Tra le raffigurazioni presenti nei mosaici sono molte quelle che rappresentano animali e, tra questi, ci sono naturalmente anche quelli marini, come ricorda Ester Cecere dell’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr, che propone una panoramica delle opere che li propongono. Le specie raffigurate sono davvero numerose: dal polpo al calamaro, dallo scorfano alla spigola, fino al dentice e alla triglia
I mosaici hanno sempre raffigurato sia rappresentazioni di vita quotidiana sia soggetti mitologici che ci hanno permesso di conoscere ogni aspetto delle consuetudini, del pensiero e delle credenze religiose degli antichi. Per questo motivo, gli animali sono ampiamente presenti nelle scene di caccia, di corse, nei soggetti riferiti al mare e all’acqua, singolarmente o in gruppi oppure accanto agli uomini. Nei mosaici i soggetti zoomorfi sono spesso il prodotto della fantasia dell’artista e riproducono divinità mitologiche. Ciò nonostante, si rinvengono spesso anche opere che producono effetti dinamici e realistici, dove cani rincorrono cinghiali e cervi in fuga; i cavalli sono liberi nella loro corsa, uccelli si levano in volo e granchi e pesci si tendono agguati. Queste rappresentazioni talvolta accompagnano motivi cari a temi pagani e cristiani. I mosaici con tali raffigurazioni hanno per lo più funzione decorativa, contemporaneamente delimitando lo spazio.
Tuttavia, in questa breve trattazione riporteremo solo gli animali marini riprodotti realisticamente, in maniera più o meno accurata, secondo il pregio della realizzazione e l’abilità del mosaicista, i quali sono inseriti o in scene di genere o accanto a soggetti mitologici. E veniamo subito al più bello dei mosaici a tema marino, “Il mare in una stanza”, come viene definito il Mosaico dei Pesci oggi custodito presso il Museo Archeologico del Territorio di Populonia, importante città-stato etrusca. Venuto alla luce nell’Acropoli di Populonia nel 1843, fu acquisito illegalmente da un ignoto collezionista inglese per la somma di 4 milioni di lire. Lo Stato Italiano riuscì ad acquisirlo ad un’asta londinese solo nel 1995.
Il mosaico, realizzato con tessere in marmo policrome nei colori giallo ocra, rosso scuro, varie tonalità di grigio, nero, bianco e verde scuro, mostra 24 specie tra pesci e molluschi che sembrano muoversi liberamente in un fondale marino. Delle figure presenti, 12 sono state realizzate ex novo e 6 ricostruendo figure antiche già presenti nel mosaico durante i lavori di restauro. Le specie sono quelle presenti sulla costa tirrenica e l’accuratezza con cui sono state realizzate consente di riconoscerne addirittura le varietà, come ad esempio lo scorfano rosso e la spigola che si trovano nella parte bassa del mosaico, quella originale. L’opera, in realtà un pavimento, molto probabilmente proviene da un ninfeo o da una fontana con due esedre, risalenti tra la fine del II e i primi decenni del I sec. a.C., che furono localizzati nel 1998. Populonia era situata sulle due alture del Molino e del Castello, unica città-stato etrusca ad affacciarsi sul mare. La sua posizione era particolarmente felice, consentendole il dominio del mare e l’uso di un’ampia baia con approdi sicuri.
L’arte del mosaico divenne una delle più caratteristiche e fortunate del mondo romano, quando i mosaici erano utilizzati per decorare i pavimenti e i muri di case private della nobiltà, gli edifici pubblici, le botteghe e le basiliche, diventando da semplici tappeti parte integrante dell’architettura e della decorazione. I mosaici e i dipinti parietali facevano il servizio che oggi svolgono tappeti e quadri e il loro inserimento nella struttura generale dell’edificio presupponeva che i mobili fossero pochi. L’antica Pompei ne è un esempio emblematico, dove molto soddisfacenti, dal punto di vista decorativo, sono le scene di vita marina destinate alle case e alle terme. Un esempio eccellente di questo genere è quello rappresentato nel mosaico romano da La Casa di Lucio Aelius Magnus, in cui centralmente si vede il combattimento fra un polpo comune (Octopus vulgaris Cuvier, 1797) e l’aragosta mediterranea (Palinurus elephas Fabricius, 1787). Nel mosaico si osservano anche il grongo comune (Conger conger Linnaeus 1758), un murice e un calamaro circondati da altri pesci. Sempre a Pompei, dalla Casa del Granduca di Toscana (nota come Casa del Granduca) proviene un mosaico datato 90-20 a.C. che raffigura pesci e anatre. Entrambe le opere sono ora esposte nel Museo Archeologico di Napoli.
