Intervista di Gianluca Macovez
La intervistiamo nei giorni in cui viene inaugurata la 100 stagione dell’Arena di Verona, proprio con ‘Aida’, opera nella quale la signora Baglioni fu insuperabile Amneris, titolo che dall’anfiteatro veneto portò in tutto il mondo, diventando presto una delle dive più acclamate del Metropolitan di New York, dove ha lasciato ricordi vibranti.
Mezzosoprano autentico, dalla voce ricchissima di colori, dotata di un centro solido e possente, estensione amplissima con bassi suadenti ed acuti taglienti come lame, è stata capace di non cadere nella tentazione di aprirsi ai ruoli di soprano.
Nella sua carriera ha sempre lavorato con tenacia e costanza, cesellando ruoli di grande valore musicale e di forte impatto scenico, regalando sempre una interpretazione personale dei vari personaggi.
Vanta un repertorio ricco di titoli: da ‘La Favorita’ a ‘Don Carlo’; da ‘ Cavalleria Rusticana’ a ‘La Gioconda’; da ‘Il Trovatore’ ad ‘Aida’.
Al suo nome sono sempre stati associati serietà, passione, affidabilità e senso del dovere.
Una donna determinata, diretta, schietta, che non ha mai inseguito la facile popolarità e che si è sempre posta al servizio della musica con umiltà e dedizione.
Da quando ha lasciato il palcoscenico, peraltro con una voce ancora prodigiosamente integra, la signora si è dedicata all’insegnamento.
Sicuramente una donna tutta d’un pezzo, che ama essere chiara, al punto che, se fra le righe manifesta la stima per la figlia, apprezzata agente teatrale, prima di tutto sente il bisogno di chiarire l’assoluta distanza dalla sua carriera, perché nel mondo dell’arte si deve andare avanti, lei dice, per i propri meriti, ci si deve guadagnare tutto in prima persona e non ci devono essere facilitazioni od ostacoli smussati.
Così è stato per lei e questo le ha permesso una carriera lunghissima, senza cedimenti, che l’ha portata sui principali palcoscenici del mondo, consacrandola, come dicevamo all’inizio, come una vera regina dell’Arena, decisamente teatro non facile per la voce; amata primadonna del Metropolitan; trionfatrice di una delle serate più tese della storia della Scala; ma anche sempre disponibile ad esibirsi nella cosiddetta ‘provincia’, perché l’Arte vera non ha categorie preconcette, gerarchie e pregiudizi.
Nonostante il successo internazionale, quello che emerge non è una cantante autoreferenziale, ma una donna preoccupata per il futuro del teatro, che non perde tempo in faziosità, ma chiede con determinazione che la politica abbia il coraggio di scendere in campo in difesa dei giovani cantanti, che non celebra i tanti applausi ricevuti, ma l’importanza delle tante audizioni fatta, il valore dello studio e della fatica, il coraggio dei Direttori Artistici capaci di puntare sui nomi emergenti, l’etica dei grandi Maestri che riconoscevano il valore degli sconosciuti.
Un incontro che è una lezione di eleganza e di modestia, di competenza e di coerenza.
L’Idea Magazine: Cominciamo questa intervista proprio con una domanda che riguarda questa seconda fase della sua carriera.
Che consigli si sente di dare ai giovani che vorrebbero diventare cantanti lirici? Quali sono, secondo lei, le doti principali che devono avere?
Bruna Baglioni: La prima cosa da avere è la testa, poi la voce e da ultimo ma non per minore importanza, la voglia di studiare assiduamente che dovrà accompagnare il cantante fino all’ultimo giorno della carriera. Studio, studio, studio senza cercare scappatoie e raccomandazioni, senza pensare di essere il primo della classe, perché questo devono dirglielo gli altri che lo ascoltano.
L’Idea Magazine: Parliamo adesso degli esordi di Bruna Baglioni. Come si avvicinò all’opera? Quali sono stati i suoi primi maestri?
