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Lingua, migrazioni, identità

di Claudio Barchesi

La Settimana della lingua italiana nel mondo celebra quest’anno la sua 24ma edizione, ispirandosi al tema “L’italiano e il libro: il mondo fra le righe”. La manifestazione, nata con l’obiettivo di porre l’accento sull’impegno del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale nella diffusione della lingua italiana nel mondo, è rivolta non solo agli stranieri ma anche ai nostri connazionali emigrati all’estero

Il rapporto tra migrazioni e lingue è dinamico e complesso. La migrazione non è solo un movimento di persone, ma anche di culture, valori e lingue, bidirezionale. Mentre i migranti cercano di assimilare la lingua del Paese ospitante per meglio integrarsi, elementi della loro lingua e della loro cultura di origine finiscono con il fondersi nella cultura locale, con fenomeni di arricchimento e trasformazione del panorama linguistico complessivo. Elton Prifti, professore di Filologia romanza presso l’Università del Saarland (Saarbrücken) e condirettore del monumentale progetto del Lessico etimologico italiano (Lei) spiega: “La storia dell’umanità è storia di migrazione. La lingua, quale elemento culturale fondamentale, è soggetta anche a mutamenti naturali causati dalla migrazione. La descrizione, l’analisi e l’interpretazione di tali cambiamenti è oggetto principale della linguistica migrazionale. Si tratta di una disciplina scientifica piuttosto recente, con basi teoriche e metodologiche proprie e contraddistinta da una fitta interazione con altre discipline affini, tra le quali spiccano la sociolinguistica, la linguistica contattuale e quella variazionale. In ambito italoromanzo vanno ricordati gli studi inerenti a isole linguistiche prodotte dalla migrazione, specialmente nell’Italia meridionale. In ambito italianistico, principale oggetto di studio è stato inizialmente il processo di italianizzazione delle minoranze linguistiche in Italia, tra le quali occupano un posto importante quelle costituitesi in seguito alle cosiddette immigrazioni storiche. La linguistica migrazionale stricto sensu ha cominciato a consolidarsi negli anni ’80. Gli ultimi due decenni rivelano una crescita dell’attenzione per le questioni metodologiche. Quanto ai campi di ricerca, risultano tra i più ambiti quelli inerenti alle comunità maggiormente note e consistenti di emigrati italiani nel mondo”.

Di questi studi è vetrina italiana la collana “Plurilinguismo e migrazioni” edita da Cnr Edizioni – in formato digitale e open access -, che promuove e divulga studi e progetti di ricerca sui fenomeni di plurilinguismo connessi alle migrazioni anche culturali, senza preclusioni temporali e storico-geografiche e tenendo presenti più prospettive disciplinari.

Un aspetto altrettanto importante da tenere in considerazione è il valore culturale e identitario della lingua, che ha accompagnato in modo costante, ma discontinuo, la storia dell’emigrazione italiana, anche di quella più recente. Per gli emigrati mantenere o riappropriarsi della propria lingua d’origine è stato un modo per conservare il legame con le proprie radici culturali e trasmetterle alle nuove generazioni. “Come tutti i grandi cicli migratori anche quello italiano ha conosciuto l’evoluzione e la stratificazione di generazioni differenti. Agli inizi del flusso migratorio italiano, la maggior parte degli emigranti del nostro Paese era analfabeta e aveva una conoscenza linguistica limitata prevalentemente al dialetto delle zone di origine. Nel periodo che coincide con i primi anni del Novecento e con i primi anni successivi alla prima guerra mondiale, le istituzioni italiane avviarono quindi campagne di alfabetizzazione rivolte proprio ai candidati all’emigrazione, che precedevano la partenza”, spiega Michele Colucci, responsabile scientifico delle attività di ricerca in Storia delle migrazioni dell’Istituto di studi sul Mediterraneo (Ismed) del Cnr. “Tali iniziative erano improntate all’esigenza di fornire un adeguato bagaglio di istruzione agli emigranti, sia perché le esigenze degli Stati interessati all’emigrazione erano più inclini a preferire manodopera capace di leggere e scrivere, sia perché l’alfabetizzazione era considerata una risorsa in più per evitare truffe e sfruttamento”.

L’esperienza migratoria all’estero ha permesso paradossalmente a molti cittadini italiani emigranti di scoprire la propria lingua nazionale. “All’interno delle collettività emigrate l’uso dell’italiano rappresentava una forma di incontro e ricomposizione tra persone provenienti da luoghi diversissimi dell’Italia. Su questo molti studiosi, a partire da Tullio De Mauro, hanno scritto pagine fondamentali, a partire da lunghi percorsi di ricerca”, prosegue il ricercatore del Cnr-Ismed. Nel corso del tempo con l’alfabetizzazione di massa della società italiana, la conoscenza dell’italiano tra gli emigranti in partenza è aumentata, ma è diminuita tra chi era già da tempo all’estero. “Negli ultimi decenni, in molti Stati caratterizzati da importanti cicli passati di emigrazione è rinato un movimento di riscoperta della lingua. Persone di origine italiana, nuovamente orgogliose della loro provenienza, hanno in questo modo potuto riallacciare i rapporti con la loro lingua, grazie a corsi appositamente pensati per loro”, aggiunge Colucci.

Fabrizio Iurlano, già direttore per il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) degli Istituti italiani di cultura di Vienna e Praga, conferma questa realtà: “L’offerta di formazione sulla lingua italiana che gli Istituti italiani di cultura e, in parallelo, le Rappresentanze diplomatiche e consolari nel mondo propongono non è diretta solo a stranieri che amano l’Italia o intendono apprendere la nostra lingua quale strumento di qualificazione ai fini della carriera, ma spesso proprio e anche agli oriundi italiani che vogliano mantenere o recuperare i legami linguistici con il nostro Paese, con tutti i risvolti anche psicologici e culturali che questa riappropriazione comporta.  L’azione del Maeci in questa prospettiva è caratterizzata da un impegno a 360°: non solo corsi, ma anche conferenze, convegni, seminari di formazione, eventi letterari, musicali, misure di informazione e formazione offerte on line, contributi ad associazioni culturali italiane, per portare così su scala globale l’attenzione sull’italofonia e sul nostro Paese”.

Fonte: Elton Prifti, Università del Saarland (Saarbrücken), elton.prifti@uni-saarland.de;  Michele Colucci, Istituto di studi sul Mediterraneo, michele.colucci@ismed.cnr.it; Fabrizio Iurlano, Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, fabrizio.iurlano@esteri.it

[Almanacco della Scienza N. 9, ottobre 2024]

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