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IN ESCLUSIVA: Intervista al baritono CARMELO CORRADO CARUSO

Intervista di Salvatore Margarone

Appena rientrato dalla sua ultima fatica in Georgia, l’”Attila” di G.Verdi, il baritono siciliano Carmelo Corrado Caruso ha gentilmente ed amabilmente risposto ad alcune nostre domande sul mondo della lirica:

Parlando di Carmelo Corrado Caruso artista, quando deve studiare una nuova opera, come la affronta?
In genere parto sempre dal testo. Se si tratta di un opera storica, mi documento sul periodo a cui fa riferimento; se ad esempio affronto Luisa Miller, mi documento anche su Schiller, ecc…, i primi passi sono sempre questi, non canto subito la parte; devo essere prima sicuro delle note, del solfeggio, e poi mi comincio a fare dei segni sullo spartito, riguardanti l’approccio vocale tecnico; il cantare la parte è l’ultimo passo. Questo lo suggerisco anche ai giovani cantanti quando mi chiedono dei consigli, perché ho notato spesso che molti prendono a modello video e tracce su Youtube e poi cantano, invece io ascolto qualche traccia solo alla fine dello studio, ascoltando i grandi illustri cantanti che hanno interpretato quella parte.

I registi di oggi in genere tendono a stravolgere la tradizione operistica nelle rappresentazioni; cosa pensa di questo?
Io mi ritengo fortunato, ma le opere in cui ho cantato con una regia moderna avevano comunque un loro pensiero, un approccio che ho accettato molto volentieri, ricordo una Tosca del 1999 con H. Brockhaus, in cui venne stravolta la regia tradizionale, ma se ci ripenso risulta ancora oggi molto di mio gradimento .

Invece con i Direttori d’orchestra com’è il rapporto?
Questo è un aspetto drammatico invece… perché spesso e volentieri non hanno conoscenza delle voci. Arrivano alle prove dicendo: “questo è il mio tempo!”. Mah… io ho lavorato con direttori i quali ogni sera, in base chi cantava, cambiavano il tempo; non c’era un “suo” tempo, ma un tempo giusto finalizzato a valorizzare quella voce. Ci vuole una padronanza tecnica per fare ciò, deve avere un braccio molto elastico e molto morbido abituato a seguire il cantante e nel frattempo comunicare il tutto all’orchestra, e poi altra nota dolente sono i volumi delle orchestre stesse: spesso troppo esagerati, e noi cantanti siamo costretti a superare dei suoni notevoli; ci vorrebbero dieci polmoni, non due…

Questo da cosa dipende ? Da una pecca dei direttori o delle orchestre?
No, non dalle orchestre, è un volere del direttore; un direttore non vuole inimicarsi un orchestra, quindi asseconda i volumi, e rende felice gli orchestrali, quindi li fa suonare a spron battuto! Questo è un problema che ho riscontrato ultimamente molto, molto spesso.

Maggiormente in Italia o all’estero?
Dappertutto! Ed è una cosa che non ricordo nemmeno in gioventù che accadesse, io ho iniziato che ero ragazzino, avevo 19 anni, ma non sentivo mai i cantanti lamentarsi, nè sui tempi dati da un direttore, nè tanto meno dei volumi di un’orchestra; non mi ricordo di questo tipo di lamentele. Naturalmente io a 19 anni non cantavo Rigoletto, facevo Marullo, all’epoca c’era Protti che cantava Rigoletto!

Secondo Lei è riconducibile al fatto che vi è un nuovo modo di pensare l’opera, oggi, da parte dei Direttori?
Non c’è un tempo per questo, nel senso che è tutto fatto a una velocità tale che non si ha più modo di confrontarsi; il poco tempo per le prove viene speso per la regia, infatti i molti che arrivano sul palcoscenico non hanno idea di cosa fare e si formano le idee strada facendo.

