Site icon L'Idea Magazine

Il Pianoforte dal ‘700 ai giorni nostril.

Articolo di Salvatore Margarone

Il pianoforte a coda.

I pianoforti a coda odierni sono i diretti discendenti degli arpicordi costruiti nel sedicesimo e diciassettesimo secolo. Attorno al 1700, Bartolomeo Cristofori (che all’epoca dei fatti in questione si trovava a Firenze, al servizio di Ferdinando dei Medici come “conservatore degli strumenti musicali”) creò un arpicordo che si distingueva dai precedenti per essere riuscito in qualche maniera, ad essere musicalmente più espressivo.

1722: PIANOFORTE A CODA DI CRISTOFORI

Egli ideò un innovativa azione meccanica, la quale colpiva le corde con dei martelli, differentemente dall’ arpicordo che invece, pizzicava le corde per mezzo di appositi plettri. L’applicazione dei martelletti permetteva di regolare l’intensità del suono relazionandolo alla forza e alla dolcezza del proprio tocco. L’altra grande e innovativa caratteristica del suo giovane piano era la particolare progettazione del meccanismo che conteneva il martelletto, il quale permetteva a quest’ultimo di ‘staccare’ una volta che la nota era stata emessa e lo rendeva pronto per un ulteriore pressione, anche a differente velocità, in modo da permettere una maggiore potenzialità espressiva delle note (si trattava del meccanismo noto come “scappamento”). Ciò permetteva anche lo “smorzo” della corda che rimaneva libera di vibrare solo fin quando il tasto restava premuto.  Il primordiale piano di Cristofori conservava, però, l’originale disposizione della cordiera del vecchio arpicordo e ciò implicava un pressoché identico suono fra i due strumenti musicali, i quali presentavano però, come già evidenziato, un enorme differenza di ‘espressività musicale’ che era regalata al piano di Cristofori dalla sua particolare risposta al tocco.

SEZIONE DELLA MECCANICA DI CRISTOFORI (1720)

Il progetto di Cristofori non venne commercializzato fino a quando, nel 1725 non venne finalmente pubblicizzato da uno scritto del marchese veronese Scipione Maffei, pubblicato nel 1711 dalla rivista scientifica “Il giornale dei letterati d’Italia” che usciva a Venezia. Nel suo scritto Maffei dava una dettagliata descrizione del nuovo strumento musicale. Fabbricanti come il costruttore tedesco Gottfried Silbermann, i suoi allievi Christian Friederici e Johannes Zumpe iniziarono subito a sviluppare il pianoforte come uno strumento ben distinto dall’arpicordo. Silbermann aggiunse dei meccanismi manuali che permettevano di sollevare gli smorzatori e di far scorrere la tastiera da un lato, in modo che i martelletti potevano colpire solamente una delle due corde esistenti per ogni nota. Si trattava dei due sistemi caratteristici che più avanti negli anni avrebbero prodotto gli effetti che oggi sono collegati ai pedali. La musica iniziò ad essere scritta specificamente per il piano nel 1732 e iniziò la vera carriera del pianoforte come strumento da concerto e da esecuzione singola.  Lo sviluppo del pianoforte dopo il 1750 seguì due distinti percorsi. In Inghilterra la meccanica interna fu resa più pesante e più complicata, molto più delle grandi meccaniche odierne. In Germania, una più leggera e semplice meccanica divenne nota come la meccanica Viennese, sviluppata da Johann Andreas Stein: qui il martelletto era imperniato direttamente al tasto senza aggiunta di leve intermedie; questi erano i primi pianoforti sui quali Mozart, Beethoven e Haydin composero e si esibirono.

1746 PIANOFORTE A CODA DI STEIN, VIENNA

Acquisendo le caratteristiche di strumento solista, il pianoforte necessitava adesso di elevare le sue capacità sonore. Per aumentarne il volume di suono, le corde necessitavano di avere uno spessore maggiore e la struttura di supporto più robusta in maniera da sopportare le grandi tensioni interne che si venivano a creare. L’intelaiatura del piano, comunemente in legno, divenne più spessa e pesante e fu rinforzata da sostegni incrociati. Nel 1808 Broadwood (che nel 1783 aveva già brevettato i pedali del “piano” e del “forte”) adottò per la prima volta rinforzi metallici sul telaio e nel 1820, Thomas Allen iniziò ad usare tubi metallici per tenere le corde in tensione. L’uso del metallo diventava sempre più preponderante. Nel 1825 Alpheus Babcock brevettò il primo pancone metallico, in ferro (ottenuto per fusione).

1775 FORTEPIANO DI GOTTFRIED SILBERMANN

Più tardi, nel 1843, l’americano Jonas Chickering iniziò a costruire i pianoforti con l’intero perimetro in metallo, caratteristica dei moderni pianoforti a coda. Un altro considerevole sviluppo fu la sovra accordatura, sviluppato da Henri Pape nel 1828 e brevettato da Steinway nel 1859.  I pianoforti a coda entrarono in produzione di massa nel 1800, con gli stabilimenti di John Broadwood & Sons, Jonas Chickering, Julius Blüthner, Ignaz Bosendorfer, Friedrich Bechstein, Henry Steinway, e Sebastien Erard, queste compagnie svilupparono pienamente le basi della moderna meccanica del pianoforte a coda.

