Site icon L'Idea Magazine

LA TORTURA PEGGIORE È L’INDIFFERENZA.

REPORTAGE  SULLA  TORTURA  E SULLA CONDIZIONE DETENTIVA

 

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 sancisce il Divieto di Tortura (art. 5).  Il 10 dicembre 1984 l’assemblea generale dell’ONU ha adottato la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. La Convenzione concretizza la proibizione generale della tortura, obbligando gli Stati contraenti ad adottare una serie di provvedimenti ad hoc, al fine di assicurare la prevenzione e la lotta contro le torture e con lo scopo di proteggere l’integrità fisica e spirituale delle persone private della loro libertà. In Italia il reato di tortura non esiste, è un reato generico, non un delitto proprio. La Convenzione Onu istituisce, analogamente ai Patti del 1966, un sistema di controllo internazionale. Gli Stati contraenti devono rendere conto, ogni quattro anni, alla Commissione dell’ONU contro la tortura (CAT), delle misure da loro adottate per adempire gli obblighi che la Convenzione impone loro. Con la ratifica da parte del 20° Stato membro, dal 26 giugno 1987,  la Convenzione dell’ONU del 1984 diviene efficace. 

Per la Repubblica Italiana la Convenzione stessa ha efficacia dall’11 febbraio 1989, avendo l’Italia depositato alle Nazioni Unite il relativo strumento di ratifica. La legge che autorizzava tale atto di ratifica (3 novembre 1988) includeva l’ordine di esecuzione d’uso per le norme della Convenzione, già di per se esaustive, con l’introduzione, di fatto, e direttamente,  nell’ordinamento italiano, degli obblighi della Convenzione ONU, di cui proprio gli art.1 e art.4 rimarcano l’obbligo per gli Stati di legiferare affinché qualunque atto di tortura (come pure il tentativo di praticare la tortura o qualunque complicità o partecipazione a tale atto) venga espressamente e immediatamente contemplato come reato nel diritto penale interno, conformemente alla definizione di tortura prevista all’art.1 della Convenzione, con specifiche pene adeguate. Emblematico e pregnante è, a tale proposito, l’articolo 2 della Convenzione Onu.

Ma qual è la definizione di tortura? In base all’art.1: “Ai fini della presente Convenzione, il termine tortura designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona, dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate”. Nei seguenti Stati europei la tortura è un delitto specifico: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Islanda, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito,  Slovenia, Slovacchia, Spagna (Legge 1995 art. 174), Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria. In Italia la tortura non è punita.

Alla Convenzione Onu, alla Dichiarazione Universale, alla Cedu (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, un trattato internazionale redatto dal Consiglio d’Europa, documento in francese e inglese. La Convenzione è stata firmata a Roma il 4 novembre 1950 dai 12 stati, tra cui l’Italia, al tempo membri; ed è entrata in vigore il 3 settembre1953. È stata ratificata, o vi è stata l’adesione, da parte di tutti i 47 Stati membri, al 22 giugno 2007, del Consiglio d’Europa, e ha istituito la Corte Europea dei diritti dell’uomo), ai vari trattati, si aggiunge in ordine cronologico il Protocollo opzionale Onu  (impone l’adozione di meccanismi di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti, tra cui un’istituzione indipendente di monitoraggio) finalmente ratificato e adottato anche dall’Italia, ma soltanto nel 2012. Nonostante i suddetti impegni presi in sede internazionale, nel Codice Penale italiano il reato di tortura non è mai stato inserito. Il reato non esiste, dunque non vi è sanzione, ma la tortura purtroppo, sì, esiste, ed è  praticata più frequentemente di quanto si possa immaginare. Manca nel nostro codice penale il crimine di tortura, nonostante esista un obbligo internazionale in tal senso dal  1984.

La  Costituzione italiana nell’articolo 13 afferma: “La libertà personale è inviolabile. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. La tortura è uno dei pochi crimini per i quali può procedere la Corte Penale Internazionale. È punita dal diritto internazionale. “La tortura è un crimine contro l’umanità” dichiara e scrive Patrizio Gonnella, nel suo recente libro, “La tortura in Italia. Parole, luoghi e pratiche della violenza pubblica, prefazione di Eligio Resta, postfazione di Mauro Palma (ex  presidente CpT  , Comitato europeo per la prevenzione della tortura) . Un libro che attraverso i vari capitoli (molto belli: Dignità umana, Dicotomie, Scandalo, Offesa, Libertà, Dolore, Tempo, Memoria, Luoghi della tortura, Mercato della Tortura, Prevenzione) e scrivendo di  accadimenti e casi umani (Torreggiani, Carlo Saturno di Manduria, Labita a Pianosa, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, il G8 di Genova, la scuola Diaz, la caserma Bolzaneto, Mark Cowell, giornalista freelance inglese che si trovava nella scuola Diaz in quei giorni tragici di giugno del 2001, Tblisi Ama detenuto maghrebino, et cetera), affronta la drammatica questione della tortura a 360°, un  accurato lavoro, molto interessante e di  pregevole qualità.

