Friday, April 19, 2024

La realtà quotidiana e il resto.

di  Massimo Vezzaro

In occasione della presentazione alla Fiera delle Parole di Padova  del libro di Marina Agostinacchio, “Bab el Gherib. La porta del vento”, Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2018 .

Marina Agostinacchio

L’universo lirico di Marina Agostinacchio è costruito sulle esperienze della mente in aperto conflitto con la realtà, almeno con ogni rappresentazione ordinata della realtà. Da una parte l’esperienza del sogno (p.20, v. 6; p. 21, v.1), dall’altra quella della memoria (p.22, v. 6) si oppongono alla certezza dell’inesorabile, freddo, irreversibile svolgersi degli eventi del mondo (p.20, v. 6; p. 21, v.1), evocato dal verso “Tutto accadrà perché deve accadere” (p.20, v. 1) con la forza dell’indefinito, universale sostituente “tutto” icasticamente posto all’inizio del primo verso della prima lirica della “Porta del vento” e confermato dal corto circuito tra il futuro assertivo di “accadrà” e il modale altrettanto assertivo “deve accadere”. Il tema torna nella registrazione della linearità degli eventi (p.28, vv. 2-3) come passaggio, flusso.

Al contrario del reale quotidiano, lo spazio del sogno si presenta come disordinato e dominato dal caso (p.20, v. 6), eppure meritevole di attenzione e di ascolto (p.24, v. 6) proprio quando la vita è dannazione o comunque “fatica del giorno” (p.32, v. 3) dentro la quotidianità del carcere o dell’esistenza. La memoria, analogamente al sogno, si connota per la sua assoluta libertà dai vincoli del tempo, sia quando evoca una stagione lontana dell’esistenza (p.22, v. 6; p. 21, v.1) – tipicamente l’infanzia – o addirittura quella dell’immaginario favolistico (p.25, vv. 2-3); sia quando si mostra capace di straordinaria densità di materia psichica, scrigno in cui è custodito “il passato in un punto” (p.31, vv. 4-5) sia quando, nel suo instabile “andirivieni” (p.30, v.1) riporta “lontananze” (p.30, v.6).

In ogni caso tra memoria e sogno esplodono colori, echeggiano suoni, giungono aromi e l’esperienza psichica diventa ricchezza. La tavolozza dei colori di Marina Agostinacchio è dominata dai rossi, dai bianchi e dagli azzurri, satura di intensità. Grazie alla sostantivazione del determinante qualificativo, secondo la lezione pascoliana, i colori si accampano al centro della scena molto più degli oggetti a cui sono associati e di cui descrivono la qualità cromatica. Così il “rosso d’arteria” è il bene lontano a cui mirare con un’arma perfettamente calibrata – balestra o giavellotto – (p.21, vv.4-6), l’arma della mente che sogna e ricorda – oppure è il segno di una vitale attesa (p.22, v.6) quando gli altri colori – quelli intermedi – sembrano trovare riposo. Ancora è il segnale dell’esperienza drammatica e salvifica insieme del viaggio per mare (p.49, v.2). Davvero una macchia di colore, come nei disegni di Graziella Giacobbe che accompagnano l’edizione Mimesis delle liriche e delle prose di Marina Agostinacchio.

Con forza si accampano anche il bianco e l’azzurro, quest’ultimo associato al mare (p.39, v.3) o cielo (p.22, v.1) che contempla le corse gioiose dei bambini o si apre in orizzonti aperti sopra le geometrie dei tetti (p.26, v.6) e sembra sollevare le emozioni della mente – i desideri innanzitutto – sopra le fatiche del giorno e lontano dalla dannazione di vivere.

Le occorrenze del bianco sono forse le più numerose, segnale dietro al quale correre con la memoria in cerca di persone (p.31, v.3) custodite nel segreto della mente che invecchia , oppure di luoghi dell’infanzia come “antiche case e slarghi” (p.53, v.5) che si aprono al cielo (p.26, v.6) e ancora muri fragranti di malta (p.41, v.4) che rimandano ad un edenico equilibrio perduto (p.41, v.2) tra paesi, tetti e finestre che non si vedono che nel ricordo.

Se i colori della mente si sovrappongono a quelli di una realtà quotidiana che non trova rappresentazione, sogno e memoria si popolano di suoni, rumori e armonie, che si mostrano come il segno della vita vera, spessore riproducibile nel contesto di un’esistenza reclusa a appiattita dalle giornate sempre uguali, magari con il favore del buio che, nelle liriche di Marina Agostinacchio riappare spesso come sfondo della visione e dell’immaginazione, forse anche secondo quello che detta all’animo l’esperienza del carcere. Così se, nella dannazione del recluso, ascoltare il battito del cuore (p.24, v.6) o registrare “lunghi sospiri” nel silenzio (p.28, vv. 5-6)  è un modo per combattere un presente anestetizzato (p.24, v.2) e insostenibile, il sogno e la memoria sanno far sentire “suoni d’acque” (p.26, vv.3-6), cinguettii e canti di ruscelli quasi petrarcheschi; “voci” per una notte che possa farsi bella e buona (p.27, v.3), vincendo la dannazione di esistere e il peso degli “assordanti stridori” (p.27, v.2).

