Di Marina Agostinacchio
Sto leggendo un articolo della studiosa e giornalista Alessia Cervini che parla di amore e mi colpisce questa frase:
“Quasi che esistesse una naturale propensione dell’amore a trasformarsi in parola – scritta o orale – così come in immagine”.
Ed effettivamente quando parliamo o viviamo l’Amore ci portiamo nell’intimo una serie di immagini, fotogrammi di quanto abbiamo vissuto, viviamo anche solo attraverso esperienze di altri.
Il cinema ci soccorre, spesso più della lettura, a darci la direzione verso la narrazione di una storia animata, con le sue tecniche di montaggio, di costruzioni semantiche di tecniche di ripresa, con l’aggiunta degli effetti sonori e visivi… il montaggio si presenta come uno spazio, un’opportunità di incontro fra immagini che aprono a un gioco, il cinema stesso. “Il montaggio è dunque il luogo in cui l’amore in quanto evento soltanto può dispiegarsi. E se questo è vero, forse addirittura cinema e amore sono la stessa cosa”- (Cervini).
Proprio le immagini del cinema sono rivelatrici di manifestazioni dell’amore; immagini che non seguono nel loro avvicendarsi una linea logica, rigorosa, ma che vivono in incroci liberi “come accade alle parole che compongono un monologo interiore”.
La Cervini ci dice però che mai sapremo davvero definire cosa sia l’amore, in cosa consista, “nome di un oggetto sfuggente, impossibile da definire per via argomentativa e dimostrativa”.
Cosa resta da fare per avvicinarci a una risposta che ci dia chiara consapevolezza di cosa sia davvero l’amore?
La studiosa ci suggerisce di “imparare a riconoscerlo” prima di narrarlo, descriverlo, dire su esso.
Costruire insieme significa esperire un cammino in fieri, dove le due parti in causa imparano a gestire uno spazio comune condiviso, “uno spazio che si amplia e si restringe, si modifica, in fasi diverse”.
Ecco che allora si dovrebbe, forse, ripensare all’amore come a un sentimento nutrito da ciascuno all’interno di sé stessi, in una dimensione sempre adattabile, mai rigidamente rispondente a leggi o a comportamenti cristallizzati, capace di vivere e ossigenarsi nel rispetto delle differenti individualità, nell’unicità, nella solitudine di ognuno. Scorgerne una linea mossa, piuttosto che una linearità di percorso, di punti intermedi, una linea dotata di dinamismo, in cui il raffronto è fatto di una possibilità di compromesso, di negoziazione…
“L’amore può essere, come non essere: nella sua gratuità sta la ragione della sua unicità”.
Certo l’amore va educato ad essere atto gratuito, capace di accettazione dell’altro, del suo desiderio di esprimere aspirazioni, desideri, momenti di solitudine, di non condivisione sempre e per forza.
È, l’amore, una dimensione che, fino dall’età tenera, andrebbe sostenuta, visualizzata gradualmente nelle espressioni di amore circostanti, non per farne regole, o calchi da imitare; guardare l’amore per riconoscere quel potenziale di sentimento ed espressivo che giace in ognuno di noi, imparare a riflettere, accettando quel tanto di rischio parte dell’esistenza.