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La punteggiatura nell’era digitale

di Maurizio Gentilini

Nei testi degli studenti si rilevano numerose carenze linguistiche, molte delle quali riguardano l’uso dei segni di interpunzione. A determinare queste ultime contribuisce senz’altro la sempre maggiore contaminazione della lingua parlata e, a seguire, di quella scritta con quella digitata. Lucia Francalanci, ricercatrice dell’Istituto Opera del vocabolario italiano del Cnr approfondisce questo fenomeno, concentrandosi in particolare sull’uso della punteggiatura

Nel febbraio 2017 una lettera pubblica inviata al Governo e al Parlamento da 600 professori universitari italiani – accademici della Crusca, linguisti, storici, filosofi, sociologi, economisti – denunciava le carenze linguistiche di gran parte degli studenti, evidenziando la presenza nell’italiano scritto di errori “appena tollerabili in terza elementare”.

Una recente indagine condotta dalle Università di Bologna, Pisa, Macerata e Perugia, denominata “Univers-Ita” e dedicata alla verifica delle capacità di scrittura degli studenti, ha coinvolto un campione di oltre 2.000 iscritti a 45 atenei italiani. È stato loro chiesto di redigere un elaborato di lunghezza compresa tra le 250 e le 500 parole, descrivendo la propria esperienza durante il lockdown. I testi sono stati analizzati e corretti sulla base di vari parametri, insistenti in particolare su lessico, grammatica, sintassi e punteggiatura. I risultati hanno evidenziato una media di 20 errori, dei quali la metà riguardava l’uso dei segni di interpunzione. Proprio questo ultimo elemento sembra caratterizzare la sempre maggiore contaminazione della lingua da parte del cosiddetto “ambito informale”, grazie al quale la lingua parlata (e poi scritta) assomiglia sempre di più a quella digitata, con strutture sintattiche elementari, scelte lessicali poco coerenti e costruzioni logiche frammentate. Di questo quadro, l’uso della punteggiatura appare la manifestazione forse più evidente.

Lucia Francalanci, ricercatrice dell’Opera del vocabolario italiano (Ovi), l’istituto del Cnr vocato allo studio dell’evoluzione storica della lingua, ci aiuta a inquadrare e contestualizzare i fenomeni sopra descritti, partendo dall’assunto che “le forme e gli usi della punteggiatura sono sempre stati caratterizzati da una variabilità nel tempo, di pari passo con l’evoluzione della lingua e delle abitudini nella scrittura”. L’avvento di nuove forme di comunicazione, soprattutto in ambiente digitale, hanno decisamente accelerato e diversificato questa variabilità, arrivando a definizioni come quella coniata dal linguista Roberto Antonelli di “italiano digitato” (o “e-taliano”).

A proposito dell’informalità crescente, del minore controllo e della semplificazione delle strutture sintattiche, della frammentarietà testuale, Francalanci richiama le tesi del linguista Paolo d’Achille a proposito dei requisiti di coerenza, coesione, unitarietà di un testo scritto nello svolgimento di un tema di fondo, mentre “il testo nella rete, e in particolare nei social, costituisce, di fatto, un frammento isolato che acquista un pieno significato solo all’interno nel suo contesto, ma non ha l’autonomia propria del testo scritto”.

L’uso della punteggiatura segue la generale semplificazione delle forme comunicative dell’italiano digitato.  “Si riscontra in primis l’assenza o la drastica riduzione di alcuni segni, come il punto e virgola e i due punti, legati a testi più strutturati e complessi, e ancora ben attestati nella narrativa, nella saggistica e nella scrittura giornalistica”, precisa la ricercatrice del Cnr-Ovi. “La segmentazione del testo nella scrittura digitale è limitata e spesso confusa, associata a un largo uso di emoticon”.

A proposito delle forme in cui la punteggiatura viene usata, la ricercatrice afferma: “Un altro aspetto peculiare è il ricorso sovrabbondante a punti esclamativi, punti interrogativi e puntini di sospensione, spesso in forma ripetuta; la ripetitività, e, in particolare, l’accumulo di diversi segni insieme (!!!!!!!!!!, !!??, ??!!) rispecchia un uso creativo della punteggiatura. Tali segni interpuntivi sono documentati nei testi letterari, giornalistici, nei fumetti e la loro ripetizione è una possibilità ammessa anche nella scrittura standard, in contesti che richiedono una certa espressività ed emotività, tuttavia è nell’italiano digitato che il punto esclamativo – come afferma l’accademica della Crusca Nicoletta Maraschio – sta conoscendo una stabilità e una fortuna che supera i diversi stili e generi testuali”.

Una sorte analoga riguarda i puntini di sospensione, in grande espansione nei testi digitali, ma anche in quelli letterari e giornalistici. “Nelle scritture in rete, i puntini sono spesso moltiplicati in sequenze che superano il classico numero di tre e sono collocati in posizioni inusuali (all’inizio, in centro e alla fine di una frase) a sostituire altri segni interpuntivi, in particolare il punto”, precisa Francalanci.

A proposito del punto fermo si possono evidenziare due tendenze. “Da una parte, il mancato uso come segno conclusivo della frase, in particolare quando la frontiera tra le frasi è segnalata da altri simboli grafici (come punti esclamativi, puntini di sospensione o faccine) o sostituita dall’operazione di invio (si pensi ad esempio ai messaggini). Dall’altra, il segno interpuntivo sembrerebbe subire una risemantizzazione, acquisirebbe cioè un nuovo significato specifico, andando a denotare fastidio, rabbia, freddezza, aggressività”, chiarisce l’esperta. “Tale connotazione particolare è invece assente nella scrittura tradizionale, dove il punto risulta un segno non marcato. Da notare anche il fatto che talvolta il punto non è seguito dalla lettera maiuscola, come invece richiesto dalle convenzioni grafiche”. Anche l’uso del segno della virgola presenta un valore decisamente diverso rispetto all’italiano scritto, “con l’espansione del suo dominio d’uso a contesti in cui generalmente sarebbe presente un altro segno”, continua la linguista.

La riflessione di Francalanci si chiude con un riferimento alla valutazione dell’uso della punteggiatura tipico dell’italiano digitato, che negli studi più recenti “Non viene considerato in termini di deviazione errata rispetto allo standard, ma piuttosto in termini di varietà di punteggiatura alternativa a quella standard e propria di un registro di scrittura informale”. Una considerazione che richiama quanto sostenuto da Antonelli (e condiviso da un altro maestro della lingua come il compianto Luca Serianni: “L’italiano digitato ha creato finalmente le condizioni per l’affermarsi di un italiano scritto informale”.

[Almanacco della Scienza Numero 1, 2024]

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