Nella terza sezione, intitolata “Migrantes”, i rumori dominanti sono quelli del viaggio spaventoso e liberatorio per mare in cerca di una nuova terra. Il respiro affannoso della paura si accompagna al “rantolo d’onda alta” (p.62, v.5) e la navigazione incerta porta a perdersi con la mente tra deserti, mari e terre, lasciate e cercate, avvolti sinesteticamente da “suoni di allucinati colori” (p.64, v.5).

Alle tracce olfattive rimosse di una realtà quotidiana difficile e ostile si sovrappongono, tra sogno e memoria, anche il sentore dei muri annusati da bambini, aspirando la fragranza della malta (p.41, v.4) o l’odore virtuale dei fondali del mare (p.20, v.2) che rimandano un saluto improvviso da parte di una persona che amiamo, uno scatto della vita di ogni giorno.

In questa tensione tra un presente insostenibile e gli spazi della memoria e del sogno, si collocano, per Marina Agostinacchio, il desiderio e la parola, le forme dell’esistere che nessuna dannazione riesce a far tacere. Il primo assume la forma della nostalgia di chi è lontano nello spazio e nel tempo (p.25, v.1), ma si mostra anche come manifestazione della forza di volere qualcosa ancora, nonostante le avversità, quasi generando energia che increspi d’onde il mare (p.39, v.1), e di protendersi verso un dopo (p.65, v.6) che deve venire, un nuovo oltre il confine con il vecchio che si sta varcando (p.63, v.3), una speranza in cui si possa convertire la paura della traversata (p.62, v.4).

Sala Rossini al Caffe` Pedrocchi durante la presentazione

Come il desiderio, anche la parola è manifestazione essenziale dell’esistere e ne condivide la duplicità: a volte diventa inutile rivolgersi a chi non può ascoltare perché è lontano (p.28, v.6); a volte si fa piaga dolorosa in cui si dilania in frammenti la vita (p.29, v.3), quando il desiderio non può trovare realizzazione; a volte, però, si fa racconto (p.32, v.2) e condivisione, grazie alla quale “A sera, è bello insieme” (p.32, v.6) e si fa canto immaginifico e innamorato (p.45, v.4). Allora riesce a creare disegni, circoli e filamenti come quelli delle onde (p.47, v.5) e – quasi fuoco d’artificio delle emozioni – con metamorfosi meravigliosa si trasforma in “cenere di cometa” (p.47, vv. 5-6), come il corpo finisce per essere “scorporato in stelle” (p.51, v.6), fondendosi con la materia dell’universo e donando luce a chi ascolta e ama sentirsi chiamata (p.47, v.6).

Caffe` letterario Pedrocchi, nel quale e` avvenuta la presentazione del libro.

La misura che Marina Agostinacchio preferisce è quella della sestina frequentemente spezzata dalla punteggiatura nel mezzo del verso, spesso prima del sintagma finale, grazie alla dominanza di parole bi-sillabe o tri-sillabe, e dagli enjambement piuttosto forti (p.es. avverbio-aggettivo; predicato-complemento diretto; relativo-frase relativa dipendente; congiunzione coordinante e sostantivi coordinati; congiunzione-predicato). Una scelta del genere le consente di giocare con analogie brevi, a volte cortocircuitanti tra loro (“malta fragranza di sole nel buio” (p.41, v.4) in maniera sinestetica; a volte allusive ad archetipi psicanalitici come quando accosta l’acqua – origine della vita – all’inizio e alla fine dell’alfabeto e dell’universo (“Alfa e omega, pozz’acqua di rugiada” (p.51, v.5); a volte concatenate tra loro e sorrette dal ricorso a forme metonimiche e metaforiche (“un bianco di capelli e la sua danza” (p.31, v.3). In altri testi la spezzatura del verso offre invece a Marina Agostinacchio l’agio di inserire un frammento narrativo dopo un’apertura segnata da una pausa forte nel verso (“Finisce la giornata. L’ultimo pasto …”. p.32, vv.1-6), portando lestamente il lettore ad una chiusura icastica e breve – ancora con verso spezzato – “A sera, è bello insieme”.

Massimo Vezzaro

In questo caso, per esempio, il meccanismo della ripresa lessicale (pasto/cena; racconto/parola) le consente di inserire una struttura sintattica forte e articolata, con soggetto, predicato e complemento diretto ordinatamente disposti, facendola seguire da tre subordinate introdotte regolarmente dalle opportune congiunzioni. Con una sorta di isotopia grammaticale e semantica, la sintassi si fa distesa quando si parla del raccontare e della sua virtù sociale, facendo affiorare, nei significati e nelle forme, la passione per la parola poetica che Agostinacchio ha sempre manifestato.

redazione
redazione
Tiziano Thomas Dossena, Leonardo Campanile, LindaAnn LoSchiavo, and Dominic Campanile

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