Patrizio Gonnella, nato a Bari, laureato nel 1990 in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bari con il massimo dei voti, attualmente collabora con la cattedra di Filosofia del Diritto all’Università Roma Tre. Dal 1993 al 1998 ha ricoperto incarichi di direzione degli istituti penali di Padova, Pisa, Pianosa e San Gimignano. Dal 1999 al 2001, in stato di comando dal ministero della Giustizia, ha svolto le funzioni di collaboratore parlamentare della vice-presidente del Senato, Ersilia Salvato, occupandosi principalmente di welfare, politiche pubbliche, partecipazione affari esteri, diritti umani e giustizia. Dal 2006 al 2008 è stato consulente a titolo gratuito del Ministro del Welfare sul tema delle  politiche di inclusione sociale delle persone tossicodipendenti. Gonnella, Presidente dal 2005 dell’associazione Antigone di Roma, da ben venti anni si occupa di carceri e diritti umani. Scrive per il Manifesto e Italia Oggi. Cura un blog su MicroMega e conduce, insieme a Susanna Marietti, la trasmissione Jailhouse Rock su Radio Popolare (argomenti della musica e delle prigioni). Ha scritto numerosi articoli e saggi sui diritti in carcere. Ha pubblicato, tra gli altri libri, ”Il carcere spiegato ai ragazzi”, scritto a quattro mani con Susanna Marietti.

“La dignità” apre il suo libro. Contrariamente a quanto avviene nelle Costituzioni di altri paesi e in molti atti di diritto internazionale, nella Costituzione italiana manca una definizione di dignità; essa non assume un’autonoma valenza giuridica. Manca un’affermazione di ordine generale sul modello di quella contemplata dall’art.1 della Legge fondamentale tedesca: “La dignità dell’uomo è intangibile, è dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”.

Non si parla di dignità in apertura della Costituzione italiana, ma soltanto nell’art.3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Se ne parla poi nell’art.36, Titolo III,  Rapporti economici, e nel secondo comma dell’art.41. Eppure  la Dudu (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani) afferma proprio, nell’art.1: « Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza ». 

Patrizio Gonnella

 

L’Idea: Perché la dignità è evocata, ma non come concetto prioritario?

Patrizio Gonnella: L’art.1 della Legge Fondamentale tedesca fu “un’autogenesi”, una specie di articolo “spontaneo”, una sorta  di catarsi per la Germania, un articolo frutto dell’orrore dell’Olocausto. In Italia, soprattutto oggi, dignità e libertà, uguaglianza, non figurano tra i diritti  primari, vengono menzionati e presi in considerazione in secondo luogo”.

L’Idea: Perché  in Italia  non è stato introdotto il reato di tortura nel codice penale ma,  ciononostante, la tortura è una pratica diffusa, come lei ben descrive nel suo libro?