Molto ricco di figure e, quindi, di specie è anche il mosaico presente nella Casa del Fauno, una delle più grandi e belle di Pompei, dove, analizzando le diverse specie, si riconoscono pesci dell’ambiente costiero odierno (da sinistra e in senso orario): il dentice, il pagro, la murena, il muggine, la torpedine ocellata, facilmente riconoscibile per le cinque grandi macchie circolari presenti sul dorso, due saraghi, l’orata, il murice, lo scorfano, il gattuccio, la gallinella, il gambero, il branzino, il serrano, il gamberetto, una seconda gallinella, la triglia, il sarago e una conchiglia. Sullo scoglio è raffigurato un gruccione, un variopinto uccello. È interessante notare che le specie presenti nei mosaici romani sono le stesse che si ritrovano ancora oggi sulle nostre tavole. Di seguito, l’elenco delle specie con il loro nome scientifico identificate dagli esperti e indicate nel mosaico (v. figura):
1) Liza aurata (Risso, 1810), nome volgare cefalo dorato
2) Serranus cabrilla (Linnaeus, 1758), nome volgare perchia
3) Diplodus vulgaris (Geoffroy Saint-Hilaire, 1817), nome volgare sarago fasciato
4) Muraena helena (Linnaeus, 1758), nome volgare murena
5) Torpedo torpedo (Linnaeus, 1758), nome volgare torpedine ocellata o torpedine comune
6) Sparus aurata Linnaeus, 1758), nome volgare orata
7) Sparus pagrus (Linnaeus, 1758), nome volgare pagro
8) Scorpaena scrofa (Linnaeus, 1758), nome volgare scorfano rosso
9) Bolinus brandaris (Linnaeus, 1758), nome volgare murice spinoso
10) Dentex dentex (Linnaeus, 1758), nome volgare dentice
11) Palinurus vulgaris (Fabricius, 1787), nome volgare aragosta mediterranea, aragosta spinosa europea, aragosta spinosa comune
12) Octopus vulgaris (Civier, 1797), nome volgare polpo comune
13) Scyliorhinus stellaris (Linnaeus, 1758), nome volgare gattopardo o gattuccio
14) Merops apiaster (Linnaeus, 1758), nome volgare gruccione comune
15) Trigla s.p. (Linnaeus 1758), nome volgare gallinella di mare o pesce cappone
16) Penaeidae (Rafinesque, 1815), nome volgare gambero
17) Cardium sp. (bivalve) (Linnaeus, 1758), nome volgare cuore di mare
18) Mullus barbatus (Linnaeus, 1758), nome volgare triglia di fango
19) Dicentrarchus labrax (Linnaeus, 1758), nome volgare spigola o branzino
20) Diplodus sargus (Linnaeus, 1758), nome volgare sarago
21) Diplodus annularis (Linnaeus, 1758), nome volgare sarago sparaglione o sparaglione
22) Leander s.p. alga pluricellulare
23) Trigla s.p. (Linnaeus, 1758), nome volgare gallinella di mare o pesce cappone
Interessante ma meno raffinato rispetto ai mosaici pompeiani è quello raffigurante dei pesci, realizzato su supporto di terracotta, datato al I sec. d.C., rinvenuto ad Aquileia, nella casa cosiddetta di Licurgo e Ambrosia, portata alla luce nel 1963. La composizione marina è realizzata su fondo azzurro: una varietà di conchiglie, pesci e molluschi circondano una raffigurazione centrale nella quale un polpo assale un’aragosta che si è avventata contro una murena, che a sua volta azzanna il polpo. In alto, un pesce sta ingoiando uno più piccolo. Il mosaico presenta analogie con altri lavori, più raffinati, d’ambito pompeiano ed è interessante perché vi si riconoscono i pesci che popolano l’Adriatico settentrionale.
Il pesce nel mondo romano era considerato una pietanza raffinata, la cui presentazione nei banchetti contribuiva a sottolineare l’agiatezza del padrone di casa. Nelle residenze più ricche esistevano infatti vasche e peschiere la cui funzione era proprio di ostentare le ricche possibilità del dominus, in grado di offrire ai commensali molteplici varietà di pesce fresco, come ampiamente testimoniato anche dalle fonti letterarie.
Splendidi anche i mosaici romani, risalenti a circa 1.700 anni fa, rinvenuti a Lod (Israele) nel 1996. Il mosaico, che copre un’area di circa 180 m2, era il pavimento di una sala d’ingresso di una residenza privata. Il pavimento, oltre a molti esemplari della fauna terrestre, mostra anche scene della vita marina. Sebbene le figure siano stilizzate, gli esemplari raffigurati dovevano essere familiari alle popolazioni rivierasche di quelle zone del Mediterraneo, come diversi molluschi ascrivibili a murici e bivalvi, i cui resti sono stati spesso rinvenuti nell’antico sito. Molte specie ittiche eduli, che facevano probabilmente parte della dieta delle popolazioni che vivevano lungo la costa, sono facilmente identificabili, quali orate, triglie, spigole e dentici; un pesce lungo e sottile potrebbe essere visto come un gronco e i due pesci più grandi (uno in procinto di ingoiarne uno più piccolo) vicino al fondo del pannello sono probabilmente pesci serra o ricciole. Presenti anche due pesci molto grandi che mostrano entrambi una lunga coda a spirale: uno probabilmente rappresenta una balena, che sta per inghiottire una nave mercantile danneggiata, l’altro è un delfino. Le due specie sono state spesso confuse sia nella letteratura antica sia nelle rappresentazioni artistiche.
