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Gli ARTISTI DEL CORO: indispensabili coprotagonisti delle opere liriche. Intervista esclusiva a Maurizio Muscolino.

di Federico Scatamburlo

Il canto è un tema al quale siamo particolarmente sensibili: non solo perché appassionati di musica, ma anche perché è un modo di comunicare, lo specchio di un anima, la passione, la persona.  E non solo i professionisti lo fanno, ma tutti noi.  Magari mentre facciamo la doccia, o in auto sulle note dei nostri artisti preferiti, protetti da un colorato guscio di metallo. Gli animali cantano: per esprimere uno stato d’animo o per corteggiare il partner di turno, o per scacciare un nemico all’orizzonte.

Per chi desidera farlo per professione la ricetta è complessa: spesso tutto quello che si fa per cantare sembra andare nella direzione opposta a quella che si vuole. È innegabile che sia necessario avere doti fisiche particolari per cantare da professionisti di musica (lirica), e di esserne almeno parzialmente coscienti. Il cosiddetto sistema fonatorio presente nel nostro corpo, coinvolge non solo bocca e corde vocali, ma anche polmoni, diaframma, muscoli delle spalle e del busto, e  l’utilizzo corretto di tutto questo avviene tramite conoscenze anatomiche e insegnamenti sulle tecniche per governarle.

Apparato fonatorio

Non esiste però un preciso metodo che sia valido per tutti i cantanti, per le oggettive differenze anatomiche che ci possono essere da persona a persona. Gli insegnanti trasmettono quelle sensazioni fisiche che essi stessi provano agli allievi, che, dal canto loro, devono adattarle al proprio sistema corporeo, con notevole sensibilità percettiva del proprio fisico. Tuttavia notiamo che l’eccessiva razionalizzazione di questo processo porta a un canto piuttosto arido di sentimenti (e questo vale anche quando si suona uno strumento), la consapevolezza o per meglio dire la “coscienza della voce” è un quid in più che non tutti possiedono, e che unisce tecnica vocale ed espressione in modo inscindibile, creando la differenza tra “cantare professionalmente” ed “esprimersi musicalmente”. Per fare un esempio: tutti sappiamo camminare, tutti possiamo imparare a camminare come un/una fotomodello/a in passerella, ma non tutti possediamo quella “eleganza” innata che ci distingue da altri, e che è definita nel nostro genoma e fa la differenza.

Superate tutte queste variabili, se mettiamo insieme un gruppo di persone con diverse caratteristiche “fonatorie”, e li facciamo “esibire” insieme, creiamo un coro. Da sempre l’uomo canta in gruppo, in tutte le modalità, ma la massima espressione vocale a livello emozionale è sicuramente nel coro lirico (classico), tant’è che è presente nella quasi totalità delle opere, perché costituisce la struttura, l’armatura dello svolgimento di un opera:  per i grandi compositori senza di esso sarebbe stato sicuramente molto più difficile, se non impossibile, costruire una storia da restituire in musica e canto.

Ecco quindi che ogni teatro che si rispetti possiede ai giorni nostri oltre che una propria orchestra un proprio coro, che si trova a cantare qualunque tipologia di opere e concerti. In questi cori troviamo tutte le tipologie di voci: soprano, mezzosoprano, contralto, tenore, baritono e basso, con tutte le sfumature che passano nel mezzo. Certo, noi vediamo sempre un insieme, difficilmente distinguiamo i singoli volti: ma chi sono questi uomini e donne professionisti del bel canto? Abbiamo incontrato un “basso” del Teatro Bellini di Catania, Maurizio Muscolino, cui abbiamo chiesto di raccontarci un po’ lo svolgersi di un’opera, vista dagli artisti del coro.

Orchestra e coro Teatro Massimo Bellini di Catania – foto © Giacomo Orlando
“Stabat Mater” di Rossini. Solisti: Piera Bivona – Sonia Fortunato – Aurelio Gabaldon – Maurizio Muscolino (a destra)
Maurizio Muscolino

Maurizio, grazie per averci dedicato un po’ di tempo per soddisfare qualche nostra curiosità. Diamo per scontato la tua passione per la lirica, ma vorremmo sapere quando e cosa ti ha portato verso di essa?
In realtà la mia passione per la lirica è venuta crescendo sempre più nel corso degli anni trascorsi all’interno del Coro. All’inizio confesso che ho affrontato l’audizione più per una sfida con i miei limiti e per testare le mie capacità uscendo dal Conservatorio.

