Site icon L'Idea Magazine

2017: WERTHER AL MET

Recensione di Neco Verbis © dibartolocritic

Irresistibile il Werther di Massenet, impossibile non andare in capo al mondo per vederlo. L’importante è che sia un bel Werther. Di Werther brutti se ne vedono in giro tanti, se ne sono visti anche in teatri illustri. Werther è per buongustai. Bisogna saperlo mettere in scena e soprattutto cantare. Chi canta male il Werther cade in bassa fortuna presso il sottoscritto: non è un gran danno per molti, ma è un patto stretto direttamente con Jules, in un momento di confidenza del tutto personale.

Dunque al Metropolitan Opera di New York vai pressoché sul sicuro, a meno d’incontrare qualche Werther che si creda Cavaradossi e poi stimbri alla francese i piano e pianissimo da far rabbribidire…Ma saranno i soliti posteri ad emanare l’ardua sentenza. Qui si parla, invece, del 16 febbraio 2016.

Con Vittorio Grigolo si corre sempre qualche rischio, io lo trovo pressoché imprevedibile. Strana la sua maschera, spesso alterata da posture esasperate. Espressione non sempre adeguata alla parte, ma questa volta, come Werther, si è messo d’impegno anche vocalmente. Pur se la pronuncia non fosse perfetta, nonostante l’ostinazione a cantare perfino la erre francese che neanche i cantanti francesi cantano (chi ce l’ha, ce l’ha di natura ed è bella…artefatta un po’ meno), bisogna dire che il Grigolo è stato un buon Werther, senza scatti da puledro imbizzarrito, “Pourquoi me réveiller” ben cantato, una mezza voce molto morbida, con un bel legato, acuti abbastanza facili e pieni.

Tutti aspettano quello, come la Pira ne Il Trovatore. Ma il Werther non è solo quest’aria celeberrima (che qualcuno si ostina a cantare con accento spagnolo!), è anche e soprattutto tutto il resto. E il resto è stato gradevole, i francesismi in falsetto messi solo quando fosse d’uopo (sempre che lo sia…), l’insieme porto con gusto e senza troppe gigionerie. Il Grigolo ha studiato: buon per Werther.

Meno convincente, la Charlotte della newyorchese Isabel Leonard, che vocalmente, però, è molto interessante. Attualmente anche Zerlina, sempre al Met, bellissimo colore, ottima proiezione, ma era come se fosse intimidita dalla parte, forse sovrastata dall’impeto energetico del Grigolo. Un po’ fredda, poco immedesimata, bisogna dire. Il che è un vero peccato, perché la voce c’è tutta, insieme alla presenza e la Leonard può essere un’ottima Charlotte in ogni senso. Magari un attimo in più di concentrazione, sviata dall’emozione di essere concupita dal Vittorio, non le guasterebbe.

Voce un po’ chioccia quella della Sophie di Anna Christy (debutto al Met con Papagena), ma tutto sommato accettabile, autorevole l’Albert di David Bizic, che debuttò al Met proprio in questa parte nel 2014 e che l’ha decisamente migliorata. La visione “militaresca” di Albert è forse lo spunto più indovinato dell’intera messa in scena, perché giustifica la presenza delle pistole “a vista” in casa, però chiuse con una chiave che egli solo possiede. Queste pistole in giro per casa sono sempre un nodo difficile da sciolgiere per la regia: una buona idea, data la trasposizione temporale alla fine del XIX secolo.

Altrettanto positivo è il riscontro per gli altri interpreti e i bambini, che non sono mai facili da gestire.

Ma se il re della serata sulla scena è stato Grigolo, in buca c’era un accorto e capacissimo Concertatore e Direttore: il M°. Edward Gardner, che teneva in pugno la tracimante orchestrona del Met, la quale, ogni tanto, nella sezione degli ottoni, aveva qualche incertezza. Strano ma vero…In compenso, gli archi erano di tutto rispetto.

Mancava un po’ di colore francese alla direzione inglese, però; mancava qualche affondo, qualche pugnalata massenetiana nei momenti giusti. Un po’ più di profondità, di scavo nell’anima avrebbe giovato anche alla direzione, che però è stata molto aderente allo spirito dell’opera. Ma io sono un fanatico del Werther e dunque ho in mente un paragone su tutti (anche due, veramente, di cui uno piuttosto giovane) e fare paragoni fa diventarte il critico ancora più antipatico…La battuta finale, poi, è il termomentro dell’esecuzione dell’intero Werther: se sbagli quella, hai sbagliato tutto. Qui c’era, ma la staffilata finale è stata troppo breve: avebbe potuto essere più pregnante.

Per fortuna, dunque, nel complesso, l’amato Werther in trasferta negli States ne è uscito indenne, senza fraintendimenti, nella ben sperimentata produzione di Sir Richard Eyre, tradizionale e curata ma senza voli pindarici, dentro le ben note scene sontuose e i bei costumi di Rob Howell, che ha sovrapposto mille colori primaverili, invernali e autunnali in mille proiezioni, forse troppe; dentro le ben note scene sontuose e i bei costumi di Rob Howell, che ha sovrapposto mille colori primaverili, invernali e autunnali in mille proiezioni, forse troppe con Il lighting designer Peter Mumford ed il video designer Wendall K. Harrington; con quella stanzetta di Werther al finale piazzata in fondo all’immenso palcoscenico del Met. Una soluzione ardita, ma che evidentemente piace (a me personalmente no), come piace l’enorme quantità di sangue (troppo) che ricopre il povero protagonista suicida. Insomma, la questione “suicidio ideale di Werther” resta sempre aperta…

Pubblico convinto e applausi per tutti i protagonisti, pioggia di fiori sul’espansivo Grigolo al proscenio; il che non è una novità per il Met, ma è sempre comunque un momento di gratificazione per un lavoro ben fatto.

PHOTOS © Metropolitan Opera| Marty Sohl

Neco Verbis © dibartolocritic

 

Exit mobile version