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Il rinascimento: l’era delle poetesse. Parte Settima

Sonetto X

Se a la propinqua speme nuovo impaccio
o Fortuna crudele o l’empia Morte,
com’han soluto, ahi lassa, non m’apporte,
rotta avrò la prigione e sciolto il laccio.

Ma, pensando a quel dì, ardo ed agghiaccio,
ché ’l timore e ’l desio son le mie scorte:
a questo or chiudo, or apro a quel le porte
e, in forse, di dolor mi struggo e sfaccio.

Con ragione il desio dispiega i vanni
ed al suo porto appresso il bel pensiero
per trar quest’alma da perpetui affanni.

Ma Fortuna al timor mostra il sentiero
erto ed angusto e pien di tanti inganni,
che nel più bel sperar poi mi dispero.

Desiderio di evasione dai luoghi tanto “crudeli” — fuga da Valsinni, luoghi in cui si sente incarcerata senza alcuna prospettiva di nuova vita? Desiderio di morte?
Come giustamente affermava Benedetto Croce, non possiamo risalire al motivo ispiratore del sonetto, non essendoci datazione a questi versi.
Quindi, non resta che concentrarsi sulle affinità letterarie con altri scrittori di cui spesso fino a qui abbiamo imparato a sentire le risonanze.
Il tema della evasione/morte, la speranza di fuga liberatoria, motivo manifesto soprattutto nella seconda quartina, lo si può reperire anche in Petrarca, nel Sonetto 134: “Pace non trovo, et non ò da far guerra” e nel Sonetto 271: “L’ardente nodo ov’io fui d’ora in hora…”

Petrarca, Canzoniere, 134, seconda stanza, vv. 5-8 Morra, Rime, Sonetto X, vv. 5-8
Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra,

né per suo mi riten né scioglie il laccio;

e non m’ancide Amore, et non mi sferra,

né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio.

Ma, pensando a quel dì, ardo ed agghiaccio,

ché ’l timore e ’l desio son le mie scorte:

a questo or chiudo, or apro a quel le porte

e, in forse, di dolor mi struggo e sfaccio.

 

Canzoniere,271, vv. 12-14
Morte m’a liberato un’altra volta,

et rotto ‘l nodo, e ‘l foco a spento et sparso:

contra la qual non val forza ne ‘ngegno.

“Ma, pensando a quel dì, ardo ed agghiaccio”, dice Isabella al verso 5, seconda quartina. L’antitesi semantica espressa dai due verbi trova una modulazione, riferita però al tema dell’amore, che fa contemporaneamente  ardere e raggelare, nel Canzoniere del Petrarca.

(Canzoniere 135, vv. 11-13)

Ma tropp’era alta al mio peso terrestre,
et poco poi n’uscì in tutto di vista:
di che pensando anchor m’aghiaccio et torpo

E ancora, nel Canzoniere 178, vv. 1-4

Amor mi sprona in un tempo et affrena,
assecura et spaventa, arde et agghiaccia,
gradisce et sdegna, a sé mi chiama et scaccia,
or mi tene in speranza et or in pena.

Il tema del dissidio interiore può essere individuato anche nel Pietro Bembo, in Rime 35, vv. 13-15

Un agli amici suoi chiuder le porte
del cor, fidando al nemico la chiave,
e far i sensi a la ragione scorte.

Petrarca

La preoccupazione di Isabella risiede tutta nell’impedimento che le potrebbe essere posto dall’avversa Fortuna o dalla Morte, ostacolo a coltivare in sé la speranza della stessa morte, identificata in un progetto liberatorio.
Speranza dunque e improvvise nemiche a porsi di mezzo perché non avvenga ciò che la poetessa desidera di più : “rotta avrò la prigione e sciolto il laccio”.
La Morte che avviene, arriva, “viene, una grande falena, fiorisce appena lo vuole”  (Paul Celan, “Sotto il tiro di presagi” – Einaudi).
Mi piace questa prospettiva di misura tra epoche così lontane (il poeta Paul Celan-  IX secolo, Isabella Morra – XVI). Attraverso la voce dei due poeti avvertiamo come l’interrogativo della morte si faccia pressante. E questo interrogativo “galleggia” in una dimensione dove corrono parallele considerazioni che, se anche mosse da sentimenti diversi, convivono nel momento in cui l’evento Morte si fa universale nel suo accadimento.
Sembra come se la Morra voglia suggerirci che esiste una linea di demarcazione tra la speranza della morte che comporta un tempo di meditazione e di fioritura di pensieri, quali essi siano, un nutrimento per l’anima e l’accadimento stesso che potrebbe presentarsi improvviso.
Il desiderio della morte trova respiro in un progetto razionale e nel “bel pensiero”; essi viaggiano all’unisono, L’anelito alla liberazione trarrà “quest’alma da perpetui affanni”.
Ma l’intervento della Fortuna (avversa) che potrebbe indicare all’incerto stato d’animo il sentiero “erto ed angusto e pien di tanti inganni”, volgerebbe la speranza, nel suo pieno dispiegarsi, alla disperazione.

Isabella Morra

Termina qui questo viaggio nel mondo poetico di Isabella Morra.
Forse andrebbe approfondito maggiormente uno studio dei suoi versi, pur se non sono mancate voci di insigni critici anche di questi due ultimi secoli.
Senz’altro dovrebbe essere avvicinata maggiormente dai divulgatori e dai professori delle scuole superiori , anche perché le possa essere assegnato un posto d’onore tra le grandi poetesse petrarchiste italiane.


Bibliografia:

“Isabella Morra, Rime”, a cura di Gianni Antonio Palumbo, Stilo editore
Francesco Petrarca, Canzoniere

 

 

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