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Archeologo asburgico con il cuore italiano

Paolo Orsi

Un suddito asburgico che ha aperto la strada alla conoscenza della Magna Grecia. Paolo Orsi, nato a Rovereto nel 1859, allora sotto l’impero Austro-Ungarico, ha segnato la storia dell’archeologia italiana nel lungo periodo compreso tra l’Unità d’Italia e il Ventennio fascista. Nonostante i forti legami culturali con la Mitteleuropa non nascose mai i suoi ideali e aneliti patriottici di vedere un giorno l’Alto Adige sotto il tricolore italiano.

Nell’attività di studioso fu pioniere dell’indagine archeologica in Calabria e in Sicilia, regioni fino ad allora poco esplorate. Fu uno dei promotori della fondazione del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria e condusse notevoli studi nei siti di Locri, Rosarno, Crotone, Caulonia, Gela Pantalica, Megara Hyblaea. Fu socio dell’Accademia dei Lincei, Senatore del Regno d’Italia e a lui è dedicato il Museo di Siracusa.

Orsi è ricordato per aver applicato nel settore degli studi antichi un rigoroso metodo scientifico e modernamente aperto alla multidisciplinarità. Infatti, la cultura di tradizione positivista e l’influsso dell’impostazione filologica lo portarono alla elaborazione di un criterio di ricerca e di un approccio analitico che ancora oggi sono modelli di riferimento nella ricostruzione dei contesti umani e ambientali. Il primo banco di prova in cui egli mise a frutto la sua passione per l’antichità fu il Trentino, di cui esplorò il territorio tra gli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento, annotando sempre quanto andava osservando.

“I viaggi, effettuati a cavallo, a dorso di mulo e soprattutto a piedi, rappresentavano la base del metodo di indagine topografica messo a punto da Orsi. … esso comportava ‘un’immersione totale’ nel paesaggio e che, ovunque egli si trovasse, lo portava a esplorare minuziosamente il terreno, incurante dei rigori climatici, delle asperità dei luoghi e della fatica fisica. (Barbara Maurina, “I Viaggi archeologici di Paolo Orsi nelle vallate trentine e il metodo di ricognizione topografica: alcune osservazioni”, in Annali del Museo Civico di Rovereto, n. 34/2018).

Dopo gli studi presso l’Imperial Regio Ginnasio di Rovereto, si trasferì a Vienna per seguire corsi di storia antica e archeologia. Continuò la sua formazione presso l’Università di Padova e si laureò a Roma. Poi frequentò la Reale scuola italiana di Archeologia nella Capitale, la scuola d’arte classica a Bologna e paleontologia di nuovo a Roma.

“Per formazione culturale e per condizione anagrafica, Orsi incarna la tradizione scientifica positivista che attribuiva ai dati oggettivi (i Realien della scuola viennese) la fonte da cui avviare ogni ricerca. Ogni manufatto, dalla Preistoria al Medioevo, veniva analizzato in rapporto al contesto di appartenenza, geografico e culturale, per arrivare ad una lettura sistemica dell’intera documentazione in una dimensione storica”, spiega Massimo Cultraro, archeologo dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale del Consiglio nazionale delle ricerche. “Appena quindici anni dopo l’edizione del volume di John Lubbock, Prehistoric Times (1865), il giovane Orsi nell’esplorazione del Colombo di Mori (Tn), dimostrava non solo di conoscere il nuovo sistema di periodizzazione della Preistoria proposto dallo studioso inglese, ma soprattutto di condurre un’indagine con un nuovo metodo stratigrafico”.

Le lezioni di Luigi Pigorini, padre della paletnologia nazionale, seguite a Roma nel 1881 furono determinanti per le scelte future del giovane studioso che, nel 1888, vincitore di concorso, venne mandato come ispettore degli scavi nella sede di Siracusa, dove resterà in servizio fino al 1932.

Grazie a questo incarico egli si impegnò anche a contrastare i trafficanti di opere d’arte e spregiudicati collezionisti stranieri che venivano in Sicilia a rifornirsi.

“Esplorò siti di vasta scala procedendo con saggi mirati alla definizione topografica e alla lettura diacronica del sito. Favorito da una facile scrittura, componeva in poco tempo le relazioni di scavo che si trasformavano in straordinari saggi ricchi di annotazioni bibliografiche, come dimostra l’imponente raccolta di scritti che supera i trecento articoli”, continua il ricercatore

Nel 1907, a seguito della riorganizzazione delle soprintendenze archeologiche, gli venne affidato buona parte del territorio della Sicilia centro-orientale e la neonata Soprintendenza di Reggio Calabria e Potenza. Scoprì il santuario della Mannella di Locri, colse nell’evento del disastroso terremoto di Messina del 1908, la grande opportunità di effettuare rapidi sondaggi al fine di intercettare depositi di interesse archeologico.

“I suoi taccuini, oggi conservati presso il Museo Archeologico di Siracusa a lui intitolato, insieme alle diverse migliaia di lettere private condivise tra Siracusa e il Museo Civico di Rovereto”, conclude Cultraro, “ sono una fonte inesauribile per la definizione della personalità poliedrica sul piano scientifico, ma rude e riservata sul fronte privato, di un studioso che non voleva andare in Sicilia, ma alla fine visse nell’isola per quasi mezzo secolo”.

Sandra Fiore [da “Almanacco della Scienza CNR, N. 20 – 4 NOV 2020]

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