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Racconto su Pietro Augusto Cassina / A story about Pietro Augusto Cassina

da ‘I dialoghi con un folle sano di mente’*

Ho rivisto in questi giorni la tua andatura lineare e naturalmente solenne.
Ho pensato a te come ad un vecchio angelo guerriero, abituato ad osservare gli uomini in trasparenza, finché scompaiono.
Ti ho immaginato volentieri <<cantato>> a una voce e a più voci, con antifone segrete e improvvise, beninteso in latino. Nel latino mistico divulgato in quel principio di secolo da Remy de Gourmont.
Alcune volte mi hai parlato della tua solitudine, della tua pietà. Ma la tua pietà non ha nulla di sentimentale, così come la tua solitudine non ha nulla di malsano: l’una e l’altra sono i volti di una condizione sentita virilmente come un fatto senza rimedio, mai abbastanza scontato; riproposto, anzi, là dove la coscienza ha i suoi soprassalti più lucidi e intensi.
Perché tu sei uno di quei folletti lievi e bizzarri, buffoneschi e poetici, fantasiosi. Ne possiedi lo stesso spirito vivace, lo stesso candore infantile, un po’ atteggiato; lo stesso amore per le bugie e le mistificazioni giocose.
Quando la noia è troppo forte, sogni di diventare l’eroe di una favola: di trasformarti ora in un pesce blu del Giappone, ora in uno sciame d’api e di incontrare sulla tua strada uno stregone, una fata, una sonnambula, uno gnomo dai capelli fiammeggianti, un fantasma con la veste da camera fatta di nebbia.
Sopraggiungono i ricordi, la tua celletta dove la salvezza era precipitare in un abisso profondo, in un <<gouffre>> sconosciuto per vivere tra le innumerevoli creature di cui il grande Spirito concepisce la forma senza compierla: volatili misteriosi, silfidi stordite dal rumore della veglia, moscerini di fuoco.
La notte, all’ospedale bianco di ricoverati rasati come penitenti, portava anche gli orribili occhi del terrore, dell’angoscia. Poi le risa sinistre, le porte murate, le parole che non riescono ad uscire dal petto.
In quegli anni non ce la facevi a sopportare l’assurdità sistematica del genere umano e, come capita agli innocenti, venivi assalito da un estro atrabiliare, che suscitava in te bellissime invenzioni grottesche…
Non bisogna cedere alla tentazione di raccontare, o ancor peggio, spiegare i tuoi quadri, ma chi vi mette piede non riuscirà più a ritrarlo: tali sono le tensioni straordinarie ed estreme che subito lo catturano, perché “…vi sono momenti in cui i viaggiatori che si trovano nel (temuto) deserto si fermano e gli animali stessi rimangono silenziosi… “.
Così, ricordando un <<passaggio>> scritto in un eccesso sinarchico dal buon Saint-Yves d’Alveydree, che io e te commentammo a suo tempo con infervorato accento critico.
Tuttavia, quel ‘tacitarsi’ è appunto preludio anche per te, caro il mio artista, nell’atto stesso in cui <<raccogli>> il tuo incontro con ciò che ti ispira. Ecco allora il silenzio, che interviene. Dove, finalmente, tacciono gli esseri umani, con tutti gli animali. Consapevoli del prodigioso incontro.
Mi parrebbe la tua vita simile ad un cannaio. E credo tu l’abbia concepita proprio nel silenzio. Là, dove persino il vento cessa il suo intromettersi tra canne e canne, e viene allontanato prontamente dall’acqua, intenta a riflettere senza tremore alcuno, <<ogni cosa>>  in un’incisione accolta nell’animo del poeta.
Questo inventore di sé, e che sé dipinge, e che dunque se n’intende di simili incisioni.
Le si possono scorgere soprattutto da lontano. Cioè come meritano di essere viste le tue opere, senza indagarle più di tanto e senza leggerne lo spartito. Simile ad una sinfonia, sufficiente a se stessa.