Bruna Baglioni: Da bambina cantavo e recitavo sempre, nella mia testa non pensavo di avere la voce da cantante lirica che poi con il tempo e lo studio si è sviluppata. Da adolescente desideravo cantare come Mina. Quando mio padre mi accompagnò dal Maestro Antonellini, allora Direttore del Coro di Santa Cecilia di Roma, ero priva di qualsiasi nozione operistica, nella mia famiglia non c’erano musicisti, mio padre aveva una voce bellissima di tenore, nella famiglia di mio padre molti avevano il dono della voce. Il Maestro Antonellini mi consigliò quale insegnante, il Maestro Baldaccini, che mi suggerì di studiare opera e non la musica leggera. Il Maestro Baldaccini mi fece preparare il Trovatore perché all’Opera di Roma facevano audizioni sul ruolo per le borse di studio Enal. Quando andai a fare l’audizione all’Opera di Roma, la giuria era composta da tanti Maestri, tra loro l’ex sovrintendente il Maestro Guido Sampaoli, direttore del Concorso di Spoleto, il quale ascoltandomi mi disse di non aver ascoltato una voce di così grande qualità da molti anni e mi indicò di andare a perfezionarmi dal Maestro Ferdinando Cavaniglia, allora Maestro ripassatore dell’Opera di Roma, che successivamente divenne addetto al cast. Studiando non capivo da dove provenisse la mia voce, potevo ripetere ed imparare ma volevo essere padrona del mio strumento. Per questo il Maestro Cavaniglia mi suggerì di andare a studiare dalla Professoressa Gina Maria Rebori, un’insegnante di tecnica che era stata una cantante di musica da camera. La Professoressa Rebori è stata per me un fondamentale esempio professionale e di vita, mi ha accompagnato nella carriera fino alla sua morte nel 1999 a quasi 100 anni. Quando il Maestro Cavaniglia divenne addetto al cast non potè più insegnare, a quei tempi vinsi Spoleto Giovani e studiai i miei primi ruoli con il Maestro Alberto Paoletti. Successivamente andai a lezione dal Maestro Walter Cataldi Tassoni, che è stata l’altra figura fondamentale della mia vita professionale, con lui ho preparato ogni ruolo anche con degli elementi di regia. Il Maestro Cataldi Tassoni è morto a fine 2018, mi ha accompagnato fino alla fine della mia carriera di cantante.
“La Professoressa Rebori è stata per me un fondamentale esempio professionale e di vita, mi ha accompagnato nella carriera fino alla sua morte nel 1999 a quasi 100 anni.”
L’Idea Magazine: In più occasioni ha dichiarato la sua stima per Giulietta Simionato.
Cosa ammirava di lei? Come fu l’incontro con il grande mezzosoprano, dal quale per certi versi ricevette il testimone?
Bruna Baglioni: Di Giulietta Simionato ho apprezzato il modo di cantare e la voce di vero mezzosoprano; inoltre, ho sempre creduto che la mia vocalità fosse più vicina alla sua rispetto ad altri mezzosoprani. L’ho sempre ascoltata. In fase di studio mi distaccavo per poi riascoltarla quando avevo già completato il mio personaggio, non per presunzione ma perché ho voluto da sempre creare la mia identità e il mio modo di porgere. Incontrai la Sig.ra Simionato per avere delle nozioni sul personaggio di Giovanna Seymour in Anna Bolena, ruolo che interpretai al Comunale di Bologna che riprendeva il titolo dopo molti anni dall’esecuzione della Callas e Simionato. La Sig.ra Simionato mi diede dei consigli interpretativi dei quali feci tesoro.
L’Idea Magazine: Il suo esordio scaligero è legato ad uno dei più clamorosi fiaschi del teatro milanese. Il 28 gennaio 1974 va in scena ‘ La Favorita’. Il cast è di fuoriclasse: Cossotto, Pavarotti, Vinco, diretti da Nino Verchi. Qualcosa non funziona, forse anche a causa delle vicissitudini che avevano accompagnato il periodo di prova ed il teatro decide di azzerare la terna dei protagonisti e di mandare in scena Bruna Baglioni, affiancata da Paolo Washington ed Umberto Grilli. Fu un successo e la sua consacrazione fra i grandi. Ma come fu accettare una simile sfida? In quel caso, quale è il giudizio che si teme di più: la direzione artistica del teatro od il pubblico?
