Articolo di Filippo Flamini [Almanacco della Scienza CNR N. 1 – 13 gen 2021]
“Perfino in epoche remote si ebbero invenzioni importanti, tanto nel settore militare quanto nel trasporto e in quello operativo-produttivo…
La tesi della “stagnazione tecnologica” nell’antichità resiste ancora, ma è sempre più attaccata. “Perfino in epoche remote si ebbero invenzioni importanti, tanto nel settore militare quanto nel trasporto e in quello operativo-produttivo. Basti pensare al carro da guerra, che diede un vantaggio enorme in battaglia a Hittiti ed Egizi nei confronti dei loro vicini. Oppure alle geniali macchine d’assedio inventate dagli Assiri e perfezionate dai Romani, come le torri mobili o le baliste: fino all’invenzione delle armi da fuoco erano le uniche macchine utilizzabili negli assedi. E lo facevano con grande successo”, afferma Massimo Cultraro dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale (Ispc) del Cnr di Catania.
Una delle critiche maggiori riguarda l’uso della schiavitù, che avrebbe reso meno utili macchine per alleggerire la forza lavoro. “Non è così scontato, perché a volte il traffico di schiavi, soprattutto greci, ha consentito di veicolare conoscenze tecniche, oltre che artistiche e culturali, nel mondo romano per esempio. Inoltre, la forza lavoro era utile per la costruzione di grandi opere di ingegneria civile e militare”, prosegue il ricercatore. “E anche per quanto concerne il finanziamento alla ricerca, tema delicato anche oggi, non era organizzato in modo scientifico, ma vi erano fenomeni di energetismo (pratica di finanziamento a scopi di propaganda che si diffonde nel mondo greco a partire dall’età ellenistica) per supportare la ricerca e le arti. La committenza, scientifica e artistica, ci fu ed ebbe molta importanza. Cosa che ritroviamo anche nelle epoche successive, come per gli Sforza di Milano”.
…nell’antichità non esisteva la figura dello scienziato puro…
Ma si può parlare di scienza pura? Non esattamente. “C’è anche da dire che nell’antichità non esisteva la figura dello scienziato puro; più spesso gli studiosi guardavano la conoscenza in modo totale, senza essere settoriali. Filosofi interessati alle scienze, come Arato da Soli (poeta e astronomo), Aristotele (filosofo ma anche osservatore dei fenomeni naturali) e tutti i pre-socratici. Questo avrebbe forse riversato energie e finanziamenti in modo troppo dispersivo”, prosegue Cultraro.
Eppure gli antichi non mancavano di conoscenze matematiche, che furono però potenziate dagli arabi (ma su basi di studi greco-bizantini), e della geometria euclidea. Ciò permetteva il realizzarsi delle grandiose progettazioni romane o del trasporto degli enormi obelischi che vennero portati a Roma: tutte opere che richiedevano grande precisione.
Altro esempio delle conoscenze matematiche è dimostrato dalle impostazioni metriche nelle musiche, purtroppo oggi scomparse. Scomparse come la maggior parte delle macchine, le quali erano formate da materiali deperibili come ferro, legno e corde di nervo. Impedendoci di capire tanti aspetti delle opere e della vita quotidiana degli abitanti dei secoli passati. “Faccio sempre l’esempio del meccanismo di Antikythera, ritrovato fortunosamente in mare. Era un calcolatore sofisticato, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei pianeti conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana e le date dei giochi olimpici. Ancora oggi il suo funzionamento è di difficile comprensione per gli studiosi”, conclude il ricercatore del Cnr-Ispc. I ritrovamenti archeologici insomma stanno aiutando a volgere verso un’opinione più benevola le macchine nell’antichità. Come mai allora non ci fu una rivoluzione industriale nel mondo ellenistico-romano? “Ieri come oggi, oltre agli aspetti citati, non va dimenticata la solitudine del ricercatore: bastava un piccolo insuccesso o degli intoppi nella progettazione per far terminare la ricerca”. “Senza fondi e sostegno il ricercatore era costretto ad occuparsi di altro per sopravvivere”. Condannando invenzioni promettenti all’oblio.
Filippo Flamini