprova proprio le 85 sonate per clavicembalistiche, le quali, se presentano negli adagi inflessioni quasi patetiche e una cantabilità raffinata, nei tempi veloci offrono  la testimonianza tangibile di quell’impressionismo ritmico che è tipico del clavicembalismo italiano dell’epoca; in questo senso Galuppi è forse, dopo Domenico Scarlatti, il più importante autore di musiche per strumento a tastiera apparso in Italia prima di Clementi.

Compose ancora 27 oratori, molta musica sacra, 2 concerti per clavicembalo e 3 per flauto, archi e continuo, 1 trio per flauto, oboe e continuo, 7 concerti a quattro per archi.

Oggi delle opere di Galuppi non vi è più nessun cenno da parte dei teatri lirici; come sempre tutto il repertorio Barocco, splendido, ricco e spumeggiante, viene accantonato, quando invece andrebbe riscoperto ed offerto al pubblico,  per stanare quelle radici storico-filologiche  del melodramma che oggi si intende diffondere.

Certo, ardua scelta sarebbe questa, in quanto le opere barocche non sono di così semplice approccio, necessitano di una cultura musicale completa, cosa quest’ultima non facile, vista la sterminata produzione che il ‘700 ci ha lasciato in eredità; proprio per questo motivo l’eredità andrebbe tramandata di generazione in generazione, per una crescita culturale musicale più congrua e consapevole.

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