Ed ecco il tuo “Perché”.
Non solo l’immediato percepito. Lo stimolo al <<compimento>>. E finalmente rappresentare una forma intravista lì per lì. Poi osservarla con il semplice proposito di scomporne il fondamento. Estrarlo dalla sua realtà per farne un’altra. No…
Allora, il perché delle scelte, delle ricorrenze di soggetti e oggetti, lo scopriamo nella sua contemporaneità ammantata di ricordi e sensazioni, esperienze accantonate, dimenticate e ritrovate o ancora da avverarsi. Il tutto, fuori dal tempo. Poiché il tempo, nell’atto creativo, e tu lo sai, mio caro e folle artista…scompare per lasciarti unico testimone.
Fabrizio Prina

* Estratto dai rapporti biografici di Fabrizio Prina, raccolti sulle pagine del MoMa The Museum of Modern Art, narranti la figura del grande pittore Pietro Augusto Cassina (1913-1999), ingiustamente rinchiuso nel 1936 e per 9 anni presso l’Ospedale psichiatrico della Certosa di Collegno (TO), accusato di ostilità verso il regime fascista.

 GALLERIA/GALLERY


From ‘Dialogues With a Sane Madman’*

I have seen your linear and naturally solemn gait these days.
I thought of you as an old warrior angel who used to watch men in transparency until they disappeared.
I have gladly imagined you <<cantato>> in one voice and several voices, with secret and sudden antiphons, of course in Latin. In the mystical Latin divulged at that century’s beginning by Remy de Gourmont.
You have sometimes told me of your loneliness, of your pity. But your pity has nothing sentimental, as your solitude has nothing unhealthy: the one and the other are the faces of a virile feeling condition as an un-remedying fact, never quite taken for granted; re-proposed, or rather, where the conscience has its clearest and most intense overtones.
Because you are one of those light, bizarre, funny, poetic, imaginative elves. You possess the same lively spirit, the same childlike candor, a little attitude; the same love for lies and playful mystifications.
When boredom is too strong, you dream of becoming the hero of a fairy tale: turn yourself into a blue fish from Japan, into a swarm of bees, and meet on your way a sorcerer, a fairy, a sleepwalker, a gnome with flaming hair, a ghost in a chamber robe made of fog.
Memories come, your cell where salvation was to plunge into a deep abyss, in an unknown <<gouffre>> to live among the countless creatures whose form the great Spirit conceives without fulfilling: Mysterious birds, silphides stunned by the noise of the wake, fireflies.
At night, in the white hospital of hospitalized people shaved like penitents, he also carried the horrible eyes of terror and anguish. Then the sinister laughter, the walled doors, the words that cannot escape from my chest.
In those years you couldn’t stand the systematic absurdity of mankind and, as happens to the innocent, you were assailed by an atrabilious flair, which aroused in your beautiful grotesque inventions…
You must not give in to the temptation of telling, or even worse, explaining your paintings, but whoever sets foot on them will no longer be able to portray him: such are the extraordinary and extreme tensions that immediately capture him, because “…there are times when travelers who are in the (feared) desert stop and the animals themselves remain silent… “.
Thus, recalling a <<passage>> written in a synarchy excess by the good Saint-Yves d’Alveydree, which you and I commented at the time with an enraged critical accent.
However, that ‘silence’ is a prelude for you too, my dear artist, in the very act in which <<you>> gather your encounter with what inspires you. Then there is silence, which intervenes. Where, finally, human beings are silent, with all the animals. Aware of the prodigious encounter.
Your life seems like a hookup. And I believe you conceived it in silence. There, where even the wind ceases its intrusion between reeds and reeds and is promptly driven away from the water, intent on reflecting without any hint of trembling, <<everything>> in an engraving received in the poet’s soul.
This inventor of himself, and who paints himself, and therefore knows about such engravings.
You can see them from a distance. That is, how your works deserve to be seen, without investigating them more and without reading the score. Like a symphony, sufficient to itself.
And here is your “why”.
Not only the immediate perceived, but the stimulus to <<fulfillment>>, finally representing an intrinsic form here and there. Then observe it with the simple purpose of breaking down its foundation. Take it out of its reality to make another. No…
Then, the reason for the choices, of the occurrences of subjects and objects, we discover it in its contemporaneity, clothed with memories and sensations, experiences shelved, forgotten and found or yet to be fulfilled. The whole, out of time. For a time, in the creative act, and you know it, my dear and mad artist…

Fabrizio Prina

* Extract from the biographical reports of Fabrizio Prina, collected on the pages of MoMa The Museum of Modern Art, narrating the figure of the great painter Pietro Augusto Cassina (1913-1999), accused of hostility towards the fascist regime, unjustly imprisoned in 1936 and kept for 9 years at the Psychiatric Hospital of the Certosa di Collegno (TO).

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