Thursday, April 18, 2024

Cristina Campo: Prima lassa di Diario bizantino. Parte seconda.

Di Marina Agostinacchio

CRISTINA CAMPO

Riprendo il discorso interrotto quindici giorni fa, ponendo al centro dell’argomentazione odierna il rapporto voce-suono-messaggio nelle quattro stanze poetiche di Diario bizantino.
Esso costituisce l’affermazione di un interesse poetico nuovo dell’ultimo tratto della sua vita.
Si tratta di un inedito ingresso spirituale luminoso della poetessa, compiuto attraverso la conversione alla religione cattolica e all’amore per la liturgia.
La Campo identificò nel rito bizantino della Chiesa ortodossa e delle chiese romane di rito greco-orientale, una consonanza di pensiero e sentimento intorno alla spiritualità cristiana.

Indubbiamente, nella visione di scrittura e nel percepire il divino di Cristina Campo, la componente liturgica dei riti bizantini ha fortemente plasmato e permeato la sua idea di salvaguardia, tutela, mantenimento e di diffusione della conoscenza dell’esperienza della bellezza, di ricerca spirituale verso la perfezione, come modello esistenziale.

RITO BIZANTINO

A sottolineare questa forma di ricerca spirituale verso la perfezione, anche attraverso la parola colta secondo uno scandaglio di verità, (“Era in cerca della perfezione, un’ossessione sia nella scrittura che nella vita” … “la parola coincide con il suo significato più profondo e risplende da sé”), contribuirono l’amore della Campo per la liturgia  a cui si avvicinò prima con la frequentazione all’Abbazia benedettina di Sant’Anselmo (dove ascolta canti gregoriani), sull’Aventino a Roma. Lì si cantava ancora il gregoriano. Frequenta in seguito il Collegium Russicum del cui senso del sacro, diffuso nei riti, avverte fascino e rapimento.
“… Legge testi religiosi e vite dei santi, si incanta davanti a gesti di devozione come baciare l’immagine sacra, inginocchiarsi, toccare una reliquia. Il trascendente diventa l’ultima difesa di fronte a una modernità disattenta alla bellezza…”

COLLEGIUM RUSSICUM

Leggendo i versi di Diario bizantino, ci possiamo rendere canto di assistere a un canto sacralizzato, o, come dice Snejanka Mihaylova “A un atto di composizione che tiene conto dei diversi sensi della creazione”, a modello della polifonia del canto bizantino.
Infatti, “l’arte della musica bizantina è caratterizzata da un sistema di canto monofonico”; (…  L’unicità e la predisposizione naturale di ciascuna voce. S.M.).  “La sua struttura ha come base otto modalità principali fisse, ma, all’interno di ciascuna modalità, sono comprese sottocategorie di suono diversificate”; (… I molteplici e distribuiti atti di creazione della Parola che pongono in prospettive radicalmente diverse la creazione. S.M.). “La musica eseguita all’interno di queste stesse categorie può offrire emozioni molto diverse, ad espressione della sorprendente ricchezza dell’arte musicale bizantina”.
Ed è questo impianto musicale interpretativo che dovette affascinare Cristina. Il canto corale bizantino, infatti, pareva alla poetessa, una sorta di collaborazione, un contatto tra cielo e terra, la presenza di un mistero, una presenza un po’ difficile da comprendere a livello umano, un elevarsi, proprio come fanno gli angeli, a un’Entità celeste.

Ma entriamo nel segreto della prima lassa del testo.

Due mondi – e io vengo dall’altro.

Dietro e dentro
le strade inzuppate
dietro e dentro
nebbia e lacerazione
oltre caos e ragione
porte minuscole e dure tende di cuoio,
mondo celato al mondo, compenetrato nel mondo,
inenarrabilmente ignoto al mondo,
dal soffio divino
un attimo suscitato,
dal soffio divino
subito cancellato,
attende il Lume coperto, il sepolto Sole,
il portentoso Fiore.

Si avverte subito, leggendo questa prima parte di testo, l’idea del percorso sapienziale della poetessa, come compresenza a due mondi: terrestre e intellettivo, moderno e antico, e lei si colloca in quello individualizzato in un altrove.

Canto bizantino

Le scelte espressioni di Cristina Campo notificano la sua volontà di attraversamento in un “altrove, trascendente e invisibile, non tangibile”; Cristina, però, sembra volerci dire che anche noi possiamo raggiungere la dimensione dell’altrove seguendola linea del dolore. Il suo Io lirico, attraverso la ripetizione del verso, “Due mondi – e io vengo dall’altro”, posto in apertura delle tre sezioni della prima lassa, abbandona “la voce” — il suo dire — in un “un canto infinito, incessante, interminabile…”, a mo’ di preghiera.
Cristina, pur dichiarando la provenienza da un altro mondo, ignoto, inenarrabile, si pone quale spartiacque tra sé e l’intellegibile, schiudendo al lettore attento la possibilità di una probabile contatto tra i due mondi: il metafisico e il materiale, (“mondo celato al mondo, compenetrato nel mondo…”), purché egli sappia avvertire la presenza del “soffio divino”, “il Lume coperto”, il sepolto Sole”, “il portentoso Fiore”.

Ma perché la Campo ci annuncia di essere partecipe di un altro mondo? Ebbene, la scrittrice sente l’esigenza di trasmigrare verso una sponda che la renda sicura, una sponda di vita in cui riconoscersi, a causa dei cambiamenti post-bellici che rendevano lo spazio abitativo della sua anima estraneo a quanto amato e conosciuto. Già connaturato in lei il sentimento di una sospensione senza fine tra tempo ed eterno, ecco che un “Altrove” le permette di raggiungere la dimensione di un in cui ritrovare la propria identità e indovata in uno spazio in cui essa sia preservata dalla metamorfosi dei tempi a lei non più congeniali e in cui pure è immersa.
Nella Campo, “l’Altrove” non riguarda però la ricerca di un sentiero verso la via della pura astrazione, una forma di ascesi, di mistico rapimento, o di uno stato di indifferente serenità, che affranchino la corporeità da tagli e ferite, proprio quelli che daranno una direzione di senso alla sua vita; saranno il dolore fisico e la macerazione interiore atti al raggiungimento, e senza altra mediazione, dell’Assoluto; essi si porranno come viatico per un contatto salvifico con Dio.

Alla prossima con il commento e l’analisi alla seconda lassa di Diario bizantino.

Marina Agostinacchio
Marina Agostinacchio
Nel 1998 e nel 2007, Marina Agostinacchio è tra i vincitori del concorso nazionale di poesia “Premio Rabelais”. Nel 2006 è tra i finalisti del Premio “Tra Secchia e Panaro”. Nel 2002 ha ottenuto il Premio internazionale Eugenio Montale per l’inedito. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesie Porticati, nel 2009 la raccolta Azzurro, il Melograno, nel 2012 Lo sguardo, la gioia, nel 2014 Tra ponte e selciato. Nel 2021, Marina Agostinacchio ha pubblicato i volumi bilingue di poesie "Trittico Berlinese", 2021, e "In the Islands of the Boughs", 2023.

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