Dipende da una poca esperienza degli interpreti odierni o da poca esperienza dei registi che sono molto giovani?
Non saprei… è una bella macedonia fra tutte queste cose insieme. C’è anche da dire che i miei colleghi giovani non hanno una grande esperienza attoriale, trascurano questo aspetto, non sono preparati in questo ambito, infatti i registi creano maggiormente un’immagine, ma non vanno a lavorare sulla persona, non lavorano sul personaggio, pensano più ai movimenti di massa, come il coro, che molto spesso sono solamente schierati sul palco come fossero in un concerto più che in un’opera; come Faggioni non ce ne sono più, chi ha lavorato con personalità di questo calibro capisce cosa voglio dire e se lo ricorda pure, egli riusciva a creare quel movimento di massa di 80 persone che si muovevano con criterio preciso sul palco.
Se ad esempio si mette in scena un opera donizettiana, dove Elisabetta non è una regina “comoda”, diciamo così, il regista non può stravolgere storicamente questo personaggio rendendola in un altro modo, si snatura non solo il personaggio storico ma l’opera stessa.

Lei si ritiene un tradizionalista o è più proiettato verso un’opera moderna?
Io sono proiettato verso la gente che “pensa”. Nè tradizionalista, nè moderno, sono molto incuriosito da qualcuno che arriva con un’idea ben precisa, con una logica inerente alla musica, inerente al testo: un personaggio storico lo si può anche stravolgere, voglio dire, se prendiamo La Traviata ad esempio, la storia è talmente attuale che ci si può fare di tutto! La si può mettere in ogni epoca, come fece Verdi stesso il quale scandalizzò il pubblico che vide gli interpreti costretti a vestire abiti come i loro.
Ci sono poi opere fortemente legate ad un periodo storico, e in questo caso diventa molto molto difficile. Parlando di una Tosca, ad esempio, è una storia di violenza, di prevaricazione, un mettere in scena l’uso smodato del potere, cosa anche attualissima se vogliamo.

Nel suo repertorio notiamo molto Verdi, Puccini, per arrivare al repertorio francese. Ci sono preferenze?
Ho iniziato cantando molto Mozart, Pergolesi, Monteverdi, prima di arrivare a questo repertorio. Per natura sono molto curioso, non voglio inscatolarmi per definire cosa mi piace di più , dipende da cosa mi propongono di cantare, dipende dall’intelligenza di un interprete, non ho un mio ruolo preferito, pensandoci però, per rimettermi a posto la voce canto Germont, Traviata, mi trovo molto comodo in questa parte, sia vocalmente che scenicamente, è un balsamo per me.

Lei ama cantare anche un repertorio in Italia poco eseguito, purtroppo: la Liederistica. Cosa ha di diverso dall’opera e perché molti cantanti non lo propongono al pubblico?
Beh, anche io ormai lo propongo sporadicamente in concerto, è un repertorio molto complesso dove c’è bisogno di un’introspezione interiore. Io ho iniziato a studiarlo da ragazzo, molto giovane, studiavo all’epoca a Roma con la Sig.ra Margaret Baker, e con lei ho lavorato sulla liederistica per circa quattro anni, tutti i fine settimana, questo mi ha formato moltissimo, perché essendo sempre in gruppo con altri allievi, si ascoltavano anche le lezioni altrui, quindi nel frattempo imparavi il repertorio, gli stili diversi degli autori, ecc…; anche con i diversi pianisti a cui eravamo affiancati durante le lezioni arricchiva musicalmente, in seguito ho incontrato Dalton Baldwin , e con lui ho affrontato tanto repertorio francese e con tanti altri.
Però, purtroppo, in Italia non si riesce a vivere di questo, intendo solo con il cantare, ad esempio in Francia o in Germania, un cantante vive della sua arte perché viene stipendiato dai teatri dove lavora; mi ricordo benissimo un concerto in Provence con Dalton, in cui era seduta in prima fila Christa Ludwig, e dopo il concerto venne da me e mi disse: “Mi scusi , ma Lei è Italiano?”, “si”, risposi, e lei:  “e canta musica da camera?” “Si Signora, lo faccio da tanti anni”. “Strano, gli Italiani cantano solo Opera!”.
Questa curiosità per questo repertorio ha radici molto lontane , addirittura agli anni del Liceo, grazie al mio insegnante di Filosofia, che amava questo repertorio tedesco, e quando seppe che studiavo canto, mi spronò a provare alcuni Lieder, e così ho proseguito a studiarli ed approfondirli sempre di più. Questo repertorio è talmente alto … perché è basato su testi importanti che nell’opera non possiamo trovare. Autori come Heine, Goethe, mescolati a Schubert o Schumann, si arriva al sublime!
Quando, invece, da più maturo iniziai ad affrontare il grande repertorio operistico con il M° Luciano Bettarini, pianista e direttore d’orchestra, quindi non un cantante, ma fu colui che fece cantare Bastianini da Basso-Baritono, ha insegnato a Panerai, Taddei, Mario Sereni, Mietta Sighele… Egli diede moltissimo al canto; non era un cantante, ma aveva un orecchio strepitoso, e ti sapeva dire quando un suono andava bene o no.
Era anche un compositore, compose più di 150 liriche su testi di Pascoli, cosa non facile per la metrica che usava, e che poi ho eseguito in recital molte volte. Tutto il suo lavoro lo si può trovare presso la Biblioteca di Prato.

