Di Marina Agostinacchio
Alla pesante pioggia
dell’altro mondo s’intesse
il soave scrosciare delle dalmatiche di questo mondo,
l’altero volo dei veli di questo mondo
inenarrabilmente ignoto al mondo.
Estatici allarmi ed appelli
d’angeli ministranti:
Le porte! Le porte!
escano i catecumeni!
Tre volte beato l’inno,
tre volte divina la folgore
teologica dei Cherubini,
ingiunge di deporre, disperdere dimenticare
ogni sollecitudine mondana.
Nessun catecumeno rimanga!
Cristina Campo si schiera dalla parte del mondo invisibile, sconosciuto, un mondo che non può dire con parole umane, o forse dice per difetto. L’altro è un mondo che più non le appartiene, da cui si è esclusa: è il mondo della “pesante pioggia”.
Paradossalmente questo mondo (—Verso tre — “il soave scrosciare delle dalmatiche di questo mondo”), che a una lettura distratta potrebbe sembrare il mondo terreno è quello, l’altro, mentre quello è ormai divenuto la terra lontana.
Il nuovo mondo, potremmo dire oltre cortina, è connotato di richiami lessicali scelti: il soave scrosciare, l’altero volo dei veli, l’ inenarrabilmente ignoto al mondo.
Essi sono i segni di quel mondo, altro, che ormai lei chiama “questo mondo”; questo nel senso di appartenenza, di vivido esserci, di spazio in cui Cristina percepisce i suoni, le immagini, luogo dove lei siede perfettamente a suo agio
Riprendo ora il testo poetico proposto, con alcuni dettagli esplicativi dei versi.
L’altero volo dei veli di questo mondo — verso 4 — è riferito al velo nero, copricapo dei dignitari e dei monaci bizantini, velo che alla morte viene abbassato sul volto.
Circa il verso otto: Le porte! Le porte! / escano i catecumeni! esso è l’esclamazione proferita dai diaconi all’inizio della liturgia dei fedeli.
A sottolineare la pregnanza e a dare rilevanza all’espressione esortativa, la poetessa dice dei diaconi: Estatici allarmi ed appelli/d’angeli ministranti, il che conferma quella congiuntura terra-cielo che la Campo intende comunicare attraverso le Icone, il rito liturgico bizantino, le scelte lessicali.
Nel decimo, tredicesimo, quattordicesimo verso, troviamo queste parole: Tre volte beato l’inno,/tre volte divina la folgore/teologica dei Cherubini,/ingiunge di deporre, disperdere dimenticare/ogni sollecitudine mondana, ecco il Kerubicon, ovvero l’Inno dei Cherubini all’offertorio, che invita quasi in modo perentorio “a disperdere dimenticare/ogni sollecitudine mondana”, a concentrarsi su quel mondo a cui lei stessa ha aderito.(“ Non si tratta di superare la natura ma di sostituirla con un’altra natura a noi ignota”).
Un’ ultima riflessione vorrebbe essere testimonianza di quanto mi ha suggestionato della parola poetica di Cristina Campo, a proposito di questi ultimi versi che ripropongo al lettore:
Tre volte beato l’inno, /tre volte divina la folgore/teologica dei Cherubini
Il riferimento al numero Tre (“Tre volte beato… tre volte divina…) farebbe pensare alla Trinità divina, ma anche all’uso biblico di un numero riferito a una realtà non-numerica, umana, temporale, alla totalità cosmica: cielo, terra, uomo, al tre nella Divina Commedia; penso anche al tre come a un ritorno di unità, dopo la divisione del due. Penso al tre come triangolo dove il vertice in alto può indicare l’impulso alla salita di ogni cosa. Il tre nella Kabbalah, è in riferimento alla terza lettera dell’alfabeto ebraico: Ghimel . Nella sua forma essa offre l’immagine di una persona nell’atto di correre, e a indicare con il piede in avanti uno slancio, spinta ad uscire da se stessi, dalle proprie limitazioni. Infine, la triade del pensiero nell’Idealismo hegeliano che vede nei tre momenti dello spirito Assoluto- Tesi-Antitesi -Sintesi il raggiungimento di una ricomposizione in cui l’idea raggiunge se stessa e la propria libertà.
“Tre volte beato”, — verso dieci —, espressione detta anche Trisagion angelico, è l’inno usato in maniera comune nella liturgia delle Chiese orientali cattoliche e ortodosse. Inoltre, nella liturgia bizantina si chiama cherubico l’inno cantato mentre il diacono porta all’altare il pane e il vino
Infine, circa il riferimento alla folgore divina, (verso undici), il pensiero corre ai Cherubini come i primi fra tutti gli altri angeli ad essere citati nella Bibbia: “E il Signore Dio… pose davanti al giardino dell’Eden i Cherubini, e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita”.