La nostra consapevolezza che le cose non mutano repentinamente fa sì che ciò che vediamo è condizionato da ciò che abbiamo appena visto. Ecco perché non ci accorgiamo di improvvisi cambiamenti tra le scene di un film e che non abbiamo una visione precisa delle quantità. A scoprirlo, un gruppo di ricercatori dell’Università di Firenze e dell’Istituto di neuroscienze del Cnr di Pisa. Lo studio è pubblicato su Proceedings of the National Academy of Science http://doi.org/10.1073/pnas.
“Questi meccanismi servono ad armonizzare la percezione del mondo che altrimenti sarebbe fortemente discontinua”, dice David Burr, professore della facoltà di psicologia all’Università di Firenze e coautore dello studio. “A differenza che nei film, l’ambiente che ci circonda è sostanzialmente stabile, con pochi cambiamenti improvvisi. Il cervello sembra aver imparato che le cose non cambiano improvvisamente e, se un’informazione attuale non è completamente affidabile, ci si può basare su quello che si è visto prima”.
“La ragione che sottende questo comportamento, prosegue il coautore Marco Cicchini dell’In-Cnr, è che gli apparati sensoriali non sono perfetti bensì contengono, come tutti i sistemi di comunicazione, fluttazioni casuali e ‘rumore di fondo’. Queste fluttuazioni, se registrate, potrebbero essere interpretate come veri e propri cambiamenti nel mondo esterno. Per questo motivo il sistema visivo cerca continuamente di mettere insieme gli stimoli che sono simili tra di loro e di costruirne una sorta di media”.
Lo studio rivela un meccanismo percettivo secondo cui il presente di cui siamo coscienti è a tutti gli effetti una media di ciò che abbiamo esperito negli ultimi quindici secondi circa. “Senza questa integrazione degli stimoli nel tempo, saremmo ipersensibili alle fluttuazioni visive innescate da ombre, dal movimento e da una miriade di altri fattori: i volti e gli oggetti potrebbero sembrare trasformarsi da un momento all’altro con un effetto sconvolgente”, conclude Cicchini.