Gonnella: L’ex viceministro degli esteri Pdl, del governo Berlusconi, Vincenzo Scotti (ex democristiano e co-fondatore di “Formula Bingo”, società che svolgeva consulenze per l’apertura delle sale bingo e che ottenne rapidamente metà delle concessioni governative; e poi rinviato a giudizio per peculato e abuso d’ufficio per lo scandalo Sisde, le accuse penali decaddero, ma per sopravvenuta prescrizione) dichiarò che “il reato di tortura in Italia non serve”. Fa comodo a molti che non venga introdotto il reato di tortura nel  codice penale del nostro paese. Purtroppo la lobby delle forze dell’Ordine agisce di concerto con le lobbies politiche e istituzionali. Inoltre la tortura è ancora legata alla vecchia idea di sanzione, di punizione. La tortura sovente è favorita e giustificata dal concetto errato di riabilitazione morale; spesso è ritenuto l’unico mezzo efficace per conseguire una riabilitazione morale oltre che sociale. Constatiamo purtroppo un paradossale rafforzamento del potere punitivo dello Stato sempre più arbitrario e indifferente al sistema costituzionale e internazionale dei diritti umani, come se la «sanzione punitiva» fosse l’unica prerogativa statuale rimasta. Ne deriva e si radica una diffusa impunità dei torturatori, che ha le proprie premesse nella necessità di rimarcare la supremazia del potere politico su tutto il resto. La tortura è crimine dello Stato. La tortura è crimine contro la dignità umana. Il detenuto già privato della libertà non deve essere torturato, vessato, umiliato, terrorizzato, spogliato della propria dignità. La libertà individuale è un impegno sociale. Il Presidente degli USA, Franklin Delano Roosevelt, nel suo discorso al Congresso del 6 gennaio 1941, individuò nelle quattro libertà “dal bisogno, dalla paura, di espressione, di credo” , il fondamento della pace possibile. Due libertà “da” e due libertà “di”. Non c’è pace senza giustizia. Non c’è pace senza libertà. La tortura fa sprofondare e vivere nella paura. La privazione della libertà personale è una condizione che non dovrebbe degradare la persona a oggetto né dovrebbe ridimensionare i diritti di cui la persona è titolare. La tortura non avviene necessariamente nei confronti di persone legalmente private della libertà. Moltissimi sono i casi di tortura che avvengono per le strade o nei “luoghi occulti”, segreti e nascosti…a danno di persone neppure formalmente fermate o arrestate.

L’Idea: L’Italia  è stata condannata, l’8 gennaio 2013, dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per “trattamento inumano e degradante” di sette carcerati detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza. La Corte di Strasburgo ha ribadito che “la detenzione non comporta la perdita dei diritti garantiti dalla Convenzione”. L’Italia era già stata condannata in precedenza, ma perché quella di gennaio 2013 è una sentenza “storica”?

Gonnella: Sentenza pilota e importantissima per vari motivi. Ai sette detenuti dovrà essere pagato un risarcimento di 100 mila euro, oneroso per lo Stato dunque, per danni morali. Nella sentenza la Corte invita l’Italia a porre rimedio immediatamente al sovraffollamento carcerario. I giudici chiedono inoltre all’Italia di dotarsi, entro un anno, di un sistema di ricorso interno che dia modo ai detenuti di rivolgersi ai tribunali italiani per denunciare le proprie condizioni di vita nelle carceri e ottenere un risarcimento per la violazione dei loro diritti. Con la sentenza emessa, l’Italia viene condannata una seconda volta per aver tenuto i detenuti in celle troppo anguste, spesso di soli tre metri quadrati. La situazione delle carceri italiane è allarmante, la condizione detentiva è terrificante. Un altro paradosso italiano: l’Italia ha una delle migliori legislazioni europee in materia di situazione carceraria, ma la realtà dei fatti è ben diversa. La prigione deve essere responsabilizzante, non castrante, e le torture e le violenze, fisiche, psichiche, morali, verbali, devono essere eliminate. Non si cancella dalla memoria la tortura e le ferite dell’anima bisogna renderle pubbliche. Non basta ingentilire il sistema, occorre cambiare il paradigma punitivo. Il sistema carcerario italiano è improntato alla umiliazione e alla infantilizzazione piuttosto che alla responsabilità, come invece avviene per taluni sistemi penitenziari dell’Europa settentrionale.

Tutti i momenti della vita carceraria sono scanditi da una richiesta scritta fatta su un modulo che si chiama “domandina”. Essa è formalmente rivolta “alla signoria vostra illustrissima”, ovvero il direttore, il superiore. Se il detenuto vuole parlare con il cappellano, se vuole un farmaco perché ha mal di testa, se vuole partecipare a un corso scolastico, se vuole fare qualsiasi cosa, deve compilare una domandina e sperare in una risposta che non si sa se mai riceverà. La sua vita dipende dal poliziotto di sezione, dal capoposto, dal caporeparto, dall’educatore, dal direttore. Una persona che si trova in questo stato, che è lo stato della persona senza libertà, sarà più soggetta ai rischi di violenze nonché meno disponibile a denunciare le torture subite. È una persona che in tutto e per tutto dipende da altre persone- scrive Gonnella nel libro, e, prosegue nell’intervista:

(Gonnella)“Più la vita carceraria viene costruita similmente alla vita libera esterna, minori saranno i rischi di tortura e maggiore la disponibilità personale alla denuncia. Più la privazione della libertà non determinerà negazione di tutti gli altri diritti, più sarà residuale la tortura”.

