Giorno 8 luglio 2015 al teatro romano di Volterra, per il XIII Festival internazionale del teatro romano, uno spettacolo appena apparso sulle scene: “Kiron cafè”, da Senofonte, Ovidio e Dante, drammaturgia di Sebastiano Tringali e Aurelio Gatti, il primo anche protagonista sulla scena.
Lo spettatore si chiede all’inizio che strano luogo sia quello che s’illumina sul palco…una sorta di ostello, un luogo non luogo, in uno spazio non spazio, in un tempo non tempo…sospeso, tra la l’esistenza e l’inesistenza. E’ un caffé, il “Kiron Café”, un angolo recondito della memoria, in cui “il confine” tra tempo, spazio, identità dei personaggi, mito, realtà, modernità, globalizzazione s’impone e diventa il vero protagonista.
Il clima che si respira nel Kiron cafè è tragico, e, a suon di una musica popolare eseguita alla fisarmonica, tendente al ritmo del tango, e della danza. Si danza e si canta, anche, al cafè…Un canto che accompagna lo snodarsi dell’azione e che, a volte, diventa pressante e ripetitivo…come archetipo di linguaggio comune perduto dell’umanità sofferente.
I potenziali avventori del café sono profughi odierni, senza casa, senza patria, senza lavoro, senza cibo. I loro bisogni sono primari e imprescindibili…Quasi dei morti viventi, privi d’identità, apolidi, anonimi, ma con quella familiarità con il dolore che caratterizza tutti i personaggi allievi di Kirone. E’ l’approdare e il sostare nel Kiron cafè, quindi, che conferisce loro un’identità, quella che l’umanità va perdendo al giorno d’oggi, in una globalizzazione caratterizzata dalla predominanza dell’immagine sulla parola.
Forse, riflette lo spettatore, il cafè è anche il luogo dove sostano i personaggi del mito quando rimangono sopiti nella coscienza collettiva, che li dimentica ormai troppo spesso. E’ il luogo dove essi permangono e sopravvivono ai tempi della realtà, pronti a destarsi come da un sonno senza sogni, per restituire verità all’immaginazione, vita al mito.
Un luogo trascendente, dove si trascende, poiché l’identità di ognuno si palesa e trasforma di continuo, dando vita a momenti di tensione drammatica nella metamorfosi da essere umano a personaggio mitologico. Tutto un divenire simbolico, un entrare e uscire da se stessi e dagli altri: Achille, Briseide, i Dioscuri Castore e Polluce, Eracle furente, Arianna, Leda e molti, molti altri, dichiarati e sottintesi, rivivono al sublimarsi di quello che è il “confine” protagonista dello spettacolo: il limite tra il buio e la luce, nell’”attimo fermo”, in cui ciò che è invisibile si può vedere e ciò che è visibile può scomparire. L’attimo in cui Kirone può apparire uomo ma anche cavallo, rimanendo comunque il simbolo della trasformazione della temporalità in eternità.
Siamo tutti viandanti, tutti potenzialmente avventori del Kiron cafè : spettacolo originalissimo e di profonda concezione ideativa e drammaturgica, con uno sguardo alla Cosmogonia, reso ancora più pregevole dalla messa in scena sul palcoscenico millenario del teatro romano di Volterra, esso stesso pregno di tradizione e di mito: da non perdere.
© Natalia Di Bartolo
PHOTO NATALIA DI BARTOLO, TEATRI DI PIETRA, AA.VV.