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Clima, oceani e l’impatto umano

di Luigi Cavaleri e Alvise Benetazzo

Tutti abbiamo sentito parlare dell’effetto serra e di come la civiltà moderna ne sia responsabile. Oltre a focalizzare il problema, Luigi Cavaleri e Alvise Benetazzo dell’Istituto di scienze marine del Cnr di Venezia, vogliono qui fotografare le conseguenze, anche per la vita negli oceani grazie ai quali, nel contempo, ci viene dato un po’ più di tempo per modificare il nostro stile di vita

Le scoperte che più influenzano la nostra vita non sono necessariamente quelle con un impatto più immediato. Ben maggiore influenza può avere la comprensione di un processo a lungo periodo e di ben maggiore impatto per l’umanità. Non c’è dubbio che uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni sia il cosiddetto cambiamento climatico. Concetto corretto ma espressione fuorviante, perché in effetti il clima è sempre cambiato nel tempo. Tuttavia, negli ultimi anni, con una grossa accelerazione negli ultimi 50, l’umanità ha prodotto sempre più gas serra, soprattutto anidride carbonica, CO2, e questi nell’atmosfera funzionano benissimo da isolante, trattenendo il calore che giunge dal Sole. Rispetto a prima dell’era industriale, la temperatura media sulla superfice della Terra è aumentata di 1,2 gradi, e se la tendenza di produzione non viene invertita, i gradi alla fine del presente secolo saranno 2 o più. Sembrano pochi, ma sono tanti se pensiamo che nell’era glaciale, quando i grandi ghiacciai perenni scendevano dalle Alpi in Val Padana e calotte di ghiaccio alte oltre 3 km ricoprivano la regione dei grandi laghi dall’America Settentrionale e la Scandinavia, la temperatura media sulla Terra era solo 4-5 gradi meno di adesso.

È a questo punto che entrano in gioco le mareggiate. Infatti, una gran parte dei gas che immettiamo nell’atmosfera e dell’energia termica che ne deriva vengono assorbiti dagli oceani. In un mondo ipotetico, con meno superficie marina saremmo già a condizioni estreme, ma le raggiungeremo nel prossimo futuro se non cambiamo stile di vita. È intuitivo che maggiore è la superficie che separa due grandi masse (mare e atmosfera) più intensi sono gli scambi (di calore, massa). Gli oceani sono grandi, coprono circa il 70% della superfice della Terra. Ma c’è di più. Durante una mareggiata, con maestosi frangenti flagellati dal vento, l’acqua del mare si riempie di bolle d’aria, mentre, nel contempo, la schiuma sollevata dal vento si divide in particelle, da quelle più grosse a quelle minute (lo spray), che il vento porta verso l’alto, nell’atmosfera, facilitando la formazione di nuvole. Spettacolare com’è, tutto questo implica che l’effettiva superficie di contatto aria-acqua aumenti considerevolmente, con un corrispondente aumento degli scambi atmosfera-oceano. Se pensiamo che, sia pur in luoghi variabili e diversi, il 10-15% degli oceani globali è sempre in tempesta, capiamo subito che sono queste le zone dove avvengono i grandi trasferimenti di calore e anidride carbonica. Quindi ben vengano le tempeste, anche se talvolta nel giungere a terra possono poi procurarci dei problemi (ma non dimentichiamo che spesso sono accompagnate da pioggia, in pratica l’acqua di cui abbiamo tutti grande bisogno).

Una storia a lieto fine quindi? Sì, ma non del tutto, e non per il mare, da cui dipendiamo. La natura ha equilibri molto delicati, e spesso forzando in una direzione appaiono effetti imprevisti e, soprattutto, non reversibili. L’assorbimento di anidride carbonica e calore da parte dell’oceano non è senza conseguenze. Fino a pochi decenni fa, il riscaldamento del mare era confinato soprattutto negli strati superficiali. È esperienza comune, specie nei mari non profondi, come la temperatura dell’acqua sia aumentata. Coi tempi della grande circolazione oceanica, però, progressivamente il calore ha raggiunto, sia pur lentamente, gli strati profondi. A parte le conseguenze per la vita marina (l’argomento sulle nuove specie ittiche nel Mediterraneo è sui giornali), un mare che si riscalda aumenta di volume. Poco certamente, ma anche un piccolo aumento di, per esempio, una parte su 10.000 (1 mm su 10 metri d’acqua) corrisponde a 40 cm di aumento del livello del mare, se si considera una profondità media degli oceani di 4 km. C’è da pensarci perché è possibile, se non probabile, che gran parte delle presenti città, paesi e infrastrutture costiere siano non abitabili/utilizzabili a fine secolo. Questo senza tener conto della possibile, anche se per ora parziale, fusione dei ghiacci della Groenlandia e dell’Antartide.

Per l’anidride carbonica il problema è chimico. L’assorbimento, e quindi la sempre crescente quantità di anidride carbonica negli oceani, porta a un’acidificazione dell’acqua marina. Per ora il problema non riguarda tanto noi esseri umani, quanto le creature marine che usano i carbonati per la propria nicchia di vita (aragoste, granchi, cozze, conchiglie, coralli e simili). La loro non è una vita facile: devono estrarre continuamente dall’acqua il carbonato che serve a formare e accrescere il proprio guscio protettivo. Questo diventa sempre più difficile e dispendioso di energia man mano che aumenta l’acidità dell’oceano. La stima è che, col nostro presente stile di vita, gran parte di queste creature non ce la farà più per la fine del secolo a fissare i propri scheletri (coralli) e gusci (molluschi, pteropodi e altri organismi). Per la stessa acidità anche i pesci più grandi avranno difficoltà di sopravvivenza.

Una visione pessimistica? Assolutamente no. Le evidenze sono chiare, e quanto previsto per un futuro non lontano è basato sulla scienza. La scoperta, o meglio la comprensione, del clima, della presente situazione, di cosa sta avvenendo e sta per avvenire, non ha cambiato la nostra vita da un giorno all’altro, ma è quella che a lungo termine, entro l’arco della vita di parte di chi legge, più influenzerà la nostra esistenza.

[Almanacco della Scienza No.9, ottobre 023]

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