Tortura è anche diritti negati. Olanda, Norvegia, Danimarca e alcuni lander della Germania mettono a disposizione dei piccoli appartamenti dove detenuti condannati a lunghe pene, possono incontrare familiari, e partner. Francia  e Belgio sperimentano abitazioni dove coabitare con la propria famiglia per 48 ore. Croazia e Albania ammettono colloqui non controllati di  4 ore.  Usa e Canada permettono incontri in prefabbricati all’interno degli istituti penitenziari. In Italia spesso le carceri sono “lager”, frequentemente manca l’acqua calda, l’illuminazione è inadeguata, il sovraffollamento costringe a convivere in celle  piccole con troppi detenuti, strutture indegne di un paese civile. La sessualità (una sana sessualità è fondamentale per l’equilibrio e la salute psicofisica di  ciascun individuo) è un altro dei diritti negati.

L’Idea: Il secondo comma dell’articolo 18 della Legge 374 impone visite e colloqui in locali sotto il controllo a vista del personale. Perché  restrizioni  eccessive e sessualità negata  che destabilizzano, innescano aggressività, violenza, rabbia, autolesionismo, e vanno ad aggravare una situazione già  critica?

Gonnella: “Perché  non ci sono “premi”; il carcere è inteso soltanto come pena, punizione, aggiungiamoci poi la sovrastruttura morale italiana, la mentalità bigotta e moralista, e l’ingerenza da parte della Chiesa, il condizionamento della religione cattolica. Il carcere non è un luogo riabilitativo, è concepito come punizione, e la tortura è la conseguente e legittimata riabilitazione”.

La tortura è  da sempre presente nel mondo. Una visione indicativa e generale è fornita dal Rapporto 2008 redatto dall’organizzazione per i diritti umani Amnesty International: “a 60 anni dall’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani, la tortura è ancora presente in almeno 61 paesi, e processi iniqui si celebrano in almeno 54 paesi”. Ancora più pessimistico è il quadro delineato dai dati dell’Unione Europea: la tortura viene praticata in 102. Il metodo di tortura ampiamente più diffuso tra gli agenti di polizia dei vari paesi è quello delle percosse, inflitte con pugni o altri strumenti. Moltissimi i casi di stupro, molestie e abusi sessuali sui prigionieri. Tra gli altri metodi più utilizzati:l’elettroshock (accertato in 40 paesi) o le cinture elettriche, la sospensione del corpo (oltre 40 paesi), colpi di bastone sulla pianta dei piedi (oltre 30 paesi), soffocamento (oltre 30 paesi), finte esecuzioni e minacce di morte (oltre 50 paesi), detenzioni prolungate in isolamento (oltre 50 paesi), immersione in acqua o la simulazione di annegamento (il purtroppo celeberrimo ”waterboarding”), la privazione del sonno. “Doctors  of the Dark Side” è un documentario, disponibile per ora soltanto su Amazon (l’unico canale di distribuzione attuale), e realizzato in quattro anni da una psicologa clinica americana, Martha Davis. Il documentario parla: dei torture doctors, i medici che hanno scelto di formalizzare le tecniche cosiddette di enhanced interrogation, delle violenze e torture, della connivenza di medici e psicologi ad Abu Ghraib, a Guantanamo, nei Black Sites, le sedi segrete della Cia. “Se produrre un po’ di dolore ad alcuni fa del bene a molti, è assolutamente etico” ha affermato uno degli psicologi carnefici. La tortura è anche business, dà profitto.Il mercato della tortura è fiorente e non conosce crisi, nonostante sia vietato dal Regolamento CE del 27 giugno 2005 che vieta espressamente esportazioni e importazioni di merci per pena capitale, tortura, pene crudeli. Nel rapporto “Stopping the Torture Trade”, Amnesty International ha denunciato, tra il 1998 e il 2000, almeno 185 aziende di 25 paesi. Gli Usa si riconfermano alla guida della classifica, con almeno 97 aziende produttrici di armi elettriche, seguiti da Germania (30 aziende), Taiwan, Francia, Corea del Sud, Cina. Purtroppo anche l’Italia figura tra questi paesi, con diverse aziende di produzione e di vendita. Ma pure Gran Bretagna, Spagna, Repubblica Ceca, Polonia, Russia dispongono di un variegato campionario di strumenti di ferocia, violenze e crudeltà: bastoni, ceppi di ferro serragambe, serrapollici, manette “da elefante”, pistole paralizzanti, strumenti chimici “antisommossa”. Strumenti  spesso illegali negli Usa e in Europa, ma utilizzati in posti come Cina, Arabia Saudita, Egitto, Sudafrica, Israele, e lì legalmente esportati, senza controlli, anche per mezzo di triangolazioni  e operazioni di negoziazione e intermediazione. Tortura è anche vivere in una cella di tre metri quadrati. La situazione carceraria in Italia è da maglia nera, troppi  i suicidi nelle carceri, come quello di Sulmona, definito “il carcere della morte, dei suicidi”. Il sovraffollamento è uno dei problemi principali che affliggono le carceri italiane, non tamponato neppure dalla L.17 febbraio 2012, n. 9, conversione in L. del cd. “svuota carceri”, decr. l. 22 dicembre 2011, n. 211 (grazie allo ‘svuota carceri’, Monica Segatto, la poliziotta condannata a 3 anni e 6 mesi, ridotti a 6 mesi grazie all’indulto, è già ai domiciliari; Segatto,  in carcere a Rovigo da fine gennaio scorso, sconterà a casa sua i mesi rimasti, per omicidio colposo di Federico Aldrovandi). 

