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Fino a Marte e ritorno. Con il robot

di Cecilia Migali

Giove e Saturno sono gli obiettivi più lontani per le missioni spaziali umane, Marte invece il traguardo più tangibile. Al momento si sta lavorando alle fasi precedenti dell’esplorazione umana del Pianeta Rosso, ad esempio con la missione totalmente robotica “Mars Sample Return”, che mira a prelevare e riportare a terra campioni di suolo e rocce marziane che saranno analizzati poi in laboratorio, come spiega Alessandro Rossi dell’Istituto di fisica applicata “Nello Carrara” del Cnr 

In principio fu la Luna, prima meta spaziale a essere raggiunta dall’uomo. Era il luglio 1969 quando il mondo assistette con il fiato sospeso allo storico sbarco, un antico sogno (lo aveva evocato anche Ludovico Ariosto immaginando di spedire Astolfo sul nostro satellite per recuperare il senno perduto di Orlando) che si materializzava finalmente con la missione Apollo 11. Ora si attende che l’essere umano solchi altri pianeti del sistema solare. Il prossimo e più concreto traguardo sarà certamente Marte e poi, in un futuro più remoto, Giove e Saturno. Ma previsioni non se ne possono fare, come avverte Alessandro Rossi, ricercatore dell’Istituto di fisica applicata “Nello Carrara” (Ifac) del Cnr: “Marte è sicuramente un obiettivo tangibile e si sta lavorando alle fasi precedenti dell’esplorazione umana. Tutto dipende, oltre che da una serie di problemi tecnologici tuttora irrisolti, dalla congiuntura economico-politica che avremo nel prossimo decennio. Dobbiamo considerare che i costi di una missione umana su Marte sono enormi – nell’ordine delle decine di miliardi di dollari – quindi difficilmente sostenibili in una eventuale epoca di crisi. Sono necessari ingenti investimenti e volontà politica”.

Ruolo cruciale per le missioni spaziali umane lo ha quindi la tecnologia che in questi anni ha raggiunto altissimi livelli, mettendo in campo soluzioni sofisticate. “Buona parte della tecnologia necessaria per queste missioni è di fatto già esistente. Tuttavia, nel caso di Marte, una parte mancante, e su cui si sta lavorando molto, è la capacità di schermare l’equipaggio dalle radiazioni ionizzanti causate dall’urto delle particelle energetiche presenti nello spazio esterno contro le pareti della nave spaziale”, prosegue il ricercatore del Cnr-Ifac. “Se non adeguatamente schermate, queste radiazioni causerebbero un rischio elevatissimo di neoplasie per i membri dell’equipaggio. Un altro aspetto essenziale che si sta studiando riguarda il benessere sia fisico che psicologico dell’equipaggio nel corso di una missione molto rischiosa, che durerebbe alcuni mesi e si svolgerebbe in uno spazio estremamente ridotto”.

In attesa che gli astronauti mettano piede sul Pianeta Rosso la Nasa e l’Esa stanno pianificando la prima missione totalmente robotica “Mars Sample Return”. “Nel 2027 si prevede che si porterà in orbita intorno al Pianeta una sonda destinata a raccogliere campioni di suolo e rocce marziane prelevate dal rover Perseverance, attualmente sulla superficie di Marte. Questa prima sonda sarà seguita a breve da un’altra che rilascerà un ulteriore rover che raccoglierà i campioni di Perseverance e li lancerà verso l’orbiter in attesa. Una volta conservati all’interno del modulo orbitante, i campioni ripartiranno alla volta del nostro Pianeta, presumibilmente nel 2033, dove verranno analizzati in laboratorio, molto meglio di quanto è al momento possibile fare dalle attuali sonde robotiche presenti su Marte”, precisa l’esperto.

Lo schema della missione spaziale umana, ci racconta Rossi, è in principio simile. “Un po’ come per le missioni lunari, gli astronauti dovranno prima mettersi in orbita intorno a Marte, scendere sul Pianeta con un lander in grado di ripartire per riagganciarsi al modulo orbitante e rientrare a casa. Un’altra possibilità è quella di lanciare preventivamente su Marte un razzo che resterebbe sul suolo marziano in attesa degli astronauti che arriverebbero con una missione separata”.

Posto che non possiamo fare ipotesi sul quando l’essere umano lascerà la sua impronta su questi pianeti come fece per la Luna, è certo che una delle domande più affascianti a cui si cercherà di rispondere, una volta raggiunta la meta, è se esista o sia esistita vita su questi pianeti o se si stia formando. “Per Marte sappiamo per certo che c’è stata acqua liquida in grande quantità per un periodo relativamente breve della sua esistenza. L’acqua, che ha scolpito le valli marziane e i bacini, ora secchi, che osserviamo nelle foto scattate dalle sonde, è ancora presente nel sottosuolo marziano, intrappolata nel permafrost e probabilmente in grandi masse (laghi) ghiacciate. Pertanto, esiste una possibilità che la vita si sia formata e poi estinta su Marte quando l’acqua è scomparsa e l’atmosfera del Pianeta ha perso consistenza. Analogamente, nei grandi satelliti dei pianeti giganti (Giove e Saturno), probabili oggetti delle futuribili missioni umane di fine secolo, esistono dense atmosfere e suoli ghiacciati, con possibili enormi riserve di acqua sotto la crosta di ghiaccio, che potrebbero ospitare primitive forme biologiche o comunque materiali organici prodromi della vita”, conclude Rossi.

[Almanacco della Sxcienza n>4, aprile 2024]

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