Lo storico contemporaneista Alberto Guasco dell’Istituto di storia dell’Europa mediterranea del Consiglio nazionale delle ricerche, racconta l’epopea bellica di cui il nostro esercito fu protagonista nel primo conflitto mondiale. E cosa questo fiume abbia rappresentato, dal punto di vista simbolico e valoriale, per la formazione di uno spirito nazionale
Lunedì 24 maggio del 1915 le truppe italiane attaccarono l’Austria dirigendosi verso le cosiddette “terre irredente” del Trentino, del Friuli e della Venezia Giulia, che mancavano all’unificazione italiana; in sostanza i territori che, se riconquistati dall’Italia, avrebbero portato alla conclusione del Risorgimento. Il nostro Paese entrò così in guerra, schierandosi con la Triplice Intesa contro Austria e Germania, sue alleate fino a quel momento. Lo schieramento di cui faceva parte l’Italia vinse il conflitto; la Conferenza di pace di Parigi del 1919 decretò il passaggio delle terre irredente dall’Austria all’Italia. In questa cornice storica, ebbe un ruolo importante per il nostro Paese il fiume Piave, considerato “sacro” alla patria in virtù degli avvenimenti storici accaduti sulle sue sponde durante la Prima guerra mondiale.
La parte meridionale del suo corso assunse un valore strategico nel novembre 1917, nel punto della ritirata avvenuta in seguito alla disfatta di Caporetto. Ma cos’è e cosa rappresenta il Piave? “Se dal punto di vista geografico è più semplice rispondere a questa domanda; dal punto di vista storico, come spesso avviene, le cose sono invece più complicate. Il nome di questo fiume, indissolubilmente legato al periodo e al contesto della Prima guerra mondiale, indica allo stesso tempo il corso d’acqua, una battaglia (anzi, per la verità, tre battaglie) e una canzone, fuse insieme nella drammatica epopea bellica vissuta dal nostro esercito a cavallo del 1917-1918 e da lì divenute parte integrante della memoria collettiva e della stessa identità nazionale”, spiega Alberto Guasco dell’Istituto di storia dell’Europa mediterranea (Isem) del Cnr.
Per quel che riguarda le battaglie avvenute all’indomani del 24 ottobre 1917, allorché i reparti dell’esercito austro-ungarico e tedesco sfondarono le linee italiane a Caporetto, nell’Alto Isonzo, costringendo l’esercito italiano a una tragica rotta (40.000 morti e feriti, oltre 250.000 prigionieri, 350.000 sbandati, migliaia di pezzi in mano al nemico) il ricercatore dice: “Qui, 150 chilometri più indietro sulla sponda destra del Piave è la prima battaglia, tra il novembre e il dicembre successivo, in cui gli italiani resistono furiosamente agli ulteriori tentativi di avanzata del nemico. Di nuovo, nel giugno 1918 – è la seconda battaglia, quella che D’Annunzio ribattezza ‘del solstizio’, una tra le più cruente di tutto il fronte meridionale della guerra – respingono ancora l’offensiva degli austriaci. Infine, nell’ottobre-novembre, terza battaglia, il regio esercito passa all’offensiva: varca il Piave e inizia la grande offensiva finale conclusa con il vittorioso armistizio siglato il 3 novembre 1918 a Villa Giusti”.
È per l’appunto nel corso di quest’anno di guerra che il Piave assume un’immagine che si imprimerà per sempre nella memoria collettiva, quello che i suoi ponti ricordano ancora di “fiume sacro alla patria”. “Per i soldati che vi combattono, basta scavare tra le loro lettere e i loro diari per comprenderlo, quel corso d’acqua è la linea irrinunciabile, da difendere a costo della vita (“tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!” recita una celebre scritta su un brandello di casa sventrata dalle bombe). Di più, è un alleato che, con le sue piene, ostacola il nemico e di fatto combatte insieme a loro”, continua Guasco. “Dunque, nell’autunno del 1918, quando si tratta di passare all’offensiva, può essere amichevolmente invitato a ‘smettere di fare l’austriaco’, cioè ad aiutare il regio esercito a varcarlo. Anche da questo sentire nasce la celeberrima ‘Leggenda del Piave’, la canzone che il paroliere E. A. Mario (Giovanni Ermete Gaeta) compose dopo la battaglia del solstizio. E che più d’ogni altra forma di propaganda o narrativa avrebbe contribuito a forgiare l’immaginario del fiume: ‘calmo e placido’ al passaggio delle nostre truppe il 24 maggio 1915, giorno d’ingresso dell’Italia nella Grande guerra; ‘sommesso e triste’ dopo il disastro di Caporetto; capace di ‘rigonfiar le sponde’ e di combattere con i nostri fanti nel 1917-1918; placato dopo la vittoria finale”.
Sull’evento e sull’inno l’esperto aggiunge: “Lo sanno in pochi, ma anche la banda dell’esercito austriaco compose un suo ‘Inno del Piave’ che, con la sconfitta, finì ben presto nel dimenticatoio. Tra la conclusione della Prima guerra mondiale e il 1922, invece, fu soprattutto il fascismo ad appropriarsene. Ricevendo l’incarico di primo ministro da re Vittorio Emanuele III nell’ottobre 1922, Mussolini si dipinse come il leader capace di portare al sovrano ‘l’Italia del Piave e di Vittorio Veneto’. Infine, nell’incerto e prolungato passaggio tra la Seconda guerra mondiale e il dopoguerra e tra la monarchia e la repubblica tra la Marcia reale e Il ‘canto degli italiani’ di Mameli – la Leggenda del Piave ricoprì, seppur per poco, il ruolo di inno nazionale”. [Almanacco della Scienza N.7, 2023]