Bruna Baglioni: Prima della famosa Favorita, in Scala avevo già cantato l’Ostessa nel Boris Goudonov assegnatomi a seguito di un’audizione con il Maestro Gianandrea Gavazzeni, riservata ai giovani del Festival Dei Due Mondi, dietro segnalazione del Maestro Massimo Bogianckino. Dopo il Boris avevo ottenuto altri contratti in Scala per Burya in Jenufa e Federica nella Luisa Miller. Intanto seguitavo a fare audizioni e produzioni. La Scala mi scelse per Leonora di Guzman dopo il successo ottenuto sullo stesso ruolo al Comunale di Bologna accanto a Luciano Pavarotti e Renato Bruson diretta da Francesco Molinari Pradelli. Fu il Maestro Piero Rattalino a scegliermi per la Favorita di Bologna, selezionandomi in audizione, questo è stato un passaggio fondamentale nella mia carriera. Un Maestro importante come Piero Rattalino e un Direttore importante come Francesco Molinari Pradelli mi scelsero in audizione sul ruolo, in base alla mia preparazione e alla mia voce e mi consacrarono loro nel ruolo protagonista. Quanti giovani oggi hanno una simile possibilità e quanti Maestri si incontrano disponibili all’ascolto e al rinnovo della nostra arte? Ma questa è un’altra storia.
A dire la verità non ho mai avuto timore né del pubblico e neppure della Direzione Artistica della Scala, perché mi avevano scelta loro, quel pubblico invece mi ha amato da subito, perché mi ha compreso nel profondo, io sono una persona con un dono, che ho amministrato con amore e serietà, credo che tutti lo sappiano.
“A dire la verità non ho mai avuto timore né del pubblico e neppure della Direzione Artistica della Scala…”
L’Idea Magazine: Lei ha cantato moltissimo all’estero ed in particolare al Metropolitan. Che differenza c’era fra esibirsi a Milano ed a New York?
Bruna Baglioni: Non esiste differenza tra cantare a Milano oppure a New York, a Londra o a Monaco, sono tutti Teatri importanti, nonostante La Scala sia considerata l’Olimpo dei Teatri. L’artista in ogni caso deve essere preparato in eguale maniera per ogni Teatro nel quale si esibisce, senza sottovalutare mai, perché nel pubblico ci può essere sempre qualcuno che ascolta che potrebbe darti la possibilità della vita, soprattutto se sei giovane. Quanto al significato di dover cantare al Metropolitan, loro sono molto aperti e familiari, questo sicuramente rende l’artista maggiormente tranquillo e a proprio agio, almeno era così ai miei tempi, oggi non saprei. Vedo Teatri sempre più chiusi nei loro nazionalismi e poco internazionali, ma soprattutto poco aperti alla nuova generazione. Ricordo il Maestro Levine al mio debutto, aprirmi il sipario e portarmi in camerino una bottiglia di champagne, questo sicuramente in Italia non mi è mai accaduto.
L’Idea Magazine: Lei ha vissuto da protagonista gli anni della grande lirica. Cosa pensa sia cambiato oggi?
Bruna Baglioni: Oggi è cambiato tutto, come del resto è cambiato tutto in ogni settore di grande importanza. Oggi le possibilità non vengono date, gli artisti studiano tanto e non vengono ascoltati (quasi mai seriamente), quasi nessuno rischia ad inserirti in Produzioni importanti, in Teatri importanti. Senza questo rischio o meglio questa possibilità non avremo più i grandi cantanti, soprattutto italiani. L’estero se ne guarda bene, molti paesi investono sui propri talenti. Anche se a dire il vero, questo è sempre esistito, ai miei tempi ci sono stati paesi che hanno sostenuto fortemente i propri talenti, con la globalizzazione ed il supporto delle case discografiche, gli italiani poco protetti dalla politica etc. hanno subito un predominio straniero. Io, comunque, grazie a Dio che mi ha donato una voce non comune, grazie a mio marito e alla mia famiglia che mi hanno sostenuto e grazie a me stessa devo ammettere, di essere riuscita a superare le controversie del teatro e ad affermarmi.