Il bilancio del governo Monti nel settore Giustizia ha molte  falle e pecche. Altro gravissimo problema è quello degli OPG, avrebbero dovuto chiuderli il 31 marzo 2013, ma ecco che arriva il rinvio di un anno della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, e chissà che fine faranno gli oltre 1500 ex reclusi…Costruire carceri costa, e di certo non è la panacea di tutti i mali; non è costruendo nuove carceri che si risolve il problema del sovraffollamento, dell’inadeguatezza e invivibilità delle carceri. Il boom dell’edilizia penitenziaria viene dagli Usa. Si limita l’accesso alle misure alternative, e le prigioni  esplodono, si prosegue con le “incarcerazioni di massa”: tossicodipendenti, malati, migranti, prostitute. Urge una moratoria sulla costruzione di nuove carceri ed occorre introdurre il numero chiuso, un tetto massimo (un numero massimo di detenuti) da non superare. La neo-eletta presidente della Camera, Laura Boldrini, ha di recente dichiarato che la riforma del sistema carcerario “non si può rimandare” e che “bisogna trovare misure alternative alla detenzione”.Esistono realtà carcerarie terribili come Poggioreale a Napoli,  Casa circondariale di Palermo Ucciardone. In Puglia, soprattutto a Turi, Lecce, Bari, la situazione è ritenuta tra le peggiori  del Sud Italia. Il Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria) ha denunciato anche di recente la situazione gravissima nell’Istituto penitenziario minorile Fornelli di Bari; frequenti sarebbero gli scontri e le percosse tra detenuti foggiani e baresi, scandaloso è anche il fatto che il Fornelli sia l’unica struttura minorile in Puglia. Ma esistono anche “oasi” più tranquille e realtà positive come quella di Bollate. L’Asom (associazione salto oltre il muro) è presente presso la II  Casa di reclusione Milano Bollate, dal 2007 con il Progetto Cavalli in carcere (www.cavalliincarcere.it). Si  tratta di un percorso riabilitativo nella devianza sociale, mediato dal cavallo (corso di formazione per artieri  rivolto ai detenuti). Il corso ha lo scopo del reinserimento sociale e lavorativo di persone in esecuzione di pena detentiva, e, al contempo, di pet therapy (il contatto con i cavalli aiuta nella gestione e nel controllo di aggressività e rabbia); i cavalli sono stati sequestrati alla criminalità organizzata, oppure venivano abusati, o sarebbero stati destinati al macello. Sicuramente un modello virtuoso, un carcere da prendere a modello. A giugno si firmerà nelle piazze italiane. Antigone, Cgil, l’Unione della Camere, e altri, hanno promosso tre leggi su immigrazione, droga, carceri. Tre leggi (www.3leggi.it) importantissime:

Tre anni fa l’appello promosso da Antigone insieme al quotidiano Il Manifesto, “per raccontare la galera” e rivendicare il diritto dell’opinione pubblica a “conoscere quanto accade nei penitenziari italiani”, per avere un bel dì “un carcere trasparente”, riscosse enorme successo, una valanga di firme, di adesioni. Sicuramente gli italiani, già sensibili a queste problematiche, non mancheranno di far sentire la loro voce e saranno firmatari informati e consapevoli. L’Umanità si riconosce da come tratta Madre Terra. Un  Paese civile  e democratico si riconosce da come tratta i detenuti, immigrati, donne, bambini, animali, e, purtroppo, sono ben poche le nazioni che possono fregiarsi di questo titolo; in Italia, occorre dire grazie agli attivisti, ai volontari, al Partito Radicale da sempre in prima linea e ad associazioni come Antigone.

Exit mobile version