1794 PIANOFORTE A CODA DI JOHN BROADWOOD, LONDRA

 

 

PIANOFORTE A CODA DI ERARD FRÈRES, PARIGI
SEZIONE DELLA MECCANICA DI ERARD, 1821

 

 

 

 

 

Il pianoforte verticale.

Il primo tentativo di realizzare un pianoforte verticale fu effettuato nei 10 anni che intercorsero tra il 1735 e il 1745.  Il più antico progetto risale al 1739 quando l’italiano Domenico Del Mela ne realizzò uno con una meccanica relativamente semplice. Il tedesco Christian Ernst Friederici creò quello poi passato alla storia come il pianoforte “piramide”, così chiamato per la sua caratteristica linea, era il 1745. Friederici non fece altro che copiare in senso verticale il design degli esistenti pianoforti a coda: corde e tavola armonica erano montati perpendicolarmente alla tastiera e si ergevano su verticalmente. I perni di accordatura si trovavano in basso rispetto  alle corde, immediatamente al di sopra della tastiera.  La meccanica usata da Friederici era una semplificazione di quella disegnata da Bartolomeo Cristofori nel 1720, e comunque mancava delle caratteristiche “ripetizioni” realizzate da Cristofori. L’intero strumento poggiava su un banco, e di fronte era munito di sportelli che potevano essere aperti, ruotandoli per esporre le corde e la tavola armonica.  Si trattava di veri e propri incroci tra un coda e un piano verticale: stesse corde e stessa tavola armonica, ma montati in verticale.  Nel 1800 questi particolari pianoforti furono oggetto di una discreta produzione ma già nel 1840 dovettero cedere il passo ai modelli superiori.

1739 PIANO VERTICALE DI DOMENICO DEL MELA

Con lo sviluppo di una meccanica disegnata appositamente per essere verticale nel 1780 si ebbe una evoluzione di questa interessante categoria di pianoforti.  Questa nuova meccanica seguiva l’allineamento delle corde e della tavola armonica ed era costituita da lunghe stecchette di legno che connettevano il retro della tastiera al meccanismo del martelletto, per questa ragione fu chiamata meccanica a bacchetta. La testa del martelletto fu montata perpendicolarmente alle corde e dopo aver colpito le corde, questa tornava immediatamente indietro. Fu progettata nel 1787 da John Landreth e costruita da William Southwell nel 1798.   Un altro eccellente progresso fu l’impiego della cordatura diagonale; essa permise l’uso di corde più lunghe da cui si otteneva una maggiore resa sonora. Nel 1831 Hermann Lichtenthal progettò un sistema dove il martelletto era “frenato” da un nastro, in modo da non farlo risbattere di colpo contro le corde. Robert Wornum raffinò la meccanica con “blocco a nastro” gettando le basi della meccanica verticale odierna. Furono sviluppati due metodi differenti per smorzare le vibrazioni delle corde. Uno fu il sistema di sovra smorzamento (overdamping system): quando il tasto era premuto, un filo innescava una leva che sollevava un pezzo di feltro sopra le corde, prima che il martello le colpisse. Quando il tasto era rilasciato il feltro tornava indietro. Questo sistema, molto popolare in Inghilterra e in Germania, rimase in uso fino al 1800.  Il secondo sistema di smorzamento era caratterizzato invece, da un movimento rotatorio che portava il feltro a sovrapporsi alle corde.

1745 PIANO PIRAMIDE DI CHRISTIAN ERNST FRIEDERICI

Ciò avveniva grazie ad una leva provvista di cardini che era attaccata dietro ad ogni meccanismo del martelletto. Questa più efficiente soluzione è quella attualmente usata per lo smorzamento dei pianoforti verticali e si può, infine ben dire che le meccaniche odierne non sono poi cambiate granché da quelle dei primi dell ‘800.

1830 COTTAGE PIANO DI ROBERT WORNUM

Più esattamente è il 1840 l’anno oltre il quale i pianoforti verticali non hanno subito considerevoli trasformazioni. I perni di accordatura sono ora posizionati in alto, con le corde che partono diagonalmente verso il basso, fissate in fondo alla cassa. La meccanica e la tastiera sono posizionate al centro della lunghezza corde. Nel corso del 1900 la produzione di pianoforti si espande anche verso oriente dove vengono prodotti pianoforti di altissima qualità. In Giappone: Kawai e Yamaha, in Corea: Young Chang e persino in Cina vengono adesso prodotti pianoforti che possono essere certamente equiparati a quelli delle storiche case Steinway, Bechstein,Bluthner e Bosendorfer.

1800 SQUARE PIANO VERTICALE DI WILLIAM SOUTHWELL

Riferimenti bibliografici : Piano, a Photographic History of the World’s Most Celebrated Instrument di David Crombie, GPI Books, 1995; Stringed Keyboard Instruments di Franz Joseph Hirt, Urs Graf-Verlag, Switzerland, 1955.

Exit mobile version