“Oggi le possibilità non vengono date, gli artisti studiano tanto e non vengono ascoltati…”
L’Italia in generale ha sempre investito poco sui propri talenti e sulla propria cultura, credo sia arrivato il momento di riconoscere concretamente al nostro settore un degno valore, tenendo presente che l’opera italiana, viene rappresentata in tutto il mondo nel quale diffonde la nostra cultura, ormai penetrata nella cultura di tutti i popoli. I nostri artisti sono spesso lasciati allo sbando e molti tra questi si perdono cambiando strada. Spero che la politica che è nei Teatri, sappia andare oltre interessi personalistici e possa realmente investire in quest’arte, di modo che anche i veri talenti italiani possano tornare a lavorare ai primi livelli nazionali ed internazionali. Faccio notare che se il Maestro Piero Rattalino non mi avesse dato la possibilità di debuttare al Comunale di Bologna nella Favorita accanto a Luciano Pavarotti e Renato Bruson, a seguito di audizione, non sarei andata a La Scala per lo stesso ruolo, nonostante fossi già scritturata dalla Scala per altri ruoli. Se così non fosse stato, la mia carriera avrebbe potuto avere un rallentamento o un’evoluzione diversa. Le voci esistono sempre, è solo questione di volontà, basta credere un pò di più in noi stessi, nella nostra tecnica e nella nostra cultura musicale. Per questo faccio appello a chi gestisce per una maggiore obiettività e capacità d’investire nei nuovi artisti.
L’Idea Magazine: Personalmente ho moltissimi ricordi che la coinvolgono. Mi piacerebbe ricordarle lo spettacolo e chiederle se può unire alle mie memorie inutili, le sue, sicuramente interessanti ed utili per meglio conoscere la sua carriera, ma anche per ridare lustro ad un tempo gloriosissimo. La prima volta che l’ascoltai era il 1973. ‘La Gioconda’ a Trieste. Protagonista Hana Janku, affiancata da Umberto Grilli, Paolo Washington, Luisa Nave, allora ancora Bordin e Mario Zanasi. Spettacolo bellissimo, diretto da Bruno Bartoletti. Personalmente ricordo ancora la grande intensità con cui seppe cantare la parte della cieca. L’idea che una cantante giovane riuscisse a costruire così bene il disagio di quella donna, la capacità di muoversi in scena con credibilità, senza essere mai macchiettistica, sono doti indimenticabili. Ha qualche ricordo di quegli inizi così impegnativi?
Bruna Baglioni: Grazie per il suo bellissimo ricordo. A te questo Rosario (la romanza della Cieca) è stata l’aria che ho cantato per la prima volta in orchestra alla Fenice di Venezia, avendo vinto il concorso Enal. Sono quindi molto legata a questa romanza. Tornando all’esperienza di Trieste, il ruolo della Cieca, a quei tempi io ero molto giovane e non lo sentivo proprio adatto a me, ho faticato ed essendo testarda ma anche studiosissima, la riuscita fu buona, perché mi impegnai moltissimo, mi fa piacere che qualcuno lo ricordi. Il Maestro Raffaello De Banfield ascoltandomi in quell’occasione disse che sarei stata una grande Laura Adorno. Infatti, fu proprio il ruolo di Laura, tra i principali della mia carriera che ho interpretato in contesti importantissimi quali il San Carlo di Napoli (dove ho debuttato il ruolo), il Metropolitan di New York accanto alla cara collega scomparsa da poco Grace Bumbry e Carlo Bergonzi diretti da Giuseppe Patanè, il Liceu di Barcellona e in quasi tutti i più grandi teatri.