Recentemente, a Baia (Campania) è stato reso fruibile al pubblico dei subacquei anche il mosaico “dei pesci” la cui porzione meglio conservata mostra in primo piano un tonno e forse un’aguglia. L’antica città romana di Baia fu sommersa nei secoli a causa del fenomeno del bradisismo e custodisce resti di domus e ville, terme e mosaici.
Ma anche successivamente all’epoca romana, la vita marina è stata il soggetto di numerosi mosaici, come quello presente nella basilica di Aquileia (in provincia di Udine, edificata a partire del 313, anno della promulgazione dell’Editto di Costantino) che raffigura una grandiosa scena di pesca (che allude al passo evangelico; “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”; Mt. 4,19) in un mare ricco di pesci, molluschi, crostacei e nella quale è inserita la vicenda biblica del profeta Giona (personaggio davvero esistito nell’ottavo secolo a.C.).
Nella basilica di San Vitale a Ravenna (inizio dei lavori di costruzione nel 526) nei piedistalli illusionistici che sorreggono i medaglioni situati nel sottarco che introduce alla zona presbiteriale, è raffigurata una conchiglia al centro e ai lati due delfini con le code intrecciate. La conchiglia, elemento decorativo frequente nell’arte ravennate, è un simbolo funerario che allude alla vita eterna dopo la morte e che trasmette, quindi, il messaggio eucaristico di Resurrezione.
Il motivo iconografico dei delfini è anch’esso molto antico e risale sempre alla tradizione classica. Per la sua grande intelligenza il delfino viene considerato l’animale più simile all’uomo. Miti e leggende si sono diffuse dal mondo greco fino a Roma. Si pensi ad esempio al mito ellenico di Arione (VII sec. a. C.), figlio di Poseidone e della ninfa Oenia, maestro nel suono della lira. Arione un giorno si imbarcò in Sicilia alla volta di Corinto con le sue ingenti ricchezze ma i marinai gli comunicarono che lo avrebbero derubato e ucciso. Così egli chiese loro di soddisfare un suo desiderio: suonare e cantare un’ultima volta. Il canto di Arione attirò un branco di delfini, uno dei quali prese il musico sul dorso e lo portò sano e salvo fino a Corinto. Così il delfino diventò l’animale salvatore dei naufraghi. Nel caso dei mosaici del sottarco di San Vitale i delfini vengono visti come il simbolo della salvezza e di Cristo stesso.
Ma non finisce qui perché il mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto, realizzato tra il 1163-1165 nella navata centrale, probabilmente raffigura una foca monaca. Evidentemente, l’autore, il mosaicista Pantaleone, deve essere stato colpito dalle foche monache di cui era ricca la costa otrantina nel tempo in cui visse. Le estremità dell’animale, che si presenta bicaudato, e il suo corpo idrodinamico fanno proprio pensare al pinnipede mediterraneo.
I mosaici, dunque, lungi dall’essere solo semplici forme artistiche, ci forniscono anche informazioni sulle conoscenze che gli antichi avevano della fauna marina. Pertanto, essi possono essere interessanti fonti di studio anche da un punto di vista scientifico. A tal proposito, due biologi marini italiani, Paolo Guidetti, professore presso l’Université Côte d’Azur, e Fiorenza Michela, insegnante presso la Hopkins Marine Station dell’Università di Stanford, hanno analizzato più di 70 mosaici romani che si trovano in Tunisia, Inghilterra, Francia, Spagna, Italia, Grecia e Libano, risalenti al periodo tra il primo e il quinto secolo dopo Cristo, focalizzando la loro attenzione sugli esemplari di cernia bruna (Epinephelus marginatus (Lowe, 1834)) e deducendo le dimensioni degli individui allora viventi. I risultati del loro studio, pubblicati sulla rivista “Frontiers in Ecology and the Environment”, mostrano che allora le cernie erano molto più grandi di quelle viventi ora e molto più numerose tanto da essere pescate in abbondanza sotto costa con arpioni e canne. Le loro osservazioni sono corroborate da alcuni scritti di Plinio il Vecchio (in Historia Naturalis) e Ovidio (in Halieuticon Liber), che riferiscono di cernie pescate dalla costa, così forti da spezzare le lenze e così grandi da essere descritte come “mostri marini”.
[Almanacco della Scienza N.8, settembre 2024]