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Così l’Autoritratto di Leonardo diventa un ‘giallo’

Una nuova metodologia non invasiva per lo studio dei beni culturali, sviluppata dall’Istituto dei sistemi complessi del Cnr con le Università di Tor Vergata e Cracovia, rileva in modo oggettivo l’ossidazione del disegno (autorritratto di Leonardo), dovuta all’ambiente umido e chiuso in cui è stato conservato. Lo studio è pubblicato su Applied Physics Letters

Fig1 verso: immagini del verso dell’Autoritratto di Leonardo da Vinci acquisite nel corso degli studi diagnostici effettuati presso l’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario (Icrcpal) a Roma, Italia
Fig1 recto: immagini del recto dell’Autoritratto di Leonardo da Vinci acquisite nel corso degli studi diagnostici effettuati presso l’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario (Icrcpal) a Roma, Italia

L’Autoritratto di Leonardo da Vinci – conservato presso la Biblioteca Reale di Torino – è un celeberrimo disegno su carta databile intorno al 1516. Un’indagine sugli spettri ottici dell’opera, eseguita con una metodologia sperimentale sviluppata dall’Istituto dei sistemi complessi del Consiglio nazionale delle ricerche (Isc-Cnr), in collaborazione con le Università di Roma Tor Vergata e di Cracovia, ha rilevato in modo oggettivo l’ossidazione del disegno, dovuta all’ambiente umido e chiuso in cui è stato conservato. I risultati sono pubblicati su ‘Applied Physics Letters’.
“Per ovviare alle disomogeneità del sottile strato di foglio dell’Autoritratto, circa 220 micron, ossia 0.22 millimetri, con vuoti dovuti alla presenza di aria”, spiega Mauro Missori dell’Isc-Cnr, “i dati sperimentali, ottenuti mediante una tecnica spettroscopica basata su radiazioni non invasive di bassa intensità, sono stati analizzati sviluppando una specifica estensione del modello di trasferimento radiativo detto di Kubelka-Munk”.
La carta, un tempo fabbricata mediante estrazione della cellulosa da stracci sottoposti a idratazione e pressatura, degrada per alcune reazioni indotte in particolare dal vapor acqueo: l’idrolisi acida o alcalina indebolisce la struttura e l’interazione fra ossigeno atmosferico e cellulosa attiva l’ossidazione, che causa danni ottici. “L’ossidazione crea alcuni gruppi detti cromofori che assorbono la luce principalmente nelle regioni del blu-violetto dello spettro visibile e nell’ultravioletto, dando alla carta il caratteristico colore giallognolo”, prosegue il ricercatore. “Per dare una definizione misurabile e oggettiva dell’ingiallimento si ricorre a una tecnica spettroscopica non invasiva in cui le radiazioni riflesse dal campione su alcuni punti critici sul recto e sul verso sono raccolte da una sfera integratrice e misurate da un rivelatore multi-canale”.

Zone analisi 1
Zone analisi 2

I dati ottenuti dalla misura, eseguita dall’Isc-Cnr presso l’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario di Roma, “sono stati confrontati con quelli teorici ottenuti da una simulazione al calcolatore dal gruppo dell’Università di Tor Vergata, identificando e quantificando i cromofori responsabili dell’ingiallimento dell’Autoritratto”, conclude Missori. “Il confronto di questi dati con quelli ottenuti analizzando campioni di carta della stessa epoca e campioni di carta moderna invecchiati artificialmente in condizioni ambientali controllate ha messo in luce una forte somiglianza del tipo di cromofori presenti nell’Autoritratto con quelli trovati in campioni conservati in ambienti chiusi e ad elevata umidità. La metodologia, se applicata nel futuro all’Autoritratto, consentirà di valutare la velocità di degradazione visiva che è una informazione fondamentale per la programmazione degli interventi di restauro e conservazione”.

Inoltre lo stesso approccio diagnostico sarà applicato ad altri disegni di Leonardo da Vinci e ad altri beni culturali per garantire una corretta conservazione e come supporto diagnostico per gli eventuali restauri.

Immagini Zone analisi 1 e 2: sono indicate le regioni dove sono state effettuate le analisi di concentrazione dei gruppi ossidati cromofori

Le immagini sono concesse da Maria Cristina Misiti, direttore Icrcpal, coautrice dello studio.

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