L’Idea Magazine: Ha cantato spesso con Umberto Grilli, tenore di grande valore, ma di fatto dimenticato immeritatamente dai troppi addetti ai lavori. Ha dei ricordi ce lo coinvolgono che vorrebbe condividere con noi?
Bruna Baglioni: Umberto Grilli era un bravo cantante, oggi sappiamo perché di qualcuno si parla di più e di qualcuno di meno, spesso il discorso non è legato al merito. La cosa più bella che voglio ricordare è quella di aver fatto la mia prima opera da protagonista in Scala con Umberto, l’Opera era La Favorita che avevo già debuttato a Bologna. Quindi nella famosa Favorita della Scala del 1974 fu proprio Umberto Grilli a sostituire Luciano Pavarotti.
L’Idea Magazine: Trieste, negli anni fortunati della gestione De Banfield Gilleri, spesso allestiva opere del repertorio slavo. Nel 1975 toccò a ‘ Eugenio Oniegin’. anche qui cast mirabolante, con Josella Ligi, Lajos Kozma, Kostas Paskalis, la Zanolli. Dirigeva Danon. Mi piacque moltissimo e mi colpì molto la sua Olga, tanto che decisi che dovevo assolutamente venire a farle i complimenti in camerino. Siccome non ero sicuro che sarebbe stata presente agli applausi a fine opera, perché dalla trama non capivo se nel terzo atto era presente, andai con aria determinata dal responsabile di palcoscenico, che ormai mi temeva come la peste nera ed insistetti, miagolai, brontalai, spiegai, finchè quel povero uomo, dall’aria austera ed elegante, si arrese e non solo mi fece passare, ma mi accompagnai. Fu l’unica volta che chiesi gli autografi con il body guard. Da un lato, quasi mezzo secolo dopo le confermo la grandezza della sua Olga, dall’altro le domado sia se ha qualche anedotto su quello spettacolo, sia come è per una cantante che ha abbracciato con passione il repertorio verdiano e quello verista, il confronto con la grande musica russa?
Bruna Baglioni: Onegin a Trieste fu fatto in lingua italiana, come prima era solito fare. Sempre nel repertorio russo feci l’Ostessa nel Boris Goudonov al Festival dei Due Mondi e Marfa nella Kovancina al Teatro Massimo Bellini di Catania ed in Prima esecuzione italiana “La Notte Prima di Natale” di Rimskij- Korsakov al Teatro Comunale di Bologna. Interpretai questo repertorio in italiano con la mia voce, devo dire senza avere nessuna difficoltà vocale e non dovendo affrontare problematiche dovute alla lingua.
“Giancarlo Menotti fu una figura fondamentale per la mia carriera…”
L’Idea Magazine: Naturalmente ho avuto il piacere di ascoltare in più occasioni la sua Amneris, sia a Trieste che a Verona. A Trieste la prima volta fu nel 1979, in un magnifico allestimento firmato Giancarlo Menotti. Per quel che riguarda la più elegante ‘Aida’ che abbia visto. Com’era Menotti regista? Anche del Maestro si tende a parlare pochissimo e soprattutto come musicista, ma le sue regie farebbero impallidire i grandi registi d’oggi e credo che ricordarlo sia giusto.
Bruna Baglioni: Giancarlo Menotti fu una figura fondamentale per la mia carriera, avendo debuttato al Festival Dei Due Mondi da dove sono partita artisticamente. Menotti valorizzò sin da subito le mie doti interpretative, proprio in un’opera russa come Boris Goudonov e in un ruolo di fianco rendendomi protagonista, tutti parlarono della mia interpretazione dell’Ostessa. Con Menotti poi mi ritrovai al Verdi di Trieste, quello che mi disse in occasione dell’Aida, l’ho reso mio e portato con me nel mondo. Grazie a lui. Grande persona, grande Artista e Musicista.
