di Federico Scatamburlo
Il 24 aprile scorso è andata in scena l’ultima rappresentazione in cartellone de La Sonnambula, di Vincenzo Bellini e libretto di Felice Romani, al teatro Filarmonico di Verona. Stante le note difficoltà in cui versa la Fondazione Arena di Verona, ribadite con l’annuncio dato in sala prima dell’inizio della rappresentazione, ci sembra doveroso inviare un plauso particolare a tutto il personale del Teatro, che continua a prestare servizio regolarmente e, a prescindere da quello che si può commentare sulle interpretazioni dei singoli artisti, fornisce uno spettacolo di altissimo livello, ben concertato ed eseguito. In particolare è evidente l’impegno per il miglioramento continuo: rispetto alle altre date, l’insieme è stato decisamente più gradevole e corrispondente al libretto e alla partitura: in quest’opera infatti, indipendentemente dalla scenografia, se musica e cantabili non sono correttamente eseguiti è facile non distinguere il sogno dalla veglia, perdendo così dei passaggi fondamentali e il relativo pathos che ne consegue e che ci si aspetta.
Forse tra le opere più belle del “Cigno” catanese, Vincenzo Bellini, compositore complesso e sottovalutato da molti cantanti e orchestre, che lo affrontano molto spesso in maniera leggera, ma che non è certo di facile esecuzione. Nelle sue opere, comunque uniche, ritroviamo elementi Rossiniani e Donizettiani del primo ottocento, ma decisamente singolari per fattezze, cantabili e costruzioni melodiche.
L’orchestra “belliniana” richiede precisione, bel suono, bell’insieme, senza mai scadere in languidi momenti che storpierebbero e renderebbero poco gradevoli, quasi inascoltabili, le opere del “Cigno”.
In questa serata, per fortuna, abbiamo assistito ad una rappresentazione in stile tradizionale come richiedono gli amanti dell’opera, e che ha convinto non solo lo scrivente ma l’intero pubblico in sala che gremiva il teatro. La scelta dei cantanti, anche se qualche defaillance non è mancata, è stata appropriata, specie per la protagonista de La Sonnambula, che deve affrontare un ruolo estremamente difficile sia dal punto di vista vocale che interpretative.
Amina, interpretata dal soprano Irina Dubrovskaya, ha incarnato alla perfezione la giovane che, sonnambula, involontariamente crea una situazione che mette a rischio il proprio matrimonio: Irina ha dolcemente evidenziato le parti del sogno con accenti e spessore interpretativo ammirevoli, apprezzabili anche visivamente e decisamente coinvolgenti. Brava anche nelle colorature di cui questa parte è densa, ha sfruttato la sua capacità di “tenere” i picchi di tessitura, senza mancare di buon gusto, con bei legati, e sovracuti estremi di notevole corpo.
Giulio Pelligra ha vestito i panni di Elvino, futuro sposo di Amina. Voce esuberante, ha dato il meglio di sé solo nelle parti in cui il protagonista, irato, ricusa per gelosia il matrimonio; per il resto è sembrato piuttosto assente come innamorato, con una interpretazione piuttosto scolastica e una voce che, pur lasciando trasparire doti liriche piene, ad avviso di chi scrive necessita di maggior disciplina, ovvero di migliorare il controllo dell’emissione: sempre spinto per poter emergere, il suono non è risultato rotondo e ben piazzato, ma spigoloso e forzato, innaturale, anche se con volumi sontuosi, un tenore quasi “eroico” non adatto al ruolo del sentimentale Elvino, dal quale ci si aspettavano ben altre sfumature interpretative.
Il basso Sergey Artamonov è Il Conte Rodolfo: voce non molto profonda e drammaturgicamente piuttosto piatta, priva di colori che sarebbero stati indicati, tant’è che l’attesa aria “Vi ravviso o luoghi ameni” è passata relativamente inosservata con timidi applausi da parte del pubblico. Una convincente interpretazione invece quella di Madina Karbeli nei panni di Lisa, con buon timbro e vocalità, bei fiati e acuti prudenti ma ben eseguiti.
Completano il cast della data il mezzosoprano Elena Serra (Teresa), la bella voce di basso di Seung Pil Choi (Alessio) e infine Alex Magri (il Notaro).
Il giovane Maestro Francesco Omassini ha diretto con precisione l’impeccabile orchestra dell’Arena di Verona, con melodie volutamente leggere, quasi eteree, ma con tempi a volte un po’ troppo lunghi, e volumi contenuti per non coprire i cantanti, salvo qualche incursione più ampia durante le esecuzioni del Coro dell’Arena di Verona: un plauso particolare agli stabili diretti da Vito Lombardi, quasi sempre presenti in scena, con interventi di grande qualità ed efficace drammaturgia.
Di Hugo De Ana la regia, le scenografie e costumi. La bucolica natura svizzera è stata riprodotta con un onnipresente prato in primo piano, sul quale si alternano le varie scene (con cambi anche a sipario aperto). Insieme a pochi ma precisi elementi in movimento (a volte portati a mano da alcune comparse), sono state sempre presenti pure delle proiezioni cinematografiche sul fondale, che, con le loro immagini, hanno contribuito a semplificare notevolmente la regia intorno alle visioni oniriche della protagonista. Il tutto è risultato visivamente molto efficace, complici anche i magnifici costumi di evidente alta sartoria.
Concludiamo come abbiamo iniziato, con la nostra piena solidarietà verso tutte le maestranze artistiche del teatro. Ci complimentiamo per la loro encomiabile dedizione, serietà e maturità professionale, con la quale hanno confezionato ancora una volta uno spettacolo di qualità, in questo prestigioso teatro di fama internazionale.
Ci auguriamo che il nuovo commissario Carlo Fuortes riesca in un piccolo, grande miracolo, risolvendo la delicata situazione per ricreare nuovamente quel clima sereno necessario al prosieguo di produzioni di così alto livello, che fanno parte del nostro patrimonio artistico e culturale che tutto il mondo ci invidia, ma che sta lentamente estinguendosi (nonostante i sacrifici quotidiani del paese), grazie alla noncuranza interessata della classe dirigente italiana.