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L’eleganza dell’opera buffa al Teatro Filarmonico di Verona

Recensione di Federico Scatamburlo

Si chiude con eleganza la stagione del Teatro Filarmonico di Verona, che riprenderà il 21 giugno con la stagione lirica estiva all’Arena di Verona. Sono in scena infatti fino al 26 maggio Il Maestro di Cappella di Domenico Cimarosa e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini.

La prima è uno dei tanti componimenti operistici che Cimarosa scrisse, ben sessanta, tutte per lo più opere comiche, eleganti, coinvolgenti e con una vivace orchestrazione. Il maestro di cappella in origine è il musicista che cura la musica per la piccola chiesa privata del nobile (la cappella), ma in seguito il termine definisce il maestro di corte, figura più importante tra i musicisti a servizio dei nobili.

In questo intermezzo l’autore dipinge musicalmente un maestro di cappella alle prese con una piccola orchestra indisciplinata, composta da archi (violini, “violette”, violoncelli e contrabbassi), oboi, flauti e corni. Il maestro si sforza di far capire agli strumenti le melodie da eseguire e con la sua voce imita i timbri di ciascuno di essi. Tutta l’esecuzione risulta divertente perché il maestro, a tratti ridicolo e a tratti adirato, dialoga con gli strumenti: la componente umana degli orchestrali non esiste, solo strumenti personificati che disubbidiscono, rispondono, sbagliano, ma alla fine, a furia di ripetere, riescono a suonare bene. Questo squarcio della vita del settecento, reso piacevole dalle trovate musicali del compositore, è reso alla grande dalla messa in scena del Teatro Filarmonico di Verona.  Il sipario si apre su uno splendido dipinto d’epoca: Michele Olcese crea una piccola sala dagli arredi perfettamente collocati nell’epoca, sfarzosi e soffocanti, dove troviamo comodamente seduti con i propri strumenti buona parte degli orchestrali del Teatro, che Silvia Bonetti ha vestito in bellissimi e sgargiantissimi abiti settecenteschi, completi di parrucche.

Complici le calde luci di Paolo Mazzon, l’atmosfera è voluttuosa, elegante e raffinata. Al ritmo della musica a tratti volutamente disordinata, a tratti ordinata (comunque magnificamente eseguita dall’Orchestra del Teatro Filarmonico di Verona), si muovono leggiadri ballerini e ballerine (coordinati da Luca Condello), divertiti ospiti dell’evento.

 

In primo piano: Alessandro Luongo e Alessandro Bonato

Unico cantante in scena è proprio lui, il maestro, basso, o meglio basso comico. E’ bello notare come una voce che normalmente si associa solo a ruoli drammatici o cattivi, possa invece anche diventare estremamente comica e divertente. Alessandro Luongo è perfetto in questa parte, visibilmente divertito e veramente padrone della situazione. Agilità snelle e senza esitazioni e un perfetta intonazione lo rendono un degno Maestro di Cappella.

La regia di Marina Bianchi è semplice ma efficace dall’inizio alla fine, e bravo anche il direttore, Alessandro Bonato, che per una volta ha dovuto suo malgrado essere a sua volta “diretto” da un collega.

La seconda parte della serata felicemente prosegue con Gianni Schicchi, uno dei tre atti unici che compongono, assieme a Il Tabarro e Suor Angelica, il Trittico di Giacomo Puccini, su libretto di Giovacchino Forzano. Il soggetto trae spunto da un breve episodio della Divina Commedia (Inferno).

Nella sua casa di Firenze è da poco spirato Buoso Donati, e i suoi parenti lo vegliano in preghiera. Corre voce che Donati abbia lasciato i suoi beni in eredità ai frati, fatto confermato dal ritrovamento del testamento. Rinuccio (tenore), qui interpretato con voce leggera ma salda e convincente da Giovanni Sala, propone alla famiglia di ricorrere alle note arguzie del futuro suocero, Gianni Schicchi, per rientrare in possesso dell’eredità. Rossana Rinaldi, nel ruolo della cugina Zita detta la Vecchia, leva subito le sue proteste per le origini plebee di Schicchi. Splendida esecuzione per questa mezzosoprano: mai un cedimento dall’inizio alla fine della sua performance, sia vocalmente che scenicamente. Schicchi quindi inizialmente rifiuta di dar loro aiuto ma una lodevole Barbara Massaro, nei panni di Lauretta, figlia appunto di Gianni Schicchi, riesce a convincere il padre, con bellissimi filati nella celeberrima aria O mio Babbino Caro. Dunque Schicchi elabora un piano che diventa chiaro a tutti quando imita la voce del defunto al Dr. Spinelloccio i cui panni sono indossati da un ottimo Alessandro Busi, venuto a controllare la situazione. Quel che i parenti non prevedono però, è che il finto Buoso, sul letto di morte, detterà un testamento che destinerà l’eredità più ambita proprio a sé stesso, e non potranno opporsi per non incorrere nella giusta punizione (il taglio della mano) per questo tipo di imbroglio. Diventato dunque padrone di casa, scaccia tutti, e, mentre Rinuccio e Lauretta amoreggiano sul divano, spiega al pubblico in sala di aver osato tanto solo per il bene dei due fidanzati.

Rossana Rinaldi (Zita la Vecchia)
Da sinistra: Giovanni Sala (Rinuccio) – Barbara Massaro (Lauretta) – Alessandro Luongo (Gianni Schicchi)

Veramente bravi anche tutti gli altri interpreti che hanno riempito il palcoscenico: Elisabetta Zizzo, Nella, moglie di Gherardo (nipote di Buoso) che è Ugo Tarquini; bravissimo Dario Giorgelè, Betto di Signa, cognato più povero di Buoso;  Mario Luperi, Simone, cugino di Buoso;  Roberto Accurso, Marco, suo figlio;  Alice Marini, La Ciesca, moglie di Marco; due testimoni del finto testamento, Maurizio Pantò, il calzolaio Pinellino e Nicolò Rigano, il tintore Guccio.

Alessandro Bonato

Alessandro Bonato, che ha ripreso pieni poteri e funzioni dopo l’intermezzo, dirige una scattante Orchestra del Teatro Filarmonico di Verona con scioltezza e precisione. La musica scorre fluida, sicura, precisa e maestosa ma in perfetto equilibrio con il comparto vocale.

L’allestimento è quello del Teatro Regio di Torino con le scene di Saverio Santoliquido e i costumi di Laura Viglione. La regia è di Vittorio Borrelli e ripresa da Matteo Anselmi. Tutto è stato evidentemente studiato per favorire i cantanti, fondamentali per la riuscita di quest’opera. L’ambientazione è un’unica stanza della casa, la camera da letto del de cuius, e i pochi arredi non distraggono, ma anzi sono ben funzionali, lo svolgimento della storia. In origine ambientata nel 1299, in questo caso siamo in una Firenze forse dei primi del novecento, ma la storia è talmente attuale che potrebbe essere collocata anche nei tempi di internet e degli smartphone.

Il prossimo evento al Teatro Filarmonico sarà ad Ottobre con un’altra opera di Cimarosa, Il Matrimonio Segreto. Segnaliamo intanto la stagione estiva, che aprirà il 21 giugno con La Traviata con un inedito allestimento di Franco Zeffirelli.

Photo©ENNEVI

Questa recensione si riferisce alla prima di domenica 19 maggio 2019.

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