L’Idea Magazine: Lei è stata magnifica Amneris anche in una ‘Aida’ molto meno apprezzata: quella del 1988, con la regia contestatissima di Puecher. Una prima domanda è relativa alla fatica a cantare in spettacoli che non incontrano il gusto del pubblico. Come si vivono le contestazioni, anche se non riguardano di persona? All’epoca si parlò molto di un dietro alle quinte piuttosto turbolento. Ci racconta se effettivamente ci furono delle tensioni o se fu una trovata del teatro per distrarre dall’allestimento? Il mio ricordo personale è di lei che entra in scena vestita come Sissy, con un lungo spacco nella gonna, il frustino in mano ed un cappellino ottocentesco. Un’espressione che non ho mai capito se fosse quella di una Amneris altera o quella di una cantante che avrebbe fatto magiare il costume all’autore dello spettacolo. Poi aprì bocca e ci portò immediatamente al tempo dei faraoni, indipendentemente dagli abiti sul palcoscenico e delle scene che si muovevano a vista. A dimostrazione della sua grandezza artistica.
Bruna Baglioni: Le contestazioni, anche se altrui si vivono sempre male. Oggi si dice che i registi per essere apprezzati debbano essere contestati, questo in Puecher, che era un grande artista può essere visto come un primo anticipo della nostra modernità operistica. Per quanto riguarda le tensioni interne, io non ne ero al corrente. Sul palcoscenico tutti parlavamo dei costumi e dell’ambientazione di quell’Aida.
Bruna Baglioni: Mi dovrebbe domandare com’era. Perché oggi è diverso. La microfonazione non esisteva e l’Arena è costruita acusticamente in maniera talmente perfetta, che le voci ben proiettate erano udibili in qualunque punto, anche nei gradini più alti. Mi dicevano i miei amici e colleghi che la mia voce faceva il giro e tornava in palcoscenico. Cantare in Arena è sempre difficile, perché il clima estivo in alcune serate è terribilmente caldo, mentre in altre è freddo, gli spazi sono grandi e la prestazione sia vocale che scenica deve essere sempre al massimo, anche perché l’Arena era frequentata da grandi intenditori provenienti da tutto il mondo che venivano ad ascoltare gli artisti più importanti e veramente più importanti nel mondo. L’ansia è sempre presente in qualunque teatro anche il più piccolo, è la gestione di essa e la sua trasformazione in adrenalina a permettere al bravo cantante di diventare un vero artista. In ogni caso, cantare in Arena significava cantare con grandi direttori, registi e colleghi con alcuni dei quali siamo diventati come famiglia. Questo legame rendeva più piacevole la permanenza in quella splendida città. Per me, inoltre, cantare a Verona voleva dire cantare a casa, avevo accanto moltissimi amici, molti dei quali oggi non ci sono più, a loro riserbo sempre un posto speciale nel mio cuore, per quelli che invece sono in vita spero che possano leggere questa mia intervista e possano capire quanto io li ricordi sempre con affetto, loro hanno sicuramente contribuito ai miei successi.
“… cantare in Arena significava cantare con grandi direttori, registi e colleghi con alcuni dei quali siamo diventati come famiglia…”
L’Idea Magazine: Avviandoci alla conclusione, qualche domanda meno legata a spettacoli specifici. Prima di tutto quali sono stati i ruoli che più ha amato e perché? Quali invece, fra quelli portati in scena, è stata contenta di non riproporre?
Bruna Baglioni: Il ruolo che principalmente mi ha dato notorietà nel mondo è Amneris, l’ho studiato nei minimi particolari ed è sicuramente il ruolo che ho interpretato di più. Il ruolo in cui mi divertivo di più vocalmente esprimendo tutte le mie capacità vocali dall’estremo grave all’estremo acuto anche con pianissimi è invece Eboli. Oggi la mia Eboli è diventata più celebre grazie alla diffusione in Tv, anche su Rai 5, dell’incisione del Don Carlo dal Covent Garden di Londra regia ripresa da Luchino Visconti con la direzione di Bernard Haitink. Ho interpretato questo ruolo nei Teatri più importanti tra i quali Il Metropolitan di New York, il Bayerische Staatsoper di Monaco, lo Staatsoper di Amburgo, l’Opera di Zurigo, il Wiener Staatsoper, Teatro Comunale di Bologna, trasferta della Fenice di Venezia all’Opera Nazionale di Varsavia, Arena di Verona e in quasi tutti i più importanti.
