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Il consumo di suolo: strumenti per un dialogo; Intervista a Teodoro Georgiadis

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Intervista a Teodoro Georgiadis
Ricercatore dell’Istituto di biometeorologia del Cnr si occupa di climatologia urbana.

Che tipo di evento sarà quello organizzato per Expo?
Una tavola rotonda di mezza giornata con alcuni dei più importanti esperti nel settore. Si parlerà del consumo del suolo: dalla definizione di suolo, troppo spesso trascurata, fino alla presentazione di strumenti per la sua salvaguardia e per quella del territorio, nel cui sviluppo il CNR ricopre un ruolo fondamentale.

Il consumo di suolo influisce sul riscaldamento globale e su quello delle città in cui viviamo. In che modo?
Rispetto all’aumento di temperature ascritto ai cambiamenti climatici, che secondo le proiezioni potrebbe essere di poco più di un grado in cento anni, l’urbanizzazione provoca innalzamenti di temperature anche di 15 gradi. Per fare un esempio, in una megalopoli come Città del Messico si arrivano a misurare spesso variazioni di temperatura tra città e campagna che superano i 12 °C.
C’è grande differenza tra lo scambio energetico che avviene in una città e quello di un sistema naturale non antropizzato. In città le dimensioni e il posizionamento degli edifici determinano modifiche nell’interazione meccanica con il flusso atmosferico, per esempio nella ventilazione, e le caratteristiche ottiche superficiali e la conducibilità termica degli edifici, legate entrambe ai materiali da costruzione, determinano un complesso sistema degli scambi energetici.

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Qual è il motivo principale dell’innalzamento delle temperature in città?
Gli attuali modelli di sviluppo delle città ci hanno messo di fronte a un problema: quello della cattura della radiazione solare che quanto più la città è densa più viene catturata. La radiazione entra nel canyon urbano che si apre tra gli edifici, poi ‘urta’ diverse volte sugli edifici stessi e come in un pozzo di san Patrizio viene quasi completamente assorbita non riuscendo più a uscirne fuori. Questo naturalmente produce un innalzamento della temperatura e si trasforma in calore sensibile.

Che soluzioni abbiamo?
Per diminuire questo effetto-canyon la città dovrebbe espandersi, ma questo allora produrrebbe l’ipercementificazione di vasti areali e di nuovo una significativa cattura di radiazione. Ci troviamo quindi da un lato a non dover favorire lo spread urbano per evitare nuova cementificazione, e dall’altro a dover fare i conti con il fatto che in una struttura molto compatta rischiamo hot spot di temperature molto elevate. Il punto è che dobbiamo inserire nel sistema un elemento di mitigazione. Sappiamo già qual è: sono le piante. Se rimettiamo la vegetazione all’interno delle città, una parte dell’energia solare catturata dalla vegetazione, che in sua assenza andrebbe a innalzare la temperatura, verrà trasformata per mezzo dell’evapotraspirazione, sottraendo energia alla disponibiltà di calore sensibile e trasformandolo in calore latente. In questo modo, cioè attraverso un meccanismo di naturalizzazione dell’urbanizzato, possiamo intervenire sul microclima.

Che influenza ha il verde sulle temperature?
Si può definire un ‘equivalente’ in verde per la compensazione o la mitigazione dell’impatto microclimatico del costruito. La vegetazione abbassa le temperature anche di diversi gradi e in generale svolge un effetto di mitigazione.

Forested landscape fading into hazy hills.

Più verde in città dunque, ma di che tipo?
La vegetazione va correttamente reintrodotta e posizionata, sia in aree pubbliche che private. Bisogna agire tramite piccoli miglioramenti diffusi. Per esempio i tetti verdi, e – anche se in misura minore – le pareti verdi, risultano efficienti per intercettare la radiazione solare e trasformarla. E’ chiaro però che il verde pubblico, nelle città, se di grandi dimensioni può risultare problematico in termini di gestione e sicurezza urbana.

VIDEO INTERVISTA

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