Una task force internazionale affronta il problema dei tumori non curabili e delle recidive: dosi non tossiche di sostanze presenti nelle piante e negli alimenti potrebbero rappresentare la chiave di svolta. A dirlo, uno studio interdisciplinare di Getting to Know Cancer – network di cui fanno parte ricercatori degli Istituti di scienze dell’alimentazione e di farmacologia traslazionale del Cnr- pubblicato in un numero speciale di Seminars in Cancer Biology
Molecole naturali a bassa tossicità da impiegare in terapia combinata al fine di colpire il più ampio numero possibile di bersagli molecolari in diversi tipi di cancro sono state identificate dall’organizzazione non governativa internazionale e interdisciplinare Getting to Know Cancer (Conoscere il cancro), costituita da 180 scienziati provenienti da istituzioni di 22 diversi Paesi, tra i quali Gian Luigi Russo e Carmela Spagnuolo dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Isa-Cnr) di Avellino, ed Emanuela Signori dell’Istituto di farmacologia traslazionale (Ift-Cnr) di Roma. Il network con base in Canada ha dato vita a gruppi di studio e individuato 74 bersagli molecolari che, correttamente modulati, potrebbero migliorare le risposte cliniche nei pazienti oncologici. I lavori prodotti dai vari gruppi di lavoro sono pubblicati in un numero speciale di Seminars in Cancer Biology edito da Elsevier.
“Il nostro gruppo di lavoro si è focalizzato sulla genesi, sviluppo, progressione del tumore e ha affrontato l’importante problematica della resistenza ai farmaci, con particolare riferimento alla problematica della resistenza all’apoptosi, cioè quel processo di morte cellulare con il quale si cerca di combattere le cellule tumorali”, commenta Spagnuolo. “Così come per gli altri gruppi di lavoro è emersa l’utilità di impiegare sostanze naturali a bassa tossicità, ad esempio la quercetina nella leucemia cronica, in combinazione con farmaci di nuova o vecchia generazione”, prosegue Russo. “Queste considerazioni suggeriscono un nuovo approccio per la prevenzione e la terapia del cancro che andrebbe approfondito e validato sperimentalmente, tenendo conto delle problematiche legate ad alcune di queste molecole, quali la limitata biodisponibilità. E confermano come le conoscenze condivise permettano di far luce sui bersagli primari a cui riferirsi per ottenere migliori risultati nel trattamento di pazienti affetti da tumori resistenti alle terapie”.
“Nonostante i successi dei moderni approcci terapeutici contro il cancro, molte nuove terapie restano estremamente costose, tossiche e spesso inefficaci nel trattamento di forme tumorali rare o in stadio avanzato”, conclude il ricercatore. “Anche quando i trattamenti funzionano, una percentuale significativa di pazienti va incontro a recidiva quando sottopopolazioni di cellule maligne resistenti ai farmaci cominciano a espandersi. Per superare questi ostacoli si ricorre alla combinazione di diverse terapie le quali, purtroppo, spesso portano a un aumento della tossicità che ne limita l’impiego”.
“È necessario quindi proporre anche nuovi approcci terapeutici, partendo ad esempio dallo studio dei meccanismi che consentono ai tumori di evadere la risposta del sistema immunitario”, afferma Signori. “Strategie innovative in questo campo sono i vaccini antitumorali di nuova generazione, dei quali da anni si occupa il nostro laboratorio. La vaccinazione infatti rappresenta un’importante strategia che, permettendo una efficace modulazione della risposta immunitaria del paziente, potrebbe riuscire a controllare molti casi di recidive, così come la somministrazione di anticorpi o di fitofarmaci”.
“Questo settore merita grande attenzione”, sostiene Dean Felsher della Stanford University (Usa). “Le moderne terapie stanno migliorando, ma abbiamo bisogno di una svolta che possa aiutarci a risolvere il problema della recidiva, e questo approccio potrebbe darci una possibilità rivoluzionaria”.
La task force si è concentrata su un approccio terapeutico a basso costo, poiché molte recenti terapie antitumorali sono inaccessibili nei Paesi a reddito medio-basso. Restano ancora molte domande per rispondere alle quali sono necessarie sperimentazioni in vivo che consentano di ottimizzare questo nuovo approccio prima di arrivare agli studi clinici nell’uomo.