Di Federico Scatamburlo (da OperaAmorMio magazine)
Aida, sontuosa, magnifica, sempre spettacolare in qualsiasi allestimento. Questo è quanto si aspetta il pubblico da questa grandiosa creazione scaturita dal genio di Giuseppe Verdi.
Per la prima rappresentazione dell’opera in titolo in cartellone nel 99° Arena di Verona Opera Festival, finalmente liberi dalle mascherine e dai distanziamenti, il pubblico è accorso numerosissimo e l’anfiteatro era gremito fino all’ultima gradinata. Ma è rimasto piuttosto deluso. La sensazione generale è stata quella di assistere a una specie di prova generale, anzi di un ante generale. Evidente la poca sincronia tra orchestra, palco, coro, maestranze e perfino tecnici.
Si, perfino l’allestimento scenico è stato completato davanti agli occhi del pubblico già seduto, annullando così una parte della “magia” scenografica del maestro Franco Zeffirelli, rivelando in anticipo trucchi e segreti della enorme piramide che, in questa messa in scena, riempie per buona parte il grande palco dell’anfiteatro.
Un vero peccato perché si può comunque evincere, in un simile allestimento, il “faraonico” lavoro di tutto il personale coinvolto, che si conclude in una resa scenografica, canora e musicale che dovrebbe ammaliare e affascinare lo spettatore portandolo in un altro mondo per tre ore. In questo caso invece abbiamo notato noia, insoddisfazione e più di qualche defezione anticipata.
Splendida l’orchestra della Fondazione Arena di Verona che il maestro Daniel Oren ha diretto con la famosa maestria e gusto che lo contraddistingue, ma chiaramente si è capito, appena dopo l’ouverture, che non c’erano intese sufficienti tra buca e palco. Purtroppo i volumi sono stati dal direttore volutamente controllati, quasi soffocati per non coprire i cantanti, tanto che, a parte alcuni momenti lirici e intensi, molte sonorità sono state appena udibili, rendendo la partitura verdiana poco efficace.
Spiace veramente sottolinearlo, ma il comparto canoro dei protagonisti è stato inadeguato, appena al livello minimo sindacale richiesto da un teatro così importante. Come già ribadito molte volte, questo grande palco richiede, letteralmente, grandi voci.
Murat Karahan nel ruolo di Radamès, è dotato di una voce che è lontana da un ruolo così eroico e impetuoso. Molti gli errori di dizione e pronuncia, i quali, uniti a una naturale carenza di volume, hanno contribuito ad una performance priva di smalto. Di sicuro il bel colore di voce risulterebbe gradevole in ruoli più leggeri.
La protagonista dell’opera in titolo, Aida, ci ha lasciati un po’ imbarazzati. Lo scarso uso delle consonanti, con conseguente impossibilità di sganciarsi nei fraseggi, hanno reso la sua prova una specie di unico vocalizzo, per lo più incomprensibile, poco vicino alla partitura e spesso ai limiti dell’intonazione; anche la parte drammaturgica è sembrata ancora grezza e da migliorare notevolmente. Peccato perché per Liudmyla Monastryrska il materiale e la dotazione ci sono, e se usati con proprietà, potrebbero dare ottimi risultati.
Per quanto concerne il resto degli interpreti non c’è molto da dire: abbastanza buono Sava Vemić, Il Re, anche se eccessivamente rigido, quasi intimorito nel dosare l’emissione vocale; traballante l’esecuzione di Ferruccio Furlanetto nei panni di Ramfis.
Degne di nota invece le prestazioni canore di Carlo Bosi, Un messaggero, voce squillante e ben puntata, e di Roman Burdenko nella fondamentale parte di Amonasro, padre di Aida. Quest’ultimo è stato decisamente il migliore sul palco, con bella voce brunita, squillante, decisa e comprensibile dizione.
Anche Francesca Maionchi da dietro le quinte ha reso una buonissima Sacerdotessa.
Coro della Fondazione Arena (istruito dal nuovo direttore Ulisse Trabacchin) in grande spolvero dal punto di vista canoro e musicale ma, purtroppo, anche questo ha risentito della confusione generale, con frequenti attacchi sbagliati e qualche inciampo scenico.
Notevole il Corpo di Ballo della Fondazione Arena di Verona, il quale, con le coreografie di Vladimir Vasiliev, e il coordinamento di Gaetano Petrosino, ha degnamente abbellito ulteriormente le scenografie, e, con grazia ed eleganza, ha regalato momenti di bellezza e armonia. Protagonisti dei quadri scenici danzanti i primi ballerini Ana Sofia Scheller, Fernando Montano e Ekaterina Olenik. Bravi.
Onnipresenti i tocchi di colore dei bellissimi costumi di Anna Anni.
È stato dunque uno spettacolo un po’ sottotono rispetto agli standard qualitativi che di solito propone la Fondazione, ma non sono mancati gli applausi a fine recita. Siamo convinti che questo sia stato un incidente di percorso e che sia servito a scaldare i motori, e siamo certi che le prossime recite saranno degne della fama di questo Teatro che tutto il mondo ci invidia.
La recensione si riferisce alla prima del 18 giugno 2022
Photo©ENNEVI