Qual è l’insegnante che le ha lasciato qualcosa di profondo, a cui ripensa sempre prima di cantare, o quando, a sua volta, insegna?
Sono tre in realtà. Il primo è Renato Federighi, a Roma, che ringrazio per la formazione di base che mi ha lasciato, curava molto la postura di un cantante, che è cosa molto importante; il secondo è il M° Bettarini, citato prima, per l’opera dell’ottocento; infine la Sig.ra Bianca Maria Casoni, con cui ho proseguito gli studi.
Mi hanno trasmesso l’etica ed il rispetto verso la Musica. Ed io la trasmetto ai miei allievi!

Cosa fa nel suo tempo libero?
Amo molto il mio giardino, mi rilassa, lo curo molto; ho piante di ogni dove e di ogni specie. Amo trascorrere ore immerso tra le mie piante e fiori.

I suoi prossimi impegni?
Non so ancora, questo verrà col tempo; qualche recital di Lieder; con l’opera è ancora da definire.

L’esperienza di questo Attila in Georgia?
Beh, ci sono dei paesi dove per l’opera vanno matti ed investono pure, ed è valorizzata molto più che in Italia, questo mi fa molto male constatarlo quando vado all’estero.
È indispensabile che l’Opera, che ha anche una nomina all’UNESCO come patrimonio dell’umanità, in Italia sia rispettata come merita. In Oman hanno un teatro immenso e nuovissimo! Noi in Italia li chiudiamo i Teatri!!
I nostri politici non hanno ancora capito che in Italia la prima industria è la Cultura, l’Arte! Questo dobbiamo vendere! Noi dobbiamo fare diventare l’Arte un’industria, abbiamo tanti turisti che vengono in Italia, diamo modo a questi di entrare in un teatro ad assistere a qualche opera, sarebbe anche un modo per mettere in scena opere con cast fatti da giovani artisti che, ad oggi, non hanno tante possibilità di emergere.

Cosa consiglia di fare ai giovani che hanno talento?
Di oltrepassare le Alpi! Andare in Germania, cercare di entrare in un teatro, essere stipendiati ed avere così la possibilità di debuttare ruoli 7-8 volte in un anno, farsi esperienza.
Oggi tutti pensano che un giovane a 25 anni debba debuttare in grandi ruoli ed in grandi teatri; non la penso così, prima di affrontare questi ruoli serve maturità, e non solo vocale, bisogna prima fare molte esperienze.

 

I nostri lettori possono trovare informazioni supplementary su Carmelo Corrado Caruso sul suo sito web

 

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