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L’olio è esausto? Facciamone carburante

di Alessia Cosseddu

La sostenibilità energetica a lungo termine deve ridurre al minimo la concorrenza con la filiera alimentare. Come superare il dilemma “food vs fuel”? Ricercatori dell’Istituto di chimica biomolecolare e dell’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Cnr hanno messo a punto un metodo di produzione che è stato anche oggetto di brevetto

A differenza dei combustibili fossili, i biocarburanti sono ottenuti da fonti rinnovabili. La loro produzione nell’ultimo decennio è aumentata, portando però con sé qualche inconveniente. Mais, canna da zucchero o olio vegetale possono essere utilizzate sia come alimenti o mangimi, sia per soddisfare la richiesta energetica, ma se i terreni precedentemente destinati a coltivazioni per uso alimentare vengono sfruttati per la produzione di biocarburanti questa conversione, con una popolazione mondiale in forte incremento, si scontra con la sempre maggiore richiesta di cibo. La sostenibilità energetica a lungo termine deve quindi ridurre al minimo la concorrenza con la filiera alimentare. Un’opzione per superare il dilemma “food vs fuel” è il ricorso a materie prime non destinate all’uso alimentare, come ad esempio gli oli vegetali esausti.

In questo contesto si inserisce il lavoro di alcuni ricercatori Cnr dell’Istituto di chimica biomolecolare (Icb) di Catania e dell’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati (Ismn) di Palermo, che hanno messo a punto un metodo sostenibile per la produzione di biocarburanti, oggetto anche di un brevetto. Ce ne parla Carmelo Drago del Cnr-Icb, tra i titolari del brevetto: “La riciclabilità dei rifiuti potrebbe avere un ruolo fondamentale per la produzione di biocarburante. La nostra attenzione è rivolta agli oli di frittura esausti di provenienza sia domestica che industriale”.

In Italia si stima una produzione di oltre 260mila tonnellate di olio vegetale esausto all’anno (dati Conoe 2018), il cui opportuno recupero e riutilizzo nel settore energetico costituisce una fonte di vantaggi economici e ambientali, trasformando un rifiuto in risorsa. La procedura messa a punto dai ricercatori consiste in un processo “one pot”, assistito dalle microonde. “Il metodo ha il vantaggio di essere adatto alla trasformazione diretta di oli vegetali acidi, ovvero oli con un contenuto non trascurabile di acidi grassi liberi (Ffa), che generalmente non possono essere utilizzati in un impianto tradizionale per la produzione di biodiesel senza un adeguato pretrattamento che inevitabilmente incide sul costo di produzione”, spiega Drago. “L’elevata temperatura dei processi di frittura e l’acqua presente negli alimenti accelerano l’idrolisi dei trigliceridi aumentando la componente di acidi grassi liberi nell’olio. Questo fa sì che l’olio usato mostri un’acidità nettamente superiore rispetto allo stesso prima dell’uso. Abbiamo dimostrato che il nostro processo è in grado di trasformare con efficienza questa tipologia di scarti”.

Nello specifico, il biodiesel è generalmente una miscela di esteri metilici di acidi grassi ottenuta per transesterificazione dei trigliceridi (olio vegetale) con metanolo, in presenza di un opportuno catalizzatore. Un aspetto comune alla produzione industriale classica di biodiesel riguarda l’inevitabile formazione come co-prodotto di glicerolo, che deve essere necessariamente rimosso, e il cui trattamento ha un impatto sulla spesa dell’intero processo produttivo. “Il nostro metodo one pot ha come punto di forza non solo la completa conversione dei trigliceridi nei corrispondenti esteri metilici, ma porta anche alla completa trasformazione del glicerolo nei corrispondenti eteri terz-butilici che non devono essere allontanati dalla miscela finale, ma sono considerati parte integrante del biocarburante poiché adatti al processo di combustione. La miscela ottenuta può essere quindi direttamente utilizzata come carburante”, continua Drago. “Gli oli esausti di frittura possono essere utilizzati direttamente per la trasformazione in biocarburanti dopo una semplice filtrazione da eventuali residui solidi presenti e l’eccesso di reagente, utilizzato nel processo, è recuperato mediante distillazione per essere destinato al riuso”.

Il prossimo passo sarà arrivare a una produzione in larga scala: “È stata intrapresa un’attività di ingegnerizzazione e prototipazione per uno sviluppo industriale del processo in collaborazione con le società Ics S.r.l. e One-Pot S.r.l., con sede rispettivamente ad Augusta e a Siracusa. Insieme abbiamo progettato, costruito e ottimizzato un primo impianto pilota per la validazione industriale del processo one pot (nella foto) con l’obiettivo comune di sviluppare impianti per la produzione di biocarburanti da oli vegetali esausti e di scarto provenienti dalla filiera agro-alimentare”, conclude l’esperto.

{Almanacco della Scienza N.10, 2022]

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