In ogni caso in ogni ruolo ho potuto esprimere una parte di me stessa. In palcoscenico sono riuscita a tirare fuori la mia vera personalità e la mia vera anima, amo Amneris ed Eboli allo stesso livello di Azucena e Santuzza, Laura Adorno, Dalila, Fedora, senza dimenticare Leonora di Guzman ( La Favorita), Adalgisa e Giovanna Seymour.
Non esiste per me un ruolo che ho interpretato mal volentieri in quanto il mio repertorio è sempre stato ben circoscritto, questo mi ha permesso di conservare la mia voce intatta ancora oggi.
L’Idea Magazine: C’è qualche collega che le fa piacere ricordare? Perché?
Bruna Baglioni: I miei colleghi indimenticabili sono tanti, temo che nominandoli possa dimenticarne qualcuno, preferisco così portarli nel mio cuore.
L’Idea Magazine: Una domanda politicamente scorretta. Qualcuno con cui decisamente non è riuscita ad andare d’accordo?
Bruna Baglioni: Anche quelli che per una qualche ragione non mi sono stati amici, ho cercato di ignorarli senza creare questioni.
L’Idea Magazine: Il mondo dell’opera è molto cambiato, di fatto forse si saranno sanati alcuni bilanci, ma questo ha comportato un appiattimento delle stagioni ed anche una politica culturale dello stato non sempre chiara. Ha qualche osservazione e proposta al riguardo?
Bruna Baglioni: Il problema di sanare i bilanci non c’entra, basterebbe notare chi è ed è stato scritturato anche nel periodo del Covid, quando avremmo dovuto mangiare, bere, vestirsi e viaggiare made in Italy. Basterebbe un’equa distribuzione del lavoro, immettendo nuovi artisti nel mercato, cercando di valorizzare a livello nazionale anche i nostri artisti, così come si fa in tutto il mondo. Certo bisogna essere in grado di sceglierli, avere competenza, capacità e coraggio per poterlo fare.
L’Idea Magazine: Adesso lei insegna e sua figlia Priscilla è una valente agente (fra gli altri segue Leo An, Daria Masiero, Irene Molinari, Piero Terranova, Dario Di Vietri, Mickael Spadaccini e molti artisti di nuova generazione). Non le viene mai voglia di cimentarsi nella regia?
Bruna Baglioni: Direi di no, per fare il regista ci vuole un determinato studio. Potrei farlo ma non è la mia professione. Mia figlia fa l’agente ma non c’entro e non voglio essere coinvolta nelle scelte della sua attività. Lei ha una sua preparazione, un suo gusto e una sua identità, abbiamo fatto sempre molta attenzione nel distinguere i nostri ambiti. Io oggi voglio dare consigli tentando di lasciare qualcosa di me stessa alle nuove generazioni. Voglio che le persone serbino di me un bel ricordo di arte pulita e fatta sul merito. La famiglia e l’amicizia in questo non c’entrano. Ho piacere che mia figlia stia facendo tutto quanto da sola. Lei è colta, nata musicalmente in teatro, tenace e piena di belle idee, da sola con queste sue capacità deve districarsi nella difficile professione che ha scelto, in questo senso io le starò per sempre accanto.
L’Idea Magazine: La chiacchierata volge alla chiusura. Ancora una volta la signora Baglioni è stata cortese, come quando interruppi il suo trucco per chiederle un autografo, autentica e diretta come i grandi sanno essere, appassionata ed appassionante. Una lezione di stile e di classe. Da vera primadonna quale è sempre stata.