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Centro di gravità…zero

Dai tubi termici satellitari alle tecnologie avanzate per la ricerca in Antartide, Meganne Christian lavora a progetti e idee per portare il grafene in ambienti estremi come quelli nello spazio a gravità zero. Il contrario di quello bramato da  Franco Battiato nella sua nota canzone “Cerco un centro di gravità permanente”. Ricercatrice dell’Istituto per la microelettronica e microsistemi (Imm) del Consiglio nazionale delle ricerche, collabora con Graphene Flagship, l’iniziativa di ricerca sul grafene dell’Unione europea, di cui il Cnr è partner.

Per capire meglio l’oggetto delle sue ricerche, le chiediamo di spiegarci cosa sono i tubi termici ad anello in microgravità e quali vantaggi può portare il grafene alla tecnologia satellitare. “Ci sono sempre più satelliti attivi in orbita con la Terra e svolgono attività che vanno dal Gps alle comunicazioni e all’osservazione e difesa del Pianeta. Hanno una vita di circa quindici anni e per quel tempo devono funzionare senza l’intervento umano. Visto che un lato di un satellite è sempre esposto alla radiazione solare e l’altro invece verso il freddo assoluto dello spazio, la gestione termica dei componenti elettronici è difficoltosa, soprattutto se si considera che in assenza di gravità non c’è la convezione naturale per raffreddarli. Le ‘loop heat pipe’, tradotto tubi termici ad anello, sono dispositivi che riescono a dissipare il calore da una superficie calda sfruttando il cambio di fase tra liquido e vapore di un fluido che scorre al loro interno, in modo del tutto passivo, quindi senza bisogno di pompe o di altri componenti che potrebbero rompersi e, soprattutto, anche in assenza di gravità. Questo grazie a un mezzo poroso nell’evaporatore che ha il doppio compito di aspirare il liquido e di trasferire il calore dall’esterno per trasformare il liquido in vapore e continuare il flusso nell’anello. Insieme ad altri collaboratori della Graphene Flagship abbiamo visto che, rivestendo il mezzo poroso con il grafene o con l’ossido di grafene, si possono migliorare le prestazioni, aumentando sia la pressione capillare sia la conducibilità termica nonché l’interazione con il fluido, arrivando così a un processo più veloce ed efficace”.

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Per testare questi dispositivi è necessario quindi replicare le stesse condizioni che ci sono nello spazio, ma come è stato possibile simulare un ambiente a gravità zero? “Con il nostro setup sperimentale abbiamo effettuato una serie di voli parabolici (gestiti da NoveSpace e finanziati dall’Esa) in cui l’aereo fa una serie di manovre per simulare la gravità zero”, spiega Christian.

“Su un volo ci sono 31 parabole e, in ciascuna parabola, ci sono 20 secondi di doppia gravità (2g), 22 secondi di gravità zero, poi altri 20 secondi di doppia gravità. L’aereo vola normalmente per un breve periodo prima di cominciare la parabola successiva. Le condizioni sono dure non solo per i materiali che testiamo ma anche per noi ricercatori a bordo. Io ho avuto l’opportunità di fare due voli parabolici ed è stata un’esperienza incredibile. C’è un po’ di tempo anche per divertirsi e devo dire che la sensazione di volare, di galleggiare in aria è davvero emozionante, non è paragonabile a nessuna sensazione che ho mai provato”.

A questo link si trova un video che mostra contemporaneamente quello che si vede fuori dalla finestra dell’aereo durante una parabola (e quindi aiuta a capire un po’ meglio la manovra) e quello che succede dentro l’aereo.

Meganne Christian ha condotto le sue ricerche anche in un altro ambiente estremo, l’Antartide. “Nel 2019 ho vissuto un’altra esperienza indimenticabile: passare un anno alla base Concordia, vicino al Polo Sud, in Antartide. Il mio ruolo, sempre con un contratto Cnr ma assegnata temporaneamente al Programma nazionale di ricerche in Antartide, era gestire gli osservatori permanenti della fisica dell’atmosfera e della meteorologia”, racconta la ricercatrice. “Eravamo in tredici persone, isolate sul plateau antartico per nove mesi, quattro dei quali senza mai vedere il sole. Abbiamo raggiunto una temperatura minima percepita di -104 gradi e siamo usciti a lavorare anche in condizioni così estreme. Con il mio occhio da scienziata dei materiali ho cercato delle opportunità per lo sviluppo di tecnologie che possono facilitare la ricerca in ambienti così estremi, un progetto che spero di continuare a portare avanti”.

Alessia Cosseddu [L’Almanacco della Scienza N. 12 – 16 giugno 2021]

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