Fare l’artista del coro è stata una scelta personale, oppure una specie di trampolino di lancio per diventare un futuro solista?
Purtroppo metti il dito nella piaga: molti colleghi pensano di fare esattamente questo, non considerando la bellezza che si può trarre dal cantare in coro, tuttavia spesso non ci sono le capacità per fare il solista, e quindi ne derivano frustrazione e scarsa dedizione per un lavoro visto come un ‘male minore’. Per ciò che mi riguarda, ho avuto la possibilità e la fortuna di poter provare l’esperienza solistica con discreto successo e non nascondo che la prospettiva di intraprendere questa via è allettante. Ma non considero affatto ‘rientrare nei ranghi’ una condizione sminuente, tutt’altro.

Raccontaci un po’ del tuo percorso, della tua “prima volta”.
La prima volta che sono entrato in sala coro ho provato una serie interminabile di sensazioni contrastanti: i colleghi anziani che ti guardavano con curiosità mista a condiscendenza, il Maestro del Coro, dall’alto del suo trespolo a dirigere e forse a chiedersi se avesse fatto bene a sceglierti, la magia dei piani improvvisi cantati da tutto il coro che facevano accapponare la pelle e la potenza dei fortissimi…

Quali sono i rapporti del  coro con i registi, rapportati alle tue esperienze?
Dipende spesso dal regista. Di solito non buonissimi. Purtroppo la realtà dei cori stabili tende a privilegiare Il fare poco e presto, purtuttavia, se, come dicevo, il regista riesce ad instaurare col Coro un feeling fatto di ‘do ut des’, allora può venir fuori un capolavoro registico.

Vivi l’esperienza delle prove, degli allestimenti, più intimamente o ti senti parte completa di un gruppo?
Di solito si tende naturalmente a far gruppo in ogni consesso umano, credo sia proprio della sua natura. Il coro non fa eccezione. Per quello che riguarda me, faccio parte con orgoglio della sezione dei bassi del Coro del Teatro Massimo “Bellini” e decisamente facciamo usualmente un bel gruppo assieme.

È difficile “fisicamente” stare sul palco? Ci sono opere in cui i movimenti complicano il canto?
Non credo si tratti di individuare delle opere “scomode”, semmai dei brani corali particolarmente impegnativi dal punto di vista tecnico-vocale. In questi casi, e solo in questi, la maggior difficoltà presuppone movimenti scenici ridotti durante il brano da parte del Coro. Di questa regola “non scritta” i registi più esperti sono bene a conoscenza e generalmente non stressano la compagine corale più dello stretto necessario.

Come sono i rapporti tra colleghi? Ci sono rivalità come tra i solisti?
È un po’ lasciato alle sensibilità personali, ma in genere sì. Ricordi il discorso sulle frustrazioni di prima? Eccone un esempio pratico. Con la notevole differenza, però, che qui il rivale può essere anche il collega con il quale canti spalla a spalla da 30 anni. Questo spesso basta a placare i dissapori e smussare gli angoli.

Conosci a memoria già tutte le opere o devi comunque studiarle ogni volta?
Non credo proprio che esista un essere umano che possa conoscere a memoria tutte le opere composte. Stiamo parlando di centinaia di titoli. Vedi, non esistono solo le opere più famose, le cosiddette opere di repertorio, e se anche ci limitassimo a queste ultime, sarebbe comunque molto difficile impararle a memoria tutte perfettamente. E tuttavia, anche presupponendo una vasta conoscenza del repertorio, ogni nuovo allestimento necessita sempre di una revisione passante attraverso prove di sala per limare i punti più ostici o per considerare eventuali tagli o riaperture nelle sempre più frequenti edizioni critiche.

Quale canti più volentieri?
È la classica domanda da 1 milione di dollari… quelle di repertorio sono sempre gradite, anche perché sennò non sarebbero tali. Ma una preferenza non può non andare per Norma del nostro “cigno”  Vincenzo Bellini.

Cosa pensi dei registi moderni che tendono a stravolgere le indicazioni del compositore?
Di solito non benissimo. Ci sono opere, soprattutto quelle settecentesche, che volendo si possono prestare ad uno slittamento della collocazione temporale voluta dal compositore. Sono quelle la cui trama è a tema mitologico o moraleggiante e quindi, per loro stessa natura “senza tempo”. Però, per la medesima ragione contraria, non è ammissibile che si veda ad esempio Bohème catapultata ai giorni nostri. Spesso questa pratica serve ai registi in vena di un colpo di teatro, quando non sono capaci di rinnovare il classico allestimento tradizionale.

Il Trovatore – Teatro Massimo Bellini di Catania – foto © Giacomo Orlando

Emozione o paura prima di entrare in palcoscenico?
Un pizzico di entrambe, credo. In realtà, quando si canta per tanto tempo spalleggiati dalla sezione, fatta da colleghi fidati, e si è riusciti a studiare per bene in sala coro, si entra in scena carichi di sana tensione.
Cosa consiglieresti a un giovane che, una volta scoperto di avere “la voce”, intendesse intraprendere una carriera nella lirica?
Se ti riferisci ad una carriera solistica, presupponendo il giovane talentuoso, di farsi sentire da un agente tramite audizione; già questo è molto difficile al momento. E poi contare su una notevole dose di buona sorte. Se invece volesse cantare in coro, di vagliare altre strade, a meno di essere pronto a grandi sacrifici. La stabilità nei Teatri è a mio parere agonizzante, ed è già morta in qualche caso.

Una domanda spinosa: quali sono le tue impressioni sul mondo teatrale italiano e gli eventuali problemi incontrati in questo mondo?
Non lo conosco a fondo per esprimere un giudizio; tuttavia ritengo che abbia più o meno gli stessi problemi di tante realtà culturali italiane, che invece di incentivazioni ed aiuti, riceve dallo stato o dalle istituzioni locali solo tagli e restrizioni. È a mio avviso triste sapere di non essere considerati un possibile volano per il turismo, cosa che invece sarebbe sacrosanta all’estero.

Teatro Massimo Bellini di Catania – Carmen – foto © Giacomo Orlando

A ruota libera: raccontaci come vivi una nuova recita, come ti prepari o meglio come vi preparate.
Si comincia in sala coro circa un mese prima delle recite, leggendo la parte corale con il Maestro del Coro e il pianista accompagnatore. Se l’opera non è conosciuta, si possono fare prove a sezione o soli uomini e donne; una volta letta e studiata, comincia il lungo e lento processo di apprendimento mnemonico che porta alla memoria dell’opera. Infine si passa alle prove di regia sul palcoscenico, la prova costume e poi, attraverso gli assiemi con l’orchestra si arriva infine alle prove generali ed alla prima.

Quant’è importante il maestro del coro?
La figura del Maestro del Coro è essenziale per tutti noi. Serve come tramite con la direzione artistica, essendo la seconda carica artistica del teatro, ed è visto come l’allenatore in una squadra di calcio. Alla sua stessa stregua, un allenatore per quanto bravo possa essere, senza la qualità dei singoli, non può fare più di tanto; ovviamente è vero anche il contrario, ovvero senza una guida capace ed autorevole, anche i migliori elementi non andranno lontano.

Qualche episodio divertente o paradossale che sicuramente vi sarà successo?
Mi viene in mente un episodio esilarante, avvenuto in Giappone in una trasferta del Teatro di qualche anno fa:  si doveva eseguire una Sonnambula con una regia (alquanto discutibile) in cui tutto il coro recitava e cantava seduto su una gradinata montata in scena e variando solo la maschera davanti al volto, una volta triste, un’altra allegra a seconda delle situazioni sceniche. Avendo avuto solo un giorno di riposo dal jet-lag del lungo viaggio, eravamo tutti storditi e il sonno la faceva da padrone. Risultato? Si dormiva tutti dietro le maschere… All’attacco del primo coro si è notato una specie di sobbalzo di tutto il coro con conseguente cacofonia iniziale, subito per fortuna rientrata, ma che a fine recita ci ha fatto non poco ridere a crepapelle.

I tuoi prossimi impegni futuri?
Per quello che riguarda il coro stiamo preparando un concerto per la stagione estiva di musiche popolari inglesi, americane e spagnole che strizza l’occhio allo swing grazie alla partecipazione di un quartetto jazz. Ed anche una Traviata da eseguirsi nella meravigliosa cornice del Teatro Greco di Taormina; in tale produzione avrò l’onore di esibirmi da solista nel ruolo del Dottor Grenvill.

Coro del Teatro Massimo Bellini di Catania – Opera Gala – Teatro Antico di Taormina

L’ultima domanda non è una domanda, ma uno spazio tutto tuo se vuoi dire qualcosa attraverso noi:
L’unica cosa che mi sento di dire è che dovremmo cercare tutti, noi artisti ma anche gli altri operatori del settore dello spettacolo, i tecnici, i giornalisti e tutti gli appassionati, di supportare questa nobile e antica forma d’arte, che tanto ha dato lustro all’Italia in passato ed ancora oggi tanto può dare, purché venga aiutata dalle istituzioni, affinché possa regalare emozioni anche a pubblici diversi dagli anziani melomani, aprendosi sempre più alla fruizione del turismo, anche quello giovanile.

Ringraziamo Maurizio per averci dato un interessante punto di vista diverso dal solito, e ti auguriamo un futuro brillante